martedì 18 dicembre 2007

D’Alema ha fatto un’altra cosa di Sinistra

Ve la ricordate la storica battuta di Nanni Moretti in “Aprile”, divenuta in seguito un tormento antidalemiano? Diceva così “D’Alema, dì qualcosa di Sinistra”.
Da allora non c’è stata più pace. Tutti a dare addosso a D’Alema che non era di Sinistra, non faceva politiche di Sinistra e menate varie.
Oggi, grazie alla tenacia, al lavoro infaticabile, nascosto e paziente, fatto in anni di relazioni politiche internazionali sia di D’Alema che di molte altre persone di cui pochissimi conosceranno il nome, D’Alema ha fatto un’altra cosa di Sinistra. Un’altra grande cosa di Sinistra. Ecco come ne dà notizia il Corriere della sera online.

L’assemblea generale dell’Onu ha votato, oggi, a favore della moratoria contro la pena di morte nel mondo. I voti a favore sono stati 104, quelli contrari 54, le astensioni 29.
L’iniziativa è stata fortemente sostenuta dall'Italia, che
da almeno 13 anni è in prima fila nella battaglia per la cancellazione delle sentenze capitali. Il governo era rappresentato al Palazzo di vetro dal ministro degli Esteri e vicepremier, Massimo D’Alema. Proprio il presidente diessino in mattinata si era detto ottimista e aveva parlato di «risoluzione di portata storica».

Ma che significa concretamente questa notizia? Ce lo spiega sempre il Corriere.

L’approvazione della risoluzione per la moratoria contro la pena di morte, che di fatto significa la «sospensione» di tutte le esecuzioni già programmate e il divieto di infliggerne di nuove da parte dei tribunali, dà l’opportunità di aprire un dibattito «anche in vista dell'abolizione». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, pochi istanti dopo il sì dell’Onu alla moratoria sulla pena capitale. D’Alema ha parlato anche di «grande soddisfazione» e di «risultato al di là delle aspettative».

Certo, questo non significa che il merito sia solo di D’Alema. Ma sicuramente il suo impegno, la sua persona, la sua tradizione politica, i funzionari e consiglieri politici noti e meno noti che da tempo si sono impegnati in questa battaglia e che D’Alema ha saputo utilizzare mettendoli a rete per portare a compimento questo risultato, hanno sicuramente dato quella forza che un grande progetto non era riuscita a trovare nei tredici anni passati.
Qualcuno, ancora oggi, si sente di dire che D’Alema non abbia fatto una cosa di Sinistra o, peggio ancora, che non è importante stare al Governo? Che è meglio fare i duri e puri e stare all’opposizione senza vendersi l’anima?

Io penso che sia meglio stare al Governo e ingoiare qualche rospo, ma ottenere risultati come il ritiro dall’Iraq e la moratoria della pena di morte, piuttosto che stare all’opposizione a chiedere il migliore dei mondi possibili vedendosi, invece, Berlusconi che fa votare al Parlamento la legge Cirami e la depenalizzazione del falso in bilancio.


P.S. Il risultato è ancora più importante se si pensa che come capifila dei paesi contrari alla moratoria erano Stati Uniti, Cina e Iran...

domenica 16 dicembre 2007

Addio toghe rosse, giustizia è fatta...

Ormai gli hotel e le sale d'attesa degli aeroporti sono diventati la redazione mobile del mio blog. Questa volta mi trovo all'aeroporto di Crotone, dopo aver passato il sabato a S. Giovanni in Fiore per un convegno sul centenario di Monongah insieme ai sindaci dei paesi italiani che hanno avuto vittime nella tragedia.
Ho parecchio tempo a disposizione, dato che siamo bloccati dalla neve. Incredibile: l'aeroporto di Crotone, si, proprio quello di Crotone, è bloccato dalla neve. Cosa inimmaginabile.
Comunque, anche in queste condizioni, si può ricavare qualche buona notizia.
I quotidiani, infatti, mi propongono una rissa di dichiarazioni dei più autorevoli esponenti del centrodestra, tutti entusiasti di come funziona la giustizia italiana.
Non si sente più, da chi l'ha pronunciata decine di volte, una frase del tipo "si tratta di giustizia a orologeria", come non si vedono più quei bei titoloni che ci avvertono dell'invasione delle "toghe rosse". E, soprattutto, c'è una ritrovata e "piena fiducia ai giudici", di cui non si commentano le sentenze, perché non si tratta più di "sentenze di stampo comunista". Anzi, questi sereni atti di giustizia spingono tutta la diroccata CDL (che solo in questa circostanza ritrova unità) a chiedere le dimissioni di Petruccioli e CDA Rai prima e Padoa Schioppa dopo.

Che bello! La giustizia italiana funziona, dà risposte efficaci e veloci ai super cittadini Petroni e Speciale e, soprattutto, non è a orologeria né comunista. Ma allora serviva davvero così poco per rimetterla in funzione e in sintonia con il Paese e con la CDL?
Sono bastate, infatti, due sentenze del TAR del Lazio che danno ragione al consigliere della Rai in quota Berlusconi (Petroni), e al generale della guardia di Finanza (Speciale), per ritrovare feeling e fiducia con l'odiata casta dei giudici comunisti.
Insomma, abbiamo capito qual è il metro di valutazione per dire se la giustizia nel nostro paesino funziona oppure no: se dà ragione a Berlusconi (o amici) significa che funziona, se gli dà torto no. Se lo assolvono, prosciolgono o prescrivono i giudici sono imparziali, se lo condannano no, sono "toghe rosse".
Comunque, godiamoci questo periodo di ritrovata serenità nella cittadella della Bengodi giudiziaria, prima che gli stessi giudici del TAR del Lazio si trovino a dar torto all'uomo delle televisioni (o amici) su qualche altro contenzioso. Sarebbe la prova che le "toghe rosse" sono state richiamate all'ordine dai padroni comunisti.
P.S. Mentre scrivevo è arrivata la notizia che l'aeroporto di Crotone (dove mi trovavo dalle 06:00 di stamane) sarebbe rimasto chiuso almeno fino alle 13:00 per neve e non era certo che saremmo potuti partire col volo delle 14:30 per Roma. Per questo ci hanno portato con un autobus fino a Lamezia, dove partiremo col volo Airone delle 15:00 per Roma. Solo qui ho finito di scrivere questo post, quando sarei dovuto trovarmi a Roma già da sette ore.

lunedì 10 dicembre 2007

Van Loon. Dedicata a Davide

Venerdì scorso è morto a Mezzegra, sul lago di Como, il padre di Davide Van de sfroos, cantautore tra i più originiali del nostro panorama musicale, impegnato in una difficile quanto valida operazione culturale: quella di riscoprire, in un mondo globalizzato, l'importanza del proprio dialetto, delle proprie radici e della propria cultura, dando ai luoghi in cui vive e al suo popolo una dignità letteraria che passa proprio attraverso l'uso del dialetto locale, che con Davide diventa lingua d'arte universale, così come i posti, i personaggi e le emozioni che popolano le sue canzoni.
A Davide, quindi, voglio dedicare un brano di Francesco Guccini, uno dei padri del cantautorato italiano. Un brano che Guccini scrisse proprio per il padre, che qui chiama Van Loon, come il divulgatore fiammingo della prima metà del secolo scorso.
Ho scelto questa canzone perché racconta anche il grande rispetto di Guccini per il genitore in seguito deceduto, la complessità dei rapporti familiari e un certo sentimento di fraternità. Ma anche e soprattutto perché Guccini racconta, attraverso la figura del padre, come la cultura non sia "l'aver letto più libri", ma il saper trovare un senso alla propria vita, anche facendo ciò che la società ci ha costretti a fare, o dare un senso alla propria vita, facendo ciò che invece si desidera fare, indipendentemente dai risultati ottenuti.

Van Loon, uomo destinato direi da sempre ad un lavoro più forte
che le sue spalle o la sua intelligenza non volevano sopportare
sembrò quasi baciato da una buona sorte
quando dovette andare;
sembra però che non sia mai entrato nella storia,
ma sono cose che si sanno sempre dopo,
d'altra parte nessuno ha mai chiesto di scegliere
neanche all'aquila o al topo;
poi un certo giorno timbra tutto un avvenire
od una guerra spacca come una sassata,
ma ho visto a volte che anche un topo sa ruggire
ed anche un'aquila precipitata...

Quanti anni, giorno per giorno, dobbiamo vivere con uno
per capire cosa gli nasca in testa o cosa voglia o chi è,
turisti del vuoto, esploratori di nessuno
che non sia io o me;
Van Loon viveva e io lo credevo morto
o, peggio, inutile, solo per la distanza
fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d'allora,
la mia ignoranza:
che ne sapevo quanto avesse navigato
con il coraggio di un Caboto fra le schiume
di ogni suo giorno e che uno squalo è diventato,
giorno per giorno, pesce di fiume...

Van Loon, Van Loon,
che cosa porti dentro, quando tace
la mente e la stagione si dà pace?
Insegui un' ombra o quella stessa pace l'hai in te?
Vorrei sapere
che cosa vedi quando guardi attorno,
lontani panorami o questo giorno
è già abbastanza, è come un nuovo dono per te?

Van Loon, Van Loon,
a cosa pensi in questo settembrino
nebbieggiare alto che macchia l'Appennino,
ora che hai tanto tempo per pensare, ma a chi?
Vai, vecchio, vai,
non temere, che avrà una sua ragione
ognuno ed una giustificazione,
anche se quale non sapremo mai, mai!

Ora Van Loon si sta preparando piano al suo ultimo viaggio,
i bagagli già pronti da tempo, come ogni uomo prudente,
o meglio, il bagaglio, quello consueto, di un semplice o un saggio,
cioè poco o niente
e andrà davvero in un suo luogo o una sua storia
con tutti i libri che la vita gli ha proibito,
con vecchi amici di cui ha perso la memoria,
con l'infinito,
dove anche su quei monti nostri è sempre estate,
ma se uno vuole quell'inverno senza affanni
che scricchiolava in gelo sotto le chiodate scarpe di un tempo,
dei suoi diciottanni,
dei suoi diciottanni...

venerdì 7 dicembre 2007

Monongah monito per il PD e il centrosinistra

Esattamente un secolo fa, il 6 dicembre 1907, nella miniera di Monongah, una cittadina americana del West Virginia, si verificò la più grande e dimenticata tragedia sul lavoro dell’emigrazione italiana. Nelle gallerie sature di grisou, una scintilla provocò una serie di terribili esplosioni che causarono la morte “ufficiale” di 362 minatori, di cui 171 italiani. Ma in realtà le vittime furono molte di più: 936 i morti accertati, di cui almeno cinquecento italiani. Di molti non si conosce il nome, perché lavoravano senza documenti e senza venire registrati. Si sa solo che molti erano bambini, perché ogni minatore era solito portare con sé due o tre aiutanti con cui dividere il lavoro e l’umile paga. Spesso erano i figli o i nipoti dei minatori ufficiali.

Questa tragedia dimenticata, a distanza di un secolo, ha riscoperto su un piano storico, sociale ed etico una la forza evocativa che meritava, tale da indurre a un più giusto ed equilibrato rispetto della verità chi oggi ne parla o se ne occupa a vario titolo.
Una prima verità che oggi si è fatta strada è quella che vede il numero delle vittime molto più alto rispetto a quello dei dati ufficiali e, in questo, molto più alto è naturalmente il numero delle vittime italiane. Una verità che rimanda immediatamente ad analizzare le condizioni di sfruttamento, di clandestinità e irregolarità in cui i lavoratori immigrati erano inseriti in quel contesto.
La proiezione di questa tragedia sul piano sociale è stata dimenticata quasi per un secolo
e va al di là delle circostanze storiche in cui la tragedia si consumò.
Essa non bastò a rendere inammissibili le condizioni di sfruttamento, precarietà e rischio in cui i minatori erano costretti a vivere e a prestare il proprio lavoro, come non stimolò nessuna particolare spinta all’affermazione di una legislazione tendente al riconoscimento dei diritti e alla sicurezza sul lavoro. Almeno in Italia dovranno passare ancora molti decenni. Nella lotta per la sicurezza, molte forze, non solo padronali, si opposero e frenarono, a danno di migliaia di lavoratori.

Da tempo ormai, nonostante il lungo e positivo percorso di integrazione nel quale si sono incamminati gli immigrati negli Stati Uniti e in Europa, i problemi dell’occupazione, della sicurezza del e sul lavoro e del riconoscimento di una piena cittadinanza, si sono ripresentati con una veste nuova, ma con la medesima forza di un tempo, sia per il macigno delle crisi economiche sempre dietro l’angolo, che per il riproporsi di nuovi e intensi flussi di immigrazione. Ma anche per il crescere di nuovi atteggiamenti xenofobi e razzisti, ispirati da chi poi li utilizza biecamente per ragioni di mero consenso politico.

La realizzazione, almeno da questa parte dell’Atlantico, di un’Europa sociale rappresenta, oggi, un traguardo attualissimo e necessario a cui tendere. Ma questo traguardo non è fatto solo di commemorazioni e affermazioni retoriche (che si parli di Monongah o di Marcinelle). Comporta una ferma volontà politica riformatrice e solidaristica al medesimo tempo, insieme alla coerenza delle risposte legislative prodotte sia a livello di Unione europea che di governi nazionali.
Monongah deve essere, inoltre, un patrimonio etico vivo e stimolante. Insieme ai lavoratori italiani morti nell’esplosione ce n’erano centinaia di altri provenienti da diversi paesi e continenti, tutti a condividere lo stesso destino.

E non è questo ciò a cui oggi assistiamo in Europa, divenuta porto delle speranza e dei sogni di milioni di disperati che vi approdano dalle zone povere e in guerra di tutto il mondo?
Rievocare i morti di Monongah in chiave di sola italianità, dunque, senza saper assicurare pari diritti e dignità a chi, come loro, si è visto costretto ad abbandonare il proprio Paese e la propria famiglia per cercare una speranza e un futuro in realtà diverse, significherebbe eliminare il peso e il valore storico e umano del sacrificio di quei lavoratori e scivolare in uno dannoso gioco di appartenenze, da cui si alimenterebbe il seme delle tensioni e delle divisioni tra i più deboli.
Dignità e libertà non sono scindibili e fin quando agli immigrati, solo perché tali, saranno negati diritti e possibilità di sviluppo, verrà meno e sarà offesa la loro dignità: sia di quelli che “non ce l’hanno fatta” che di “quelli che l’hanno fatta”.

A Monongah, per i minatori che lavoravano in condizioni di estremo pericolo, non erano state previste "vie alternative di uscita". Per questo, parafrasando un giovane leader della Sinistra della mia adolescenza, potrei dire che oggi, “la ragione della nostra storia, è quella che ci fa pensare alla trasformazione del mondo come a un obiettivo al quale non vogliamo rinunciare. E’ la ragione che ci fa sentire tutto il peso dell’ingiustizia che si compie quando gli assassini rispettati, quelli che ogni giorno ‘non prevedono vie d'uscita’ per troppi di noi, continuano a fare i propri interessi sulla pelle della povera gente: ieri dei contadini, degli operai e dei minatori, oggi magari dei senegalesi e di quanti, troppo deboli o troppo onesti, non ce la fanno. Facciamo politica perché crediamo giusto e necessario costruire quante più vie d'uscita ci è possibile. Siamo dalla parte di chi pensa a una società nella quale, prima o dopo, di sistemi di vie d'uscita non ci sia più bisogno. Per nessuno”.

Monongah, dunque, deve essere per il Partito Democratico, per il centrosinistra e per l’Italia, più che un simbolo e un motivo di commemorazione, ma un impegno a proseguire nella costruzione di una piena cittadinanza e di un’Europa sociale a beneficio anche degli immigrati di oggi. Di tutti gli immigrati e non solo di quelli che sentiamo più vicini per storia e legami.
P.S. Per chi voglia vedere il film-documentario di Silvano Console sulla tragedia, l'unico documento audiovisivo disponibile su questo evento, può cliccare su:
Per questo pregevole lavoro un ringraziamento particolare va agli amici della Filef

giovedì 29 novembre 2007

La CDL implode e l'emigrazione interna prepara le valigie

Quanto è vera e bella l’affermazione che la politica non è mai scontata…
E’ da un anno e mezzo che sentiamo ripetere dal centrodestra che questa maggioranza non esiste e che il Governo sta per cadere. E’ da prima dell’estate che Berlusconi ci raccontava di come era prossima la spallata che avrebbe tirato giù Prodi. E’ da prima dell’estate che rivelava di aver avviato la compravendita di senatori e come alcuni de L’Unione fossero già pronti a passare con lui per far cadere il professore, salvo poi essere smentito e ridicolizzato anche dal senatore Randazzo (vedi il post più in basso).
E’ da un anno che si sente parlare di partito unico del centrodestra o, ultimamente, di partito delle libertà, tant’è che lo stesso Berlusconi aveva annunciato di voler sciogliere Forza Italia.
I fatti restano questi:
DS e Margherita, in un anno, hanno tenuto i propri congressi di base e nazionali, hanno sciolto i propri partiti e hanno fondato il Partito Democratico, hanno tenuto le primarie (3.500.000 partecipanti) e hanno eletto il loro segretario, Walter Veltroni;
l’area della Sinistra della coalizione si sta organizzando per dar vita a un’aggregazione di altre quattro forze, contribuendo, da parte loro, a una semplificazione del sistema politico italiano;
questa maggioranza ha già varato un'importante Finanziaria e si appresta a mandarne in porto un'altra;
la spallata di Berlusconi non si è vista.

Al contempo, come ci informa persino l’Italiano in due piccoli trafiletti, “Forza Italia non si scioglie più”, la Lega non è e non è mai stata interessata a fondersi in nessun partito unico del centrodestra, Casini e Fini non fanno passare giorno senza smentire o attaccare Berlusconi, che ormai non considerano più come leader della CDL e demolendo quel poco che resta della Casa delle libertà, che lo stesso cavaliere aveva definito un “ectoplasma condizionato dagli alleati che hanno prodotto la sconfitta del 2006”. Lo stesso Fini ha annunciato che nel centrodestra “ognuno avrà le mani libere: ognuno valuta in base ai propri convincimenti e non a quelli della coalizione”, riferendosi – come ci spiega sempre l’Italiano – “al disegno di legge sulle tv e sulle questioni della giustizia”, che sono sempre stati interesse esclusivo e privato del patron della CDL e che gli altri hanno subito...
Insomma, nonostante i noti problemi di maggioranza risicatissima e di articolazione delle posizioni, pare proprio che L’Unione riesca ancora a governare e a dettare l’agenda della politica italiana. Addirittura si è avviata, col PD, una nuova fase che vede una sua guida certa e dall’ampia legittimazione popolare, una linea politica e delle prospettive solide.
Al contempo, invece, il centrodestra si sta completamente sfarinando e implodendo, non ha più alcuna leadership e, soprattutto, non ha una linea politica o una prospettiva verso cui tendere.
In questa condizione, dunque, l’unica proposta che sanno avanzare è quella di andare alle elezioni: ma pensano di andarci uniti? Mi piacerebbe che a spiegarmelo fosse l’Italiano o qualcuno di AN, dove pare vi siano alcune belle, moderne e comode valigie da pilota già pronte per l’emigrazione verso Forza Italia.

mercoledì 21 novembre 2007

Ancora su Rino

Dopo la fiction della Rai erano venuti fuori alcuni elementi interessanti e nuovi su Rino Gaetano. A questo proposito ho risentito la sorella Anna, che dovrò risentire il 27 di questo mese. Oggi pomeriggio, invece, insieme a una mia amica giornalista, incontrerò un noto personaggio del periodo della Dolce vita romana che conosceva Rino Gaetano e con il quale parleremo di alcune particolari questioni che riguardano Rino, a cominciare dall'incidente dell'8 gennaio 1979 per finire con quello del 2 giugno 1981.
Quest'ultimo, era stato involontariamente quasi profetizzato nella nota canzone La ballata di Renzo di quasi un decennio antecedente la tragica notte romana. Il primo titolo che Rino aveva dato alla ballata è Quando Renzo morì io ero al bar. Un titolo che sottolineava l'imprevedibilità della vita, la casualità delle cose, il procedere incessante e quasi normale della vita di chi resta. Doveva essere la canzone di esordio ed era già stato fatto un provino con la Bell Disc, ma l'esito non è stato quello della pubblicazione.
Il pezzo era infatti troppo forte, una denuncia vibrata per una morte assurda. Si apriva con questi versi:

...Renzo uscì, andò lungo quella strada
e una Ferrari contro di lui si schiantò.

Comincia poi l'iter verso tre ospedali che lo rifiutano per i motivi più assurdi:
Il San Camillo "non l'accettarono forse per l'orario", il S. Giovanni "non lo vollero per lo sciopero" e il Policlinico "lo si mandò via perché mancava il vicecapo".
Mentre si consumava la tragedia della transumanza da un ospedale all'altro il ritornello della canzone parla degli amici al bar:

quando Renzo morì io ero al bar
al bar con gli amici...
bevevo un caffé...

Nella canzone Renzo non trovò posto nemmeno al Verano, mentre Rino lo trovò solo dopo aver stazinoato per qualche tempo nel cimitero di Mentana da dove fu poi tasferito al Verano, appunto, solo grazie all'interessamento di alcuni amici.

martedì 20 novembre 2007

Ha lasciato al paese un po' del suo cuore

Credo che La storia siamo noi, la trasmissione di Giovanni Minoli andata in onda ieri sera su rai due col titolo Rino vive, abbia ridato un’immagine più vicina alla realtà di quello che era Rino Gaetano. Le testimonianze più importanti, a cominciare da chi condivideva con lui i momenti di vita privata (da Bruno Franceschelli all sorella Anna alla fidanzata Amalia Conte), ce lo ricordano come un tipo allegro, con la battuta sempre pronta e sempre disponibile e ben disposto allo scherzo. La stessa Amalia ce lo descrive come tale, ricordando che insieme stavano molto bene, loro e gli amici di sempre, con i quali sono stati uniti fino alla fine.
Anche sul piano artistico, sia gli amici che i discografici e i giornalisti, hanno ribadito come quell’allegria, quel suo essere scanzonato, quel non prendere nulla sul serio (o meglio senza la pesantezza del tempo) era per Rino Gaetano la vera cifra stilistica: lui prendeva in giro tutto e tutti e lo faceva anche con le sue canzoni, con quel nonsense che, nel complesso, era invece pienissimo di senso, e che senso.

Insomma, Minoli ha disegnato un Rino Gaetano diverso da quello della fiction, per il quale la morte per incidente stradale non è stata il conseguente epilogo di una vita da “maledetto” e semialcolizzato, ma il tragico incidente di un ragazzo (e sottolineo ragazzo, poiché aveva 30 anni soltanto) che si divertiva a tirare fino a tardi e che una diversa sanità (diversa da quella dallo stesso descritta nella Ballata di Renzo, di cui mi riprometto di riportare qualche verso domani), avrebbe potuto salvare.
Per capire il carattere e la cifra stilistica scanzonata e allegra di Rino Gaetano riporto qualche verso di alcune sue canzoni:

Sia beninteso che per pochi intimi
stasera io darò una festa
e tu che Dio ti benedica
non portarti appresso la tua amica,
ma vieni da sola perché da solo con te…
Scusami cara ma sai sono tutti ignoranti
siamo soltanto noi due
e dovevamo essere in tanti
ma visto che ho anche un bel lento
lo metto sul piatto e poi tento
e dopo un poco ci provo e va tutto okey
grazie a Dio grazie a lei


L'acqua mi fa un po' male la birra mi gonfia un po'
vado avanti tristemente a champagne e bon-bon
Sebbene ho più soldi in tasca e donne ne ho troppe ormai
sebbene il tuo cane fuori non porto più
ahi Maria chi mi manca sei tu...
Il caimano distratto imitava il gatto e faceva bau-bau
perché studiava le lingue e voleva alle cinque il suo tè

E' democristiana perché sta in ballo o monarchica se va a cavallo
è socialista o radicale nei giorni dolci e in quelli agri
potrebbe fare da quarto a Guttuso Marta Marzotto e Lucio Magri
ama il sesso in maniera giusta con Moratti o Corrado Agusta
Ma è elsa Martinelli non ha fatto molti film e quei pochi neanche belli
quando incede è una gazzella e sotto il sole non si spella
(Rileggete questi versi considerando che in quel periodo Marta Marzotto si diceva essere, allo stesso tempo, l’amante di Guttuso e Lucio Magri e che di Elsa Martinelli si diceva farsela con Moratti e Agusta…)

A Khatmandu c'è anche il gurù
ci porta in paranoia predicando a testa in giù

Mio fratello è figlio unico
perché è convinto che nell'amaro benedettino
non stà il segreto della felicità

Giovane e bello divo e poeta
con un principio d'intossicazione aziendale
fatturato lordo la classifica che sale
il resto gli sembra naïf
(Sta parlando dell’amico Francesco De Gregori, prendendolo in giro, naturalmente)

Fabbricando scuole, sub-appalti e corruzione bustarelle da un milione
fabbricando case popolari biservizi secondo il piano regolatore
fabbricando case ci si sente vuoti dentro il cuore…
Ma dopo vai dal confessore e ti fai esorcizzare
spendi per opere assistenziali
per sciagure nazionali e ti guadagni l'aldilà
e puoi morire in odore di santità

E Berta filava e filava con Mario
e filava con Gino
e nasceva il bambino che non era di Mario
che non era di Gino

Beati sono i santi, i cavalieri e i fanti;
beati i vivi, i morti, ma soprattutto i risorti
Beata è la guerra, chi la fa e chi la decanta
Ma più beata ancora è la guerra quando è santa

Insieme a voi mi esibisco se c'è una festa
mi butto in testa un piatto di minestra
armato di balestra insieme a voi

Parla al megafono di politica e di sesso
c'è chi lo ascolta ma per chi no fa lo stesso
crede in un mondo più giusto e più vero
michele o' pazzo è pazzo davvero

In questo clima di allegria, poi, si consumerà una tragedia solo immaginata per raccontare l’Italia di quegli anni, ma forse anche di questi…

Brutta pasta è il problema mio, fatta a posta è la via,
ma con gli anni gli inganni, sai, superarli potrò
spesso il gioco è più basso che non immagini, io,
sempre il gioco è la vita mia che poi finirà
ma se c'è Dio ci sono anch'io buon Dio lo sai
e c'è Dio di notte, ti sento ci sei

Di che pasta sei fatta amore che animale sei
su che tasto suoniamo noi per creare il poi
ma se il gioco è più basso no no no non è più il mio
tuttavia il coraggio che ho te lo verserò
ma se c'è Dio ci sono anch'io buon Dio lo sai
e c'è Dio di notte ti sento ci sei
ma se c'è Dio ci sono anch'io buon Dio lo sai
e c'è Dio di notte ti sento ti voglio ci sei
(Ma quel Dio c’era quella notte di giugno?)

L'avventura l'arsura la paura
non ci sarà avventura questo già mi calma
vedo già la mia salma portata a spalle
da gente che bestemmia che ce l'ha con me
povera povera povera la mia cara
le racconterò di Cleme e rideremo insieme
è passato il treno m'ha guardato il treno
s'è scordato il treno ma io ho già bevuto
il treno non passa ancora eppure io l'aspetto
la canzone più corta di questa anche lei è finita
la vita la vita
(Invece il suo funerale fu uno strazio per tutti, persino per il prete che mise in discussione la fede)

Nessuno l'ha visto morire
per questo la gente sa che non è vero
negli occhi di chi ha sofferto
c'è una speranza un amico sombrero
e cantando le sue canzoni
le storie di sangue le storie d'amore
anche se lui non c'è più
ha lasciato al paese un po' del suo cuore

lunedì 19 novembre 2007

Rino Gaetano dalla fiction alla realtà

Dopo il grande successo di ascolti della fiction su Rino Gaetano, stasera sarà la volta della realtà, almeno speriamo. Alle 23:30, infatti, su rai due, andrà in onda una puntata di La storia siamo noi, il programma di Giovanni Minoli, dal titolo Rino vive - Il cielo è sempre più blu, a cura di Antonio Carella.
A parlare del cantautore crotonese, senza finzione cinematografica né parti romanzate, ci saranno le persone che lo hanno conosciuto da vicino. Dalla sorella Anna a Mogol, da Antonello Venditti (che da grande amico che era gli ha anche prodotto il primo disco, I love you Marianna, cantato ancora con lo pseudonimo di Kammamuri) a Vincenzo Micocci, il patron della IT, la casa discografica che gli produsse ben quattro dischi prima dell'approdo alla RCA.

Una puntata interessante perché ripercorre la breve ma folgorante vita di Rino, dai primi anni vissuti a Crotone alla tragica notte sulla Nomentana.
A parlare di lui ci sarà anche Amelia Conte, la vera studentessa universitaria conosciuta quando Rino non era ancora nessuno e che avrebbe dovuto sposare proprio in quella chiesa dove, invece, si tennero i funerali. Quall'Amelia mai rimasta incinta di un altro e laureatasi solo dopo la morte di Rino.

mercoledì 14 novembre 2007

Cosa penso della fiction su Rino Gaetano

Vado per punti:
1) Per quanto non ami le fiction, ritengo che questa sia stata un’operazione utile, poiché ha riaperto un dibattito sulla figura di Rino Gaetano, sottolineando come questo eccentrico personaggio crotonese sia attualissimo e di grande spessore musicale e culturale. Basti solo pensare che già anni fa i Democratici di Sinistra scelsero la sua canzone “Ma il cielo è sempre più blu” come colonna sonora degli eventi ufficiali più importanti. Basti solo guardare con quanto entusiasmo viene accolta e cantata dalle platee a cui la si sottopone: persino D’Alema e Fassino, anche se un po’ ingessati, li ho visti battere a tempo le mani e accennare alcuni versi della canzone. Basti ancora pensare che Maurizio Crozza, a fine di ogni puntata, ne fa cantare alcuni versi ai propri ospiti.

2) Non mi è piaciuto come è stata presentata la figura di Rino: troppo maudit, troppo tragico e disperato. Certo questi tratti della sua figura sono reali: era un cantautore in crisi, permettetemi il termine, esistenziale, beveva, soprattutto negli ultimi tempi. Viveva in pieno la contraddizione di essere realmente un “proletario” di estrazione, ma allo stesso tempo cantautore di successo, a contratto con una grande casa discografica e nelle condizioni di poter tranquillamente comprarsi una Volvo (vera) e una villa fuori Roma (falsa quella televisiva). Ma questo non lo ha mai portato a isolarsi dai suoi amici di sempre, dalle due prostitute con le quali aveva un’amicizia sincera, dal suo quartiere, Montesacro, dove mangiò per l’ultima volta la sera prima di morire, alla pizzeria La Pinetina, proprio sotto casa sua. Non ha mai smesso di essere un “cazzaro”, uno di quelli che tira fino all’alba con gli amici (e non solo e non sempre alle serate che gli imponeva il ruolo, quelle erano più sporadiche). Era uno di quei calabresi vivaci con la battuta sempre pronta, intelligente. Insomma, l’aspetto giullaresco di Rino, anche nella vita e con gli amici, non si è visto.

3) Non mi sono piaciute nemmeno le molte e a volte azzardate invenzioni: quella villa, ad esempio, non era proprio nelle corde di Rino. Se volevano sottolineare come da una condizione di povertà fosse passato, solo grazie ai suoi meriti artistici, a una condizione di ricchezza, potevano farlo presentandone una simile a quella che aveva acquistato a Mentana, con un orto in cui lui stesso coltivava pomodori, ravanelli, cetrioli e quei peperoncini piccanti che mangiava assoluti, come solo un calabrese sa fare. Non, dunque, una villa da industrialotto del Nordest. Non mi è piaciuto nemmeno come hanno rivisitato la sua storia d’amore con Amelia, il vero nome della ragazza di cui si era innamorato prima del successo. Non mi è piaciuto come hanno presentato il rapporto estremamente conflittuale e critico col padre e nemmeno quello con Bruno Franceschelli, l’amico di sempre e compagno di molte scorribande notturne. Con Bruno i rapporti sono stati buoni fino alla fine, anche se solo negli ultimi mesi si vedevano un po’ di meno perché Bruno lavorava al Ministero e la mattina doveva alzarsi per lavorare quando Rino andava a letto. Il padre, invece, era da poco uscito dal coma quando Rino ha avuto l’incidente e Rino stesso lo aveva accompagnato in Calabria per riprendersi un po’ e cambiare aria. Erano tornati il 28 maggio a Roma, quindi la scena di lui che sta male e chiama il padre prima di morire è una fesseria completa per addolcire il rapporto conflittuale tra i due: ma quel conflitto non può essere letto solo in termini generazionali, magari in chiave sessantottina, ma secondo schemi, comportamenti e culture che, forse, solo un calabrese può capire. Forse per questo sarebbe bastato parlare un po’ di più con la sorella maggiore Anna, ingiustamente assente nella fiction. E poi non mi è piaciuto per niente il fatto di aver presentato Amelia incinta di un altro: Rino aveva realmente deciso di sposarla e, per questo, aveva rintracciato anche padre Simeoni, il parroco a cui era molto legato, a cui aveva chiesto di sposarlo (nonostante fosse ateo) e con il quale stavano preparando i documenti di nozze. La mattina dopo l’incidente Rino doveva incontrarsi proprio con Amelia.

4) Insomma, bene aver parlato di Rino; bene averne sottolineato alcuni tratti artistici e culturali; bene averlo presentato come uomo in crisi; bene il lavoro fatto su se stesso da Claudio Santamaria. Male non aver fatto emergere i suoi tratti privati scanzonati e ironici; male non aver affrontato meglio il momento dell’incidente e della morte, di cui ha molte colpe la sanità italiana, che ha rifiutato Rino in cinque ospedali della capitale, costringendolo alla morte dopo quasi quattro ore dall’incidente e senza un pronto intervento. Eesattamente come Renzo, il personaggio di una sua ballata scritta circa dieci anni prima, mai uscita e che oggi, invece, qualcuno dovrebbe proprio incidere.

martedì 13 novembre 2007

Cavaliere, non tutti sono in vendita, Randazzo per esempio...

Repubblica e Corriere di oggi riportano la notizia del solito Berlusconi che, in veste di ariete, per dare la pluriannunciata spallata alla maggiornaza di governo, cerca di comprarsi qualche senatore eletto all'estero. Si dice che ci abbia provato con tutti quelli de L'Unione provenienti da oltr'Alpi. L'ultimo della lista sarebbe stato il Senatore Nino Randazzo, eletto in Australia. Le cronache ci raccontano che Randazzo, ricevuto nella casa romana del cavaliere, invitato a passare con il centrodestra, con il garbo, la cortesia dei suoi modi gentili e la simpatia che gli è propria, avrebbe declinato l'invito del potente capo dell'opposzione con un sonoro "no", ma talmente sonoro da trovare eco su tutti i principali quotidiani nazionali.

Conosco Randazzo ormai da sette anni: è una simpatica e piacevole persona, dai modi riverenti e quasi ottocenteschi degli uomini del Sud Italia. Uno che prende le cose sempre molto sul serio e che quando ti incontra ti saluta con entrambe le mani alzate e quasi facendoti l'inchino. Una di quelle persone che anche in una riunione quasi informale si prepara l'intervento e te lo legge come se fosse al Senato in seduta plenaria mentre si discute la fiducia. E' forse per questi motivi che a destra spesso lo si sottovaluta (salvo poi ritrovarselo eletto prima ai comites e al CGIE e poi in Senato a discapito della destra stessa), lo si considera "corruttibile" (vedi, appunto, l'invito del primo novembre di Berlusconi), "rincoglionito" (vedi L'Italiano, giovedì 8 marzo) e lo si sbeffeggia, come fece il quotidiano di Gian Luigi Ferretti quando, tempo fa, scriveva di un senatore di AN che raccontava divertito proprio a Ferretti della presenza di Randazzo al Senato.

Oggi Randazzo, se ancora ce ne fosse bisogno, ha dimostrato a tutti come non solo il suo patto elettorale con la maggioranza e i suoi elettori non sia in discussione, ma come tutti gli eletti all'estero de L'Unione siano parlamentari seri e leali con la maggioranza. L'ho sempre detto e continuo a dirlo: il pericolo per questa maggioranza non è mai arrivato dall'estero e nessuno può mettere in discussione la maturità, la dignità politica e quella personale di questi concittadini e di coloro che essi rappresentano.
Continui pure a sbeffeggiarlo, L'Italiano, e a ridere di lui, ma resta il fatto che con un colpo solo Randazzo ha fatto ridere di Berlusconi (e del suo vezzo di pensare di poter comprare tutto e tutti) l'intero mondo e ha dimostrato come il cavaliere sia politicamente disperato.

mercoledì 7 novembre 2007

Ultimi tra gli ultimi, ma uguali ai primi

Rieccomi in pista, senza macchina naturalmente...
In questi giorni ho seguito molto la TV, soprattutto il caso del "rumeno" che a Roma ha ucciso una "donna italiana". Non mi è piaciuto per niente come i vari TG e programmi televisivi hanno affrontato la questione. Stessa cosa per molti giornali e giornalisti. Sono davvero pochissime le riflessioni che ho apprezzato, al di là del fatto che le condividessi o meno. Penso che il tratto determinante emerso da TV e giornali sia solo l'onda della rabbia per un evento tragico, quasi mai accompagnata da una riflessione seria e da risposte utili e realmente risolutive.

Ho notato una serie di comportamenti, di frasi popolari e giornalistiche molto simili a quelle della popolazione americana di New Orleans della fine del 1800, quando dopo l'omicidio di un "americano, per mano di un "italiano", cominciò una lunga serie di terribili e cruenti linciaggi di immigrati italiani (a questo proposito consiglierei la lettura del libro Corda e sapone. Storie di linciaggi degli italiani negli Stati Uniti. Roma, Donzelli, pp. XL-133, € 18,00).

Scrivo queste riflessioni non perché voglia assolvere ogni criminale che circola per Roma o perché voglia fare del relativismo culturale. Ma semplicemente perché vorrei che chi usa mezzi di comunicazione di massa riuscisse ad analizzare più in profondità gli eventi. E scrivo queste cose perché mi piacerebbe che ognuno avesse la forza di sapersi riconoscere nell'altro, in chiunque altro. E' per questo che quando ho deciso di creare un blog ho scelto una sola frase di riferimento: il verso di De André che sta sulla colonna destra, tratto dalla canzone Khorakhané, la tribù rom più discriminata in assoluto, persino tra le altre tribù rom: gli ultimi tra gli ultimi.

Mi piacerebbe che ognuno, ascoltandola, o almeno leggendo il testo che riporto integralmente e che so di questi tempi essere molto impopolare, potesse smettere di ragionare in termini assoluti su "io" e "lui", su "noi" e "loro". E in questo, penso che una delle cose più saggie di questa vicenda, l'abbia detta proprio il marito della vittima.

Khorakhané (A Forza Di Essere Vento)
Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento.
Porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare.

Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro.
Saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura.
Finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace.

I figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via.
E poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere.

Ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare
e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio.

Cvava sero po tute i kerava jek sano ot mori i taha jek jak kon kasta
Poserò la testa sulla tua spalla e farò un sogno di mare e domani un fuoco di legna
va su ti baro nebo avi ker kon ovla so mutavia kon ovla
perché l'aria azzurra diventi casa chi sarà a raccontare chi sarà
ovla kon ascovi me gava palan ladi me gava palan bura ot croiuti
sarà chi rimane io seguirò questo migrare seguirò questa corrente di ali

mercoledì 24 ottobre 2007

Stiamo tutti bene, grazie

Brevemente, per ringraziare quanti, in questi giorni, mi hanno telefonato o inviato sms ed e-mail per chiedermi come stavo e farmi gli auguri di pronta guarigione. Per fortuna sto bene, così come stanno bene Marcella e soprattutto Giuseppe. Ci è andata di lusso.
Allo stesso tempo mi scuso con quanti, sempre in questi giorni, mi hanno mandato e-mail per chiedermi come mai non ho commentato il dopo-primarie o per avere un mio parere sul blog circa il caso Mastella-Di Pietro-De Magistris, o sulla “compravendita” di senatori (tra i quali sono sempre citati il solito Pallaro e altri senatori eletti all’estero) e sulla vicenda Levi-editoria-blog vari.

Se non ho scritto nulla e non ho risposto alle e-mail, e se non riesco ancora a farlo, è solo perché sono stato vittima di un terribile incidente stradale sull’autostrada Roma-Napoli: un TIR ha invaso la corsia sulla quale viaggiavamo, costringendoci ad una manovra improvvisa, per evitare lo scontro, ma che ha causato lo sbandamento dell’auto sulla quale viaggiavamo, con conseguente schianto contro lo spartitraffico e doppio cappottamento. La macchina è completamente distrutta. Al compenso sia io che Marcella e Giuseppe siamo salvi.
Grazie ancora a tutti e, soprattutto, agli ingegneri che hanno progettato i sistemi di sicurezza della Fiesta: seggiolino per il bambino, cinture di sicurezza, airbag e velocità non eccessiva ci permettono di poter raccontare cos’è successo.

giovedì 11 ottobre 2007

Da Praga a Londra: giovani e politiche internazionali

Al dibattito sul partito democratico a cui ho partecipato di Lunedì a Praga, nella sede dei Socialdemocratici cechi, c'era una platea composta soprattutto da giovani, molto vivaci e interessati a ciò che si sta facendo. Guardano con speranza all'orizzonte del Partito Democratico e credono che esso possa portare un'ondata di positivi cambiamenti nella politica italiana.

A Praga c'è un'emigrazione particolare: ridotta in termini numerici, ma giovane, dinamica e in aumento, poiché qui arrivano molti giovani laureati e specializzati che lavorano nelle multinazionali che hanno fatto dell'Irlanda, della Repubblica Ceca e della Romania la propria base operativa. Giovani che molto spesso, per scelta, vanno a lavorare all'estero, muovendosi anche in due, tre stati diversi nel giro di pochi anni. Parlano più lingue, si conforntano con più culture, apprezzano la cucina indigena: e se è vero ciò che diceva Feuerbach, che l'uomo è ciò che mangia, questi giovani italiani non possono che essere l'essenza del multiculturalismo, i nuovi cittadini del mondo. Giovani molto e bene informati, sull'Italia e sul mondo appunto, con i quali lo spazio e l'orizzonte della discussione è stato soprattutto quello della politica estera dell'Italia, del suo ritrovato ruolo da protagonista sulla scene internazionale, grazie al lavoro dell'attuale Governo e del Ministro D'Alema. In quest'ottica ho sottolineato come, in un mondo globalizzato, nel quale le sfide si possono affrontare solo a livelli sovranazionali, il Partito Democratico dovrà avere proprio nella politica estera il fulcro principale dell'iniziativa politica, anche per risolvere le principali questioni di politica interna (non più considerabili solo tali) e i problemi del mondo del lavoro, del welfare e della sicurezza.

Anche a Londra, ieri sera, sempre per un dibattito sul PD, ho dialogato al King's College con una platea molto giovane, seppur per certi versi diversa da quella ceca. E dico dialogato perché non ho voluto fare il classico intervento-comizio elettorale prima del 14 ottobre. Ho preferito ascoltare gli interventi dei presenti, le loro critiche (che naturalmente non sono mancate), le loro proposte. Ne sono venute fuori circa due ore di discussione partecipata e di analisi critica. Al King's College studiano e insegnano molti giovani italiani che spesso fanno il paragone tra le opportunità che qui gli si offrono, solo sulla base dei meriti personali, con gli ostacoli e gli spazi stretti delle università italiane, nelle quali il merito non basta, gli stipendi da ricercatore sono miseri e le caste dei professori sono intoccabili. Anche in questo chiedono al Partito Democratico una svolta vera, una volta per tutte, che dia il segnale che le cose in Italia possono cambiare in meglio, che per avere un'opportunità basta solo avere le capacità e le competenze personali, anche se non si è parente, amico o protetto di nessuno, e che queste competenze possano essere valorizzate e pagate per ciò che realmente valgono.

Penso che il PD sarà rivoluzionario se riuscirà a fare tutto ciò e se saprà creare le condizioni per mettere in rete le varie e numerose intelligenze italiane sparse per il mondo (e che ormai là preferiscono rimanere), come l'ultimo, ma non ultimo, il recente premio Nobel per la medicina, Mario Capecchi, costretto a coltivare all'estero le proprie potenzialità e i propri studi sulle cellule embrionali, mentre in Italia dobbiamo tenerci Buttiglione e Giovanardi, unici Nobel al bigottismo e all'ottusità politico-culturale.

venerdì 5 ottobre 2007

Conferenza stampa e dibattito a Praga

L'altra mattina, nella sede nazionale de l'Ulivo, abbiamo tenuto una conferenza stampa per la presentazione delle liste per le primarie del 14 ottobre. Chi è interessato può guardare la conferenza stampa cliccando qui.

Per il resto lunedì sarò a Praga per un dibattito pubblico sul Partito Democratico.

Buon fine settimana.

giovedì 4 ottobre 2007

Insieme agli italiani all'estero una battaglia di civiltà per l'Italia

Come in ogni passaggio cruciale della vita politica del nostro partito, anche questa volta, ai massimi livelli, non è mancato un importante segnale d'attenzione ai nostri connazionali nel mondo. Il candidato in pectore alla guida del futuro PD, Walter Veltroni (e solo lui dei cinque candidati), ha infatti scritto una lettera aperta agli italiani all'estero, che riporto di seguito.

Care amiche, cari amici,
le primarie del prossimo 14 ottobre rappresentano un appuntamento storico per il nostro Paese, un’occasione straordinaria di partecipazione democratica, di rinnovamento e apertura della politica, al servizio dell’Italia e degli italiani. La nascita del Partito Democratico può concretamente modificare il nostro sistema politico, semplificandone il panorama, rafforzandone l’aspetto bipolare, la stabilità e il grado di innovazione. Ma è soprattutto per rimettere in moto l’Italia, per renderla più dinamica, moderna e giusta, che ci stiamo impegnando nella costruzione del Partito Democratico: per liberare tutte le potenzialità del nostro Paese, per sbloccarne le tante energie.

Credo non sia un caso se l’esperienza del Partito Democratico è vissuta con tanto interesse e suscita tante aspettative tra molti dei nostri concittadini residenti all’estero. Vista da lontano, infatti, l’Italia appare in tutte le sue grandi possibilità, ma anche con tutti i suoi limiti: litigiosa, lenta, bloccata dall’incapacità di osare, di guardare al futuro, di prendere le decisioni necessarie per il bene del Paese. Il Partito Democratico nasce per dare risposte proprio a questa voglia di cambiare l’Italia: renderla più moderna, più giusta, più unita, più aperta, più efficiente e veloce, più attenta a ciò che avviene nel mondo, dai cambiamenti climatici alle dinamiche del commercio internazionale.

L’appuntamento del 14 ottobre, la nascita del Partito Democratico, rappresenta una grande opportunità anche per tutti gli italiani che vivono all’estero. Mi è capitato in tante occasioni, anche durante la mia esperienza di governo, di ricordare quale contributo appassionato e prezioso abbiate recato all’immagine dell’Italia in Europa e nel mondo. Non dimentico i sacrifici di chi è stato costretto a cercare altrove, fuori dal suo Paese, il diritto ad una vita dignitosa. Cittadini verso i quali troppo scarsa è stata a lungo l’attenzione della nostra legislazione e delle nostre istituzioni. Nel corso dell’ultimo decennio si sono fatti dei passi avanti significativi, ma molto resta da fare sia per sostenere ed accompagnare i processi di integrazione nei Paesi di residenza, sia per garantire piena appartenenza alla comunità d’origine.

Con la nascita del Partito Democratico, chi vive all’estero ha uno strumento in più per sentirsi nuovamente parte di una nazione, per contribuire alla vita politica italiana. Da voi può venire un apporto fondamentale di esperienze, idee, competenze e capacità, soprattutto in un tempo come il nostro, contrassegnato dalla necessità di realizzare un’integrazione mite tra culture e identità distinte. A partire da questa sfida, che è prima di tutto una battaglia di civiltà, e valorizzando in modo pieno le vostre energie e le vostre esperienze, possiamo costruire una nuova, solida, alleanza. Per il futuro dell’Italia, di tutti gli italiani.

Walter Veltroni

martedì 2 ottobre 2007

Bosnia: una realtà interessante e stimolante

Rieccomi a Roma. La missione in Bosnia è stata interessante e stimolante. Si tratta di un Paese per molti versi affascinante. Provo a mettere giù in maniera schematica (mi aiuta a capire meglio) un po' di cose che vale la pena ricordare e raccontare.
La Bosnia Erzegovina è una repubblica giovane, che ha ottenuto la propria indipendenza nel 1992, anno in cui è scoppiato il conflitto tra le diverse etnie locali (croata, bosniaco-musulmana, serba) e durato fino al 1995. Tre anni di assedio di Sarajevo da parte delle armare serbe conslusosi solo con l'intervento dell'ONU e delle truppe NATO. Sono seguiti gli Accordi di Dayton del novembre 1995 che hanno definitivamente sancito la sovranità della Bosnia come Stato federale comprendente la Federazione di Bosnia-Erzegovina (croato-musulmana) e la Repubblica Srpska.

La forma di Governo è quella di una repubblica costituzionale bicamerale rappresentativa delle tre etnie e delle due entità statali. Il ruolo di Capo dello Stato è infatti ricoperto collegialmente da tre membri (a rotazione ogni otto mesi) da un serbo, da un croato e da un bosniaco. Il Capo del Governo è invece unico e al governo del Paese vi è una coalizione tripartitica di centrosinistra. Le religioni principali sono quella musulmana (40%), ortodossa (31%), cattolica (15%) e protestante (4%).

La situazione politica interna è caratterizzata da equilibri molto fragili: difficoltà economiche strutturali; riduzione degli aiuti internazionali; conflitti sociali; rivalità interetniche; criminalità organizzata e traffico d'armi. Tutti elementi che minano la stabilità del Paese. In questo quadro, il Governo guidato dal socialdemocratico Nikola Spiric (membro del partito che sabato ha tenuto il congresso), dovrà muoversi per portare a compimento una serie di importanti riforme costituzionali sollecitate dalla Comunità Internazionale: è forte l'attenzione dell'Alto Rappresentante per le Nazioni Unite e del Rappresentante Speciale dell'Unione Europea. Ma queste riforme, almeno per ora, vedono un cammino tutto in salita che allunga i tempi per l'ingresso della Bosnia nell'UE. Un fattore positivo è invece dato dagli arresti, nel corso del 2005, di numerosi latitanti e la collaborazione della Bosnia con il Tribunale Internazionale dell'Aja.

La situazione economica non è delle più rosee, condizionata da squilibri politici ed economici strutturali. Tuttavia presenta elementi di positività. Nel 2006 il PIL è cresciuto del 6,2%, spinto soprattutto dalla ripresa dei consumi interni, dall'aumento delle esportazioni e dall'ancoraggio della moneta locale all'euro. Nel 2007/08 si prevede ancora una crescita del 6%. L'inflazione è invece al 7,5% e il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 47%: anche se giustificato dal fatto che molti lavoratori non impiegati regolarmente si iscrivono alle liste di collocamento per acquisire il diritto all'assistenza sanitaria. Cosa che droga e gonfia il tasso di disoccupazione.

Sul piano della Politica estera è molto importante ciò che la Bosnia sta facendo per raggiungere due principali obiettivi: l'ingresso nell'UE e il recupero dei rapporti con i paesi vicini, in particolare con il Montenegro e con la Croazia, con la quale ha stipulato un accordo che prevede la doppia cittadinanza dei rispettivi cittadini.

Per ciò che riguarda gli italiani in Bosnia, parliamo per lo più di una comunità di origine trentina di circa 500 cittadini, concentrati soprattutto nella zona di Banja-Luka. Nel 1997, 118 italo-bosniaci hanno potuto riacquistare la cittadinanza italiana. Sono rimasti invece esclusi i nati dopo il 1952, in quanto cittadini jugoslavi. Gli stessi che hanno potuto, nel 2000, ottenere la cittadinanza italiana quali cittadini provenienti dai territori dell'ex impero austro-ungarico.

In quanto all'oggetto della mia missione, il Congresso dell'SNSD a cui ho partecipato sabato, c'è da dire che non è stato un fiume di interventi e controinterventi. E' infatti durato solo due ore nelle quali, dopo una breve relazione del Presidente, nella quale si sottolineava l'esigenza strategica di entrare nell'UE e di continuare sulla strada delle riforme istituzionali e della sicurezza, si è passati subito e in maniera sbrigativa al voto dei vari documenti. Mi pare sia mancata un po' di dialettica e l'opposizione interna. E' stato poi eletto, all'unanimità, il nuovo Presidente: Milorad Dodik, che è anche Capo del Governo della Repubblica Srpska. E' poi seguito pranzo con i 700 delegati dell'SNSD (non si è potuto affrontare alcun ragionamento) e cena con gli altri ospiti internazionali offerta dal Presidente della Camera. In questo caso eravamo in pochi introno a un tavolo e si è chiacchierato in tranquillità: uno degli argomenti più gettonati è stato il percorso italiano al Partito Democratico, sul quale molte domande hanno fatto sia il Presidente della Camera che il delegato francese e quella spagnola.

Ciò che mi ha lasciato sconvolto, è stata la tragica vicenda del cinquantunenne Presidente della Repubblica Milan Jelic (al centro nella foto con alla sua destra il nuovo presidente dell'SNSD Dodik e alla sinistra il Presidente della Camera). Sabato, infatti, era al congresso, stava bene e ha partecipato al ricevimento di saluto degli ospiti internazionali, seguendo tutti i lavori congressuali. Domenica pomeriggio mi hanno chiamato dall'ufficio del Presidente della Camera per dirmi che gli incontri al Parlamento di lunedì mattina erano annullati per l'improvvisa morte, per infarto, del Capo dello Stato.

mercoledì 26 settembre 2007

Presentate le liste di Veltroni, Letta e Bindi


Martedì sera abbiamo definitivamente approvato le liste all'estero per le prosssime elezioni primarie del 14 ottobre. A questo proposito ieri ho partecipato a una web conference, intervistato da Mariella Ferrante, della Web TV di Italian Network. Chi vuole seguire la trasmissione può farlo cliccando qui.
Per il resto, domani partirò per la Bosnia, dove parteciperò al congresso nazionale dei Socialdemocratici serbo-bosniaci: un congresso dove ci sarà molto da ascoltare per capire ciò che si muove in quell'area delicata del pianeta.

venerdì 21 settembre 2007

Grillo, V-Day, e la bussola Guccini

In queste settimane impazza il ciclone Grillo e da mesi il libro La casta, due fenomeni legati da un filo conduttore: la rabbia verso la politica e i politici, accompagnata da un senso di delusione che rischia di far scivolare in quel qualunquismo del "Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera", come direbbe De Gregori.
Ho letto e pensato molto prima di farmi una idea: La casta, Grillo, il V-Day, le reazioni della politica, i giornali e le tv, il primo anno del Governo Prodi. Alla fine ho deciso di pubblicare alcune parti dell'intervista di oggi a Francesco Guccini sul quotidiano romano E-Polis. Penso possano farci un po' da bussola, che possano rappresentare una chiave di lettura utile per farci una idea di ciò che sta succedendo.

Pavana, Appennino pistoiese, regno di daini e castagni, l'eco del V-Day è arrivata sfumata. «Non abito più a Bologna da cinque anni. Ho osservato quello che è successo con distacco, pur trovando nelle idee di Grillo qualche aspetto interessante. La verità è che i cittadini si sentono semplicemente lontani dalla politica. Peggio: indignati. Per quanto mi riguarda sono perplesso: è difficile che mi senta entusiasta per queste cose». Francesco Guccini, sessantasette anni, si professa ancora un anarchico ma non si appassiona ai polveroni «pur riscontrando uno sfondo di ragionevolezza».
Ha lasciato senza nostalgia quella via Paolo Fabbri 43, scrive noir di successo e osserva con occhio annoiato tra le colline della terra dove è nato, il fenomeno-Grillo. Poeta, cantautore, venerdì prossimo all'Anfiteatro romano di Cagliari, dove l'ultima volta ha registrato un disco dal vivo, conclude il suo tour. Insignito dalla laurea honoris causa, da anni introdotto tra gli autori delle antologie scolastiche, unisce generazioni opposte. I suoi concerti sono platee di giovanissimi, nostalgici, fan attempati.
Come ha visto il popolo del V-Day?
Mi sono fatto un'immagine della bufera scoppiata a Bologna da lontano. Hanno partecipato all'incontro diverse persone che conosco: uno è un operaio di destra, mio amico con cui vado a pesca, di un paese qua vicino. Era là, in piazza. Poi c'è andata un'altra persona che stimo, un magistrato carissimo, di Sinistra, che ha anche parlato sul palco. Chiacchierare con loro mi ha dato un'idea di come il V-Day radunasse punti di vista distanti, come se il problema, e di conseguenza l'unico sentimento che li unisse, fosse soltanto la rabbia, l'indignazione, contro quella dannata casta, tanto per citare un libro che sta facendo faville.
Prima delle elezioni aveva dichiarato il suo voto, si mostrava fiducioso. Aveva detto: “voto a Sinsitra. Convinto”.
Lo sono anche adesso. Le mie idee non cambiano. Dico soltanto che la situazione è migliore rispetto a quella che c'era con il Governo precedente.
Pallida consolazione.
Io non riesco a dimenticarlo. E poi non mi pare che tutto quello che è stato fatto fino adesso sia sbagliato, per il resto si può sempre migliorare.
Sto a guardare alla finestra l'arrivo del Partito Democratico, sulle cui basi di partenza sto ancora riflettendo.
[...]
Nel 76 è uscito il suo primo album. Da quarant’anni il pubblico viene a sentire gli stessi pezzi.
È il potere delle canzoni. Chi mi viene a sentire sa cosa succede ai miei concerti: apro e chiudo sempre come da manuale. E un pezzo come Auschwitz in un concerto è quasi obbligatorio, le persone chiedono quelle parole. Poi però cerco di proporre nuove canzoni, in scaletta sicuramente c'è Su in collina, che ancora non tutto il pubblico conosce.
In una sua vecchia canzone “Parole” ce l’ha col depauperamento del linguaggio. “Voltaire – diceva – non ci ha insegnato niente”.
Ho letto l'altro giorno un pezzo di Michele Serra su Repubblica che parlava di questo: le parole come suoni inermi, materassi svuotati. Credo però che chi accusa a volte è responsabile di questo.
Quel pezzo, tanti anni fa, anticipava “il gran tango dei mass media”, che poi ha aumentato le sue dimensioni in questi ultimi tempi. I vocaboli sono tanti: i giornali, le tv ne scelgono alcuni, li sfruttano, ce li rilanciano, li ripetono fino alla nausea, poi d'un tratto, li aboliscono.

sabato 15 settembre 2007

A chi i frutti dell'orto? All'ortolano, naturalmente

Rieccomi in una camera d'albergo con il mio solito Flybook: questa volta a Bologna, dove mi trovo per il dibattito che dovrò moderare domani alla festa nazionale de l'Unità. Sono giorni pieni nei quali mi è molto difficile riuscire a trovare il tempo di scrivere qualcosa. Comunque stiamo per supeare il periodo più intenso e difficile: quello degli accordi sulla formazione delle liste per le primarie. Naturalmente il metodo che abbiamo scelto, dopo la decisione di fare liste unitarie in tutto il mondo a sostegno di Veltroni, è stato quello di affidare la formazione delle liste ai dirigenti, parlamentari e militanti locali. Laddove questi hanno trovato una sintesi unitaria condivisa non siamo intervenuti a livello di responsabili nazionali. Nelle circoscrizioni nelle quali, invece, ci sono stati o ci sono problemi di assetto, è naturale che siamo dovuti intervenire a livello nazionale.

Tutto ciò comporta, inevitabilmente, che vengono scaricate su di noi responsabilità, richieste legittime (o meno legittime) e lamentele (o meglio vere e proprie incazzature). Non vi sfuggirà che alla fine di questa fiera nessuno verrà a dirci "bravi, avete fatto un bel lavoro e siamo soddisfatti della composizione di queste liste". Al contrario molti, ma davvero molti, non solo chi ne ha ragione, ma anche chi lo fa a torto, ci accuserà di ogni nefandezza e ci spiegherà che in quella circoscrizione "abbiamo sbagliato e che dovevamo fare in maniera diversa". Seguirà chilometrica spiegazione su come dovevamo fare. Ancora oggi c'è chi mi rimprovera scelte fatte nel 2005 per la formazione delle liste all'estero che, non solo hanno conseguito un gran successo nella Circoscrizione estero rispetto al centrodestra (11 eletti a L'Unione su 18), ma ci hanno consentito di garantire la maggioranza a questo Governo.
Ma si sa, dei frutti dell'orto ne gode sempre l'ortolano...
il cannocchiale

giovedì 6 settembre 2007

Primarie, che passione!

Da qualche giorno sono tornato a lavoro e, tra preparazione del dibattito alla festa nazionale de l’Unità, riunioni varie per l’organizzazione delle primarie e doveri familiari (leggi Giuseppe), il tempo non basta mai. Insomma, sono giorni di passione!
Circa le primarie, insieme a Maurizio Chiocchetti, faccio parte del “Comitato per il voto all’estero del 14 ottobre” in rappresentanza dei DS. Fanno inoltre parte di questo Comitato anche il Vice Ministro Franco Danieli e Luciano Neri della Margherita, Alessandro Giordani in rappresentanza dei prodiani, il Senatore Claudio Micheloni e il Deputato Franco Narducci, rispettivamente presidenti dei Comitati per gli italiani all’estero di Senato e Camera.
Questo comitato presiede all’organizzazione e allo svolgimento delle primarie all’estero e proclama gli eletti: un lavoro impegnativo e rognoso.
Abbiamo già licenziato il regolamento generale per le primarie all’estero e in questi giorni stiamo ultimando il regolamento attuativo.

Per ciò che concerne invece il dibattito politico vero e proprio, si stanno organizzando le liste e stiamo lavorando alla formazione di una lista unica di DS, Margherita, mondo delle associazioni e società civile a sostegno di Veltroni. Probabilmente in Europa arriveremo alla formulazione di una seconda lista, sempre a sostegno di Veltroni. Dal mio punto di vista, due liste in sostegno di Veltroni in Europa, rappresentano l’ipotesi elettorale più opportuna.
Per ciò che riguarda, invece, gli altri candidati, penso che ci sarà sicuramente una lista a sostegno di Letta in Europa, probabilmente una in America del Nord, forse anche una in America Latina, mentre difficilmente potrà essercene una in Australia/Africa.Ci sarà anche una lista di Adinolfi in Europa e Nord America, mentre non ho notizie di presenze della Bindi: vedremo.

giovedì 16 agosto 2007

Per Antonio

Antonio Girimonte era il segretario dei DS di Caccuri, il paese della pre-Sila Crotonese nel quale sono cresciuto. Uno 'splendido quarantenne' come amava definirsi. Tanta voglia di vivere e la passione per la politica locale. Sostenitore pacato, ma convinto, del dialogo tra Sinistra e mondo cattolico già dalla metà degli anni Novanta.
Uno di quelli che oggi avrebbe sicuramente aderito con convinzione al nascente Partito Democratico. Un meridionale che viveva con autentico dolore il dramma dell'emigrazione che, ancora oggi, spopola tanti paesi del nostro Sud.

Antonio aveva, in più, una dote preziosa. Sapeva far sorridere le persone. Insomma uno con cui si stava bene insieme. Capace di ridere delle cose della vita come di se stesso per un piccolo difetto di pronuncia che lo rendeva inconfondibile.
Aveva qualche anno più di me. Per fortuna non tanti da impedirmi di condividere con lui qualche opinione, qualche cena o, come pure è capitato, qualche viaggio.

Quattro anni fa se n'è andato. Troppo presto. Da allora ogni anno il 15 agosto gli amici di Caccuri lo ricordano con un memorial di calcetto a lui dedicato (Antonio era un ottimo difensore). Trovo che sia un bel modo per ricordare gli amici che non ci sono più. Spero che l'entusiasmo non si spenga col passare degli anni (e il crescere delle panze...)
Quest'anno ho partecipato al memorial anch'io. Confesso di aver provato una grande emozione. Erano circa cinque anni che non tiravo un calcio a un pallone (se non si contano quelli alla palla di Winnie the Pooh di mio figlio che ha due anni). Grazie a una squadra eccezionale (a cominciare dal portiere e da un pilastro della difesa come Antonio Mercuri) allenata da un coach d'eccezione come il grande Peppino Miliè, abbiamo portato a casa il trofeo.
Non riesco a immaginare un modo migliore per passare il ferragosto.

sabato 28 luglio 2007

Santa Cruz-Podgorica via Roma

Al ritorno dall'America Latina erano già pronti sulla mia scrivania i biglietti aerei Roma-Podgorica, nella neonata Repubblica democratica del Montenegro, dove si è tenuto, alla presenza di Luis Ayala, Segretario generale dell'Internazionale Socialista, il VI Congresso nazionale dei Socialdemocratici montenegrini, a cui ho partecipato con piacere e interesse, in rappresentanza dei Democratici di Sinistra italiani e in qualità di invitato.
I Socialdemocratici rappresentano in Montenegro un partito autenticamente socialdemocratico, che persegue gli ideali di pace, integrazione multietnica e multireligiosa sia interna che internazionale, lo sviluppo sostenibile ed ecocompatibile, la crescita economica attraverso un piano di riforme e consolidamento delle istituzioni e attraverso un processo di privatizzazioni a cui corrisponda un'equa ridistribuzione della ricchezza. Nell'SDP sono convinti che tutto ciò vada fatto nell'ambito dell'integrazione europea e stanno percorrendo tutte le tappe imposte agli aspiranti per entrare prima possibile, a tutti gli effetti, nell'Unione europea (adottano già l'euro come moneta locale).
Questi principi sono stati ribaditi oggi, nella relazione di apertura del Congresso, dal presidente dell'SDP, secondo il quale occorre, oggi più che mai, accellerare in questa direzione per rafforzare la democrazia, la giustizia e l'accesso di tutti alla sfera dei diritti e per poter entrare prima possibile nell'UE.

Grazie a questa politica, i Socialdemocratici sono oggi un partito di governo, anche se piccolo, in una coalizione a due con un altro partito socialdemocrtatico, il DSP.
Grazie a questa politica, il Montenegro è divenuto una realtà concreta di come si possa raggiungere l'autonomia e l'indipendenza in maniera pacifica e democratica e allo stesso tempo rappresenta una speranza di pace, democrazia e stabilizzzazione nell'area balcanica, a cui molti guardano con interesse. Questo piccolo Paese, infatti, ha ottenuto l'indipendenza dalla Serbia con un processo democratico pacifico e con una consultazione referendaria solo un anno fa, nel giugno 2006, e subito è stato riconosciuto quale Stato sovrano.
I problemi che ha ancora aperti, però, sono molti e di grande rilevanza interna e internazionale: il riciclaggio di denaro sporco, il commercio delle armi, la tratta di esseri umani e l'emigrazione clandestina, la giustizia interna. Sono problemi per i quali l'attenzione internazionale deve rimanere alta e per i quali ogni Paese democratico deve impegnarsi, anche attraverso investimenti in loco: così si contribuisce alla crescita politica, economica e alla redistribuzione di reddito tra le classi deboli e si sottrae manodopera e terreno fertile alla criminalità organizzata.
E' una sfida importante, ma le premesse e i seganli che giungono da Podgorica sembrano dirci che può essere vinta: in tutto questo la socialdemocrazia ha già fatto molto, ma può e deve fare ancora di più.

giovedì 26 luglio 2007

La Bolivia di Padre Tarcisio Ciabatti

Si è concluso il mio viaggio in America Latina con gli incontri di Santa Cruz, in Bolivia. In questo Paese la comunità italiana non è molto numerosa, ma in compenso è poco aggregata, soprattutto dopo alcuni spiacevoli eventi di cronaca di qualche anno fa che hanno visto coinvolti proprio degli italiani.
Qui, dunque, il Partito Democratico può essere in questo Paese proprio quello strumento capace di aggregare e motivare la comunità italiana per sviluppare la partecipazione sociale, culturale e politica. Per far questo si stanno mobilitando un gruppo di giovani tra i trenta e i quaranta anni di recente emigrazione e con la voglia di fare politica e partecipare al processo di formazione del PD, a cominciare dalle primarie di ottobre e dall’allestimento di un seggio a Santa Cruz.

La Bolivia oggi vive una fase politica complessa, ma allo stesso tempo di positivo cambiamento e i nostri connazionali guardano a tutto ciò con interesse e speranza. Per questo vogliono intensificare i rapporti e le relazioni di amicizia, culturali, economiche e politiche con l’Italia, soprattutto attraverso l’azione del Partito Democratico in Italia e in loco.

Nella giornata di domenica, insieme a Franco Di Renzo e Fabio Porta, siamo andati a visitare la Missione francescana di Padre Tarcisio Ciabatti e la sua scuola di Tekove Katu. Questo religioso, persona squisita, colta e di grande semplicità, vive in Bolivia da 31 anni, aiutando gli indigeni guaranìes in una campagna, una delle più povere del Paese, dove solo pochi anni fa è arrivata l'acqua corrente e la strada asfaltata tra Bolivia e Argentina. Nella sua missione, grazie ai contributi racolti con la beneficenza, ai progetti delle Ong e all'aiuto di qualche istituzione italiana, ha creato una scula di salute pubblica per far fronte alla necessità di un'assistenza sanitaria di base per i popoli nativi. Un impegno, dunque, che passa attraverso la formazione di personale adeguato per rafforzare servizi di salute, anche in conformità alla cultura indigena e incentivando la ricerca scientifica.

La regione Guaranì, infatti, presenta problemi di salute tali da renderla un'area ad elevato rischio. In questo senso la formazione di risorse umane è uno dei compiti principali dell'APG (Assemblea del Popolo Guaranì), del Convenio de Salud Vicariato di Camiri e della Scuola Tecnica di Salute Tekove Katu.

Questa regione della Bolivia è una delle più povere a causa dello sfruttamento subito per le sue risorse e dimenticata poi nei vari piani di sviluppo.
L'indice di mortalità infantile è molto alto, la popolazione soffre di malattie endemiche come la tubercolosi, la malaria, il colera, il chagas e altre malattie legate alle condizioni di indigenza.

In questa situazione la scuola di padre Ciabatti forma personale capace di partecipare al miglioramento della prevenzione e dell'assistenza sanitaria con corsi di ausiliare di infermeria e tecnico in salute ambientale, aperti esclusivamente a guaranies, weehnayek e altri giovani indigeni che arrivano da zone rurali dell'Oriente boliviano ed eletti dalle loro comunità.

Considero dunque molto positiva e formativa - anche a livello umano - questa visita alla missione: sarebbe bello poter lavorare affinché le scuole italiane (dove si forma la società del futuro) organizzassero visite in posti del genere.

Per chi volesse capire meglio di che si tratta o contribuire in qualche modo al sostentamento della missione di Padre Tarcisio Ciabatti può visitare il sito Scuola di pubblica salute Tekove Katu

Nella missione svolgono opera di volontariato giovani italiani che restano in loco per alcuni mesi o addirittura alcuni anni.

domenica 22 luglio 2007

Un salto a Salta: la risorsa dei giovani

La tappa successiva a Cordoba e' stata Salta, la provincia a Nord dell'Argentina al confine con la Bolivia. Un luogo affascinante per molti aspetti e culturalmente vivace. Qui ho trovato un grande entusiamo tra i giovani italiani verso il Partito Democratico e tanta voglia di collaborazione con l'Italia, soprattutto per gli aspetti culturali appunto. Un gruppo molto valido nel quale si distinguono le donne, presenza sempre carente in politica, ma che qui a Salta e' di ottimo livello culturale e rappresenta, insieme agli altri giovani, una risorsa. Un gruppo che guarda all'Italia e al Partito Democratico con rinnovata fiducia e voglia di partecipazione politica, a cominciare dalle primarie di ottobre che su terranno anche in questa zona dell'Argentina.
Con alcuni di questi giovani, responsabili locali dei DS, abbiamo incontrato rappresentanti delle istituzioni locali entusiasti di stringere rapporti più solidi e organici sia con la comunità italiana che con l'Italia.

Giovedi' scorso, infatti, abbiamo incontrato Sergio Camacho, Ministro della produzione e sviluppo del Governo di Salta, con il quale abbiamo a lungo discusso delle potenzialità economiche che si aprono nella regione nell'ambito del Mercosud e delle aree di confine di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile e Perù. Con il Ministro Camacho si è fatta una riflessione su quale possa essere il ruolo della comunità italiana di Salta nel favorire relazioni con l'Italia e con tutti coloro che nel nostro Paese siano interessati a investire nell'area e nell'ambito del progetto del Corridoio Bioceanico. Camacho ci ha spiegato meglio di che si tratta: un esteso sistema di trasporti multimodali - circa 2.600 km di reti stradali, ferroviarie e fluviali (in questa zona i fiumi sono molti, lunghi e dall'abbondante portata, tanto da essere ben navigabili) - in un territorio di 3.600.000 kmq in cui vivono 30 milioni di persone. Un progetto mirante a sviluppare le comunicazioni, la connessione bioceanica e l'economia locale in quel tratto di territorio compreso tra l'Oceano Atlantico e quello Pacifico e nelle aree locali periferiche e di confine tra Argentina, Bolivia Cile, Peru' e Brasile.

In serata, invece, ho potuto assistere, anche se stanchissimo, a un concerto di musica classica dell'orchestra nazionale saltegna il cui pianista solista, orgoglio dell'orchestra e dell'intera Salta, e' italo-argentino. Dopo la sua performance, naturalmente, gli applausi si sono sprecati, tanto che l'artista si e' dovuto rimettere al piano per concedere un applauditissimo bis.

Inoltre venerdi' abbiamo incontrato il Presidente del consiglio comunale e la Responsabile per l'immigrazione del comune di Salta, la dottoressa Guadalupe Nunez Gomez. Con loro abbiamo affrontato i temi della mescolanza etnica nella provincia (davvero eccezionale, una ricchezza immensa) delle risorse culturali locali e delle potenzialità proprio nel campo culturale che Salta esprime. Qui, infatti, lo Stato sostiene e promuove ogni forma di attivita' culturale, anche come strumento per togliere i ragazzini dalla strada e far emergere potenzialita' e passioni che possano rappresentare per loro una opportunita' di vita.
Anche a Salta, cosi' come a Roma o in altre citta' europee, il Comune ha spostato le attivita' del mattatoio fuori dalla citta', recuperando al centro la vecchia sede e trasformandola in un luogo culturale in cui si fa musica, spettacolo e dove si allestiscono mostre. Sono rimasti molto sorpresi e felici quando ho detto che questa stessa operazione e' stata fatta, appunto, tempo fa anche a Roma. La cosa che li ha resi anche orgogliosi.

All'incontro erano presenti anche esponenti della comunita' friulana a Salta e insieme abbiamo deciso di sviluppare, insieme alla comunità italiana locale, un progetto di gemellaggio con un comune friulano - gia' in parte avviato - o altri eventuali comuni italiani interessati e di inserire l'italiano nei corsi di lingua gratuiti che il comune di Salta già organizza per gli immigrati di altre nazionalità e che vedevano fin qui escluso solo il nostro Paese.

venerdì 20 luglio 2007

Consolati, PD e diritti umani a Cordoba

In questi giorni non sono riuscito a scrivere perché è stato momentaneamente sospeso il mio traffico dall'estero perché stiamo cambiando gestore, quindi posso utilizzare internet solo negli hotel.
A parte questo, il resto è andato molto bene. Il primo incontro ufficiale della giornata è stato quello, molto cordiale, con il Console generale d'Italia a Cordoba, dott. Stefano Moscatelli, con il quale abbiamo discusso dell'attuale situazione politica italiana, della necessità di una riforma del sistema elettorale che garantisca stabilità e governabilità a chiunque vinca le elezioni, e dello stato delle richieste di cittadinanza nella sua provincia: il suo Consolato riconosce e rilascia, mediamente, 500 nuove cittadinanze al mese. Ognuno faccia le sue proiezioni e riflessioni...

Subito a seguire, nella sede del Comites che ci ospitava, si è tenuto un incontro pubblico con la comunità italiana sulla situazione politica in patria dopo un anno di Governo de L'Unione e l'arrivo in Parlamento degli eletti all'estero.
Nella sala erano presenti anche esponenti dell'ANPI (Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani), la responsabile per Cordoba delle Nonne di Plaza de Mayo, alcuni dirigenti del Comune di Cordoba e del mondo dell'associazionismo, oltre a Jose Garcia, candidato a Legislator a Cordoba, il quale ha voluto essere presente per sottolienare la sua voglia di lavorare al fianco della comunità italiana e dichiarare il proprio apprezzamento per il processo che abbiamo avviato nella costruzione del PD.
Ho riscontrato, tra i presenti, un interesse generale su ciò che avviene in Italia e tanta voglia di una riforma del sistema elettorale che assicuri governabilità e stabilità. Tutti, infatti, si dicono "stanchi della continua litigiosità nell'Unione". Alcuni, addirittura un ex partigiano, vorrebbero che il centrosinistra si liberasse della Sinistra estrema. E lo dice sottolineando di essere stato partigiano, Comunista e di sentirsi "molto di Sinistra".

Rispetto al PD, dunque, mi dicono di apprezzare lo sforzo che stiamo facendo nella direzione di una maggiore stabilità e di una semplificazione della politica. Guardano con attenzione e interesse alla nascita del Partito Democratico e ripongono in esso numerose speranze, anche per una sempre maggiore attenzione e valorizzazione delle comunità all'estero. Per questo si impegneranno nella costituzione di un comitato promotore anche a Cordoba e nel processo per le elezioni primarie di ottobre.

Alla fine di questo incontro pubblico, con una delegazione ristretta di compagni dei DS e una mamma di desaparecida italiana, siamo andati al Cabildo, la storica sede del Governo di Cordoba, per un incontro con Luis Baronetto, Segretario dell'Ufficio per i diritti umani del comune di Cordoba. Con lui, passandoci l'un l'altro e sorseggiando l'ottimo mate che Baronetto tiene sulla sua scrivania e che di tanto in tanto riallunga con l'acqua calda del suo termos e offre ai suoi ospiti, abbiamo discusso di desaparecidos cordobani e italiani e di diritti umani. Ci ha spiegato come abbiano recuperato la sede del Cabildo, un tempo luogo di prigionia e tortura dei desaparecidos, e come l'abbiano trasformata nel museo della memoria che ho successivamente visitato.
Con Baronetto abbiamo convenuto sul grande aiuto dato dall'Italia all'Argentina e ai parenti delle vittime della dittatura con l'apertura di tre processi a 12 militari argentini, due dei quali conclusi con le condanne all'ergastolo e a 25 anni di reclusione dei militari colpevoli di aver sequestrato, torturato e fatto sparire alcuni cittadini italiani.
Questi processi hanno sicuramente contribuito a far si che in Argentina, ciò che era già riconosciuto e sentito sinceramente dalla popolazione, venisse riconosciuto e ufficializzato anche dallo Stato, che solo da poco e con l'attuale Governo ha abolito le "leggi dell'impunità" e impresso un'accelerazione al percorso di ricerca della verità e di conservazione della memoria sul terribile e tragico periodo della dittatura.

Ma con Baronetto abbiamo stabilito di intensificare i rapporti di collaborazione e deciso di tenere iniziative comuni volte a conservare la memoria sulla tragedia dei desaparecidos (anche italiani) e stimolare il dibattito sui nuovi diritti e sull'allargamento della loro sfera.