Oggi inizia a Napoli il tradizionale appuntamento annuale di incontro, confronto e riflessione sui principali dossier all’attenzione delle istituzioni comunitarie, organizzato dal PSE e dal suo Gruppo Parlamentare. Secondo Gianni Pittella, Presidente della delegazione italiana al PSE, "e' stata scelta l’Italia per la sua lunga tradizione europeista, per il suo impegno profuso nel corso degli anni per la costruzione dell'Europa e per conoscere da vicino il senso della novità politica maturata nel campo riformista con la nascita del PD. E' nostra intenzione approfondire forme di cooperazione e discussione con questa nuova forza politica - dice Pittella - oltre che con le altre componenti nazionali storicamente già legate all’esperienza del socialismo europeo".
In questo contesto esce oggi, invece, sul Corriere della sera, un'intervista a Francesco Rutelli in cui sostanzialmente dice che è impensabile una confluenza del PD nel PSE o nell'Internazionale Socialista: un vero colpo basso alla delicata discussione che con grande equilibrio, apertura e attenzione si sta facendo da lungo tempo sulla collocazione internazionale del PD tra noi e i vertici del PSE.
A questa intervista, poi, io collego anche l'editoriale non firmato di ieri su Famiglia Cristiana (Il peccato originale di un partito fantasma), nel quale si invita Veltroni a mettere alla porta i Radicali di Pannella e Bonino e si ipotizza una scissione nel PD: la tesi è che i cattolici siano stati stritolati e rischiano di finire in una riserva a fare solo testimonianza. Per questo una consistente pattuglia, guidata da Carra e Binetti, sarebbe pronta a lasciare il porto del PD per approdare nel PDL. Una scelta, questa, che riprodurrebbe il cammino già fatto nelle recenti elezioni dagli elettori cattolici, che in quanto cattolici, appunto, avrebbero votato per il PDL, non riconoscendosi in un PD senza identità in cui convivono il diavolo e l'acqua santa: cattolici e integralisti laici spinti.
A questo proposito, invece, a me le cose non paiono affatto così. Gli elettori cattolici non sembrano affatto spaventati dal PD, anzi. E vorrei citare a proposito l'illuminante studio sul voto cattolico segnalatomi dal sempre preziosissimo Professor Stefano Ceccanti, Senatore cattolico proveniente dalla FUCI. In questa rilevazione mi colpiscono due cose:
in primo luogo il dato su come ha votato il segmento dei praticanti regolari, che sono il 31% dei cittadini. Ad una messa tipo, in una parrocchia media, su 100 partecipanti 44 hanno votato per il PDL, 35 per il PD, 7 per la Lega, 6 per l'UDC, 3 per l'IDV e il restante per gli altri.
I praticanti, dunque, sono assolutamente bipolaristi. E d'altronde fu già Giovanni Paolo II a dirci che l'unità politica dei cattolici era da considerarsi finita;
in secondo luogo il fatto che l'UDC non rappresenta un'attrazione particolare per i centristi né per i cattolici. Infatti il partito di Casini è sotto alla Lega e le nostalgie per lo scudo crociato tra i praticanti cattolici non esistono, al contrario di quanto affermavano molte analisi dei mesi scorsi, secondo le quali la Chiesa sponsorizzava il leader centrista ed equidistante dai poli: cosa che avrebbe dovuto far confluire sull'UDC il voto dei cattolici praticanti.
Dico tutto ciò in maniera quasi scomposta perché, in previsione delle prossime elezioni europee, il PD corre molti rischi, alla base dei quali mi pare ci sia, sopravvalutata, una errata questione cattolica:
non abbiamo ancora definito con chiarezza quale sia o quale dovrà essere, in un partito che è e deve essere plurale, la nostra identità e la nostra collocazione in campo europeo;
rischiamo di trovarci, dopo il voto alle europee, con una parte del PD nel PSE e un'altra in altri gruppi o, in una ipotesi sciagurata, tutti nel gruppo misto;
addirittura rischiamo di arrivare a questo voto con una parte di cattolici che ha lasciato il PD;
e rischiamo di perdere, in conseguenza del sistema di voto proporzionale, il voto di quella parte di Sinistra italiana che ci aveva votato solo per contrastare Berlusconi (il così detto voto utile) e di finire al di sotto del 30%, poiché alle europee questi voterebbero per la Sinistra radicale.
In questo caso non avremmo realizzato quella sintesi alta tra culture politiche diverse, non avremmo disegnato una nuova, moderna e innovativa identità politico-culturale, non avremmo trovato una partnership internazionale credibile e in grado di metterci nelle condizioni di contare in Europa e, ultimo, non avremmo nemmeno raggiunto un mero (seppur effimero) risultato elettorale apprezzabile.
Non credo che la Sinistra, o il centrosinistra, abbiano bisogno di un fallimento di questo tipo. Non servirebbe, anzi sarebbe dannoso, sia all'intera politica italiana ed europea che all'l'Italia tutta.