La notte del 27 aprile 1937 moriva
Antonio Gramsci. La notte del 2 novembre 1975
Pasolini. La mattina dopo molti capirono subito che da quel momento sarebbero stati più soli nello sforzo di capire il mondo.
Credo che il senso di abbandono, la disperazione che certe perdite lasciano siano il prezzo inevitabile (e giusto) per aver goduto dell'irripetibile privilegio della contemporaneità con le menti più lucide e geniali.
Credo anche che ogni generazione, in ogni tempo, non possa che augurare a se stessa l'esperienza, anche breve, di quel privilegio.
Spero che l'accostamento non offenda nessuno, ma per me – non voglio scomodare la mia generazione - quell'esperienza è stata legata alla figura di
Fabrizio De André. Un artista, un autodidatta, un intellettuale in crisi, un cantautore sempre originale e mai scontato, uno di quelli che la realtà la sapeva scrutare da diverse posizioni e poi spiegarla in maniera alta, ma semplice, sempre dal punto di vista dei più deboli, dei diseredati e degli ultimi tra gli ultimi, dei discriminati tra i discriminati.
Tante volte la mia adolescenza (come quella di oguno), è stata investita da qualcosa di grande (o almeno tale pareva a me), di complicato, di inafferrabile. E spesso De André mi illuminava, diventando una vera e propria chiave di lettura. Non voglio dire sempre giusta e sempre corretta. Ma sicuramente utile a leggere ciò che accadeva.
Nei giorni del tragico inneggiare ai capi della mafia su internet ho ripensato allo scalpore che fecero alcune dichiarazioni di De André sulla
mafia che 'dava lavoro'. Una provocazione estrema, ma con lo sguardo sempre rivolto agli ultimi. Quelli a cui lo
Stato e la politica non sapevano dare risposte e chance.
Mi manca Fabrizio De André come può mancare una persona cara e, a distanza di dieci anni, vorrei ringraziarlo di tutto. Anche della nostalgia che oncora oggi sento per quella straordinaria gentilezza che,
anche nell'ultimo dolore, non gli consentì di respingere un ragazzotto un po' impacciato alle prese con la sua tesi di laurea.
E a proposito di mafia, "cultura di mafia" e anime segnate dalla mafia, voglio ricordare una canzone di De André tratta dal suo ultimo album,
Anime salve appunto. La canzone è
Disamistade (disamicizia, faida):
Che ci fanno queste
anime davanti alla chiesa
questa gente divisa
questa storia sospesa
a misura di braccio a distanza di offesa
che alla pace si pensa
che la pace si sfiora
due famiglie disarmate di sangue
si schierano a resa e per tutti il dolore degli altri
è dolore a metà
Si accontenta di cause leggere
la guerra del cuore
il lamento di un cane abbattuto
da un'ombra di passo
si soddisfa di brevi agonie
sulla strada di casa
uno scoppio di sangue
un'assenza apparecchiata per cena
e a ogni sparo all'intorno
si domanda fortuna Che ci fanno queste figlie a ricamare a cucire
queste macchie di lutto rinunciate all'amore fra di loro si nasconde una speranza smarrita
che il nemico la vuole
che la vuol restituita
e una fretta di mani sorprese
a toccare le mani
che dev'esserci un modo di vivere senza dolore
una corsa degli occhi negli occhi
a scoprire che invece
è soltanto un riposo del vento
un odiare a metà
e alla parte che manca si dedica l'autorità Che la
disamistade si oppone alla nostra sventura
questa corsa del tempo
a sparigliare destini e fortuna
Che ci fanno queste anime davanti alla chiesa
questa gente divisa
questa storia sospesa
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