Al dibattito sul partito democratico a cui ho partecipato di Lunedì a Praga, nella sede dei Socialdemocratici cechi, c'era una platea composta soprattutto da giovani, molto vivaci e interessati a ciò che si sta facendo. Guardano con speranza all'orizzonte del Partito Democratico e credono che esso possa portare un'ondata di positivi cambiamenti nella politica italiana.
A Praga c'è un'emigrazione particolare: ridotta in termini numerici, ma giovane, dinamica e in aumento, poiché qui arrivano molti giovani laureati e specializzati che lavorano nelle multinazionali che hanno fatto dell'Irlanda, della Repubblica Ceca e della Romania la propria base operativa. Giovani che molto spesso, per scelta, vanno a lavorare all'estero, muovendosi anche in due, tre stati diversi nel giro di pochi anni. Parlano più lingue, si conforntano con più culture, apprezzano la cucina indigena: e se è vero ciò che diceva Feuerbach, che l'uomo è ciò che mangia, questi giovani italiani non possono che essere l'essenza del multiculturalismo, i nuovi cittadini del mondo. Giovani molto e bene informati, sull'Italia e sul mondo appunto, con i quali lo spazio e l'orizzonte della discussione è stato soprattutto quello della politica estera dell'Italia, del suo ritrovato ruolo da protagonista sulla scene internazionale, grazie al lavoro dell'attuale Governo e del Ministro D'Alema. In quest'ottica ho sottolineato come, in un mondo globalizzato, nel quale le sfide si possono affrontare solo a livelli sovranazionali, il Partito Democratico dovrà avere proprio nella politica estera il fulcro principale dell'iniziativa politica, anche per risolvere le principali questioni di politica interna (non più considerabili solo tali) e i problemi del mondo del lavoro, del welfare e della sicurezza.
Anche a Londra, ieri sera, sempre per un dibattito sul PD, ho dialogato al King's College con una platea molto giovane, seppur per certi versi diversa da quella ceca. E dico dialogato perché non ho voluto fare il classico intervento-comizio elettorale prima del 14 ottobre. Ho preferito ascoltare gli interventi dei presenti, le loro critiche (che naturalmente non sono mancate), le loro proposte. Ne sono venute fuori circa due ore di discussione partecipata e di analisi critica. Al King's College studiano e insegnano molti giovani italiani che spesso fanno il paragone tra le opportunità che qui gli si offrono, solo sulla base dei meriti personali, con gli ostacoli e gli spazi stretti delle università italiane, nelle quali il merito non basta, gli stipendi da ricercatore sono miseri e le caste dei professori sono intoccabili. Anche in questo chiedono al Partito Democratico una svolta vera, una volta per tutte, che dia il segnale che le cose in Italia possono cambiare in meglio, che per avere un'opportunità basta solo avere le capacità e le competenze personali, anche se non si è parente, amico o protetto di nessuno, e che queste competenze possano essere valorizzate e pagate per ciò che realmente valgono.
Penso che il PD sarà rivoluzionario se riuscirà a fare tutto ciò e se saprà creare le condizioni per mettere in rete le varie e numerose intelligenze italiane sparse per il mondo (e che ormai là preferiscono rimanere), come l'ultimo, ma non ultimo, il recente premio Nobel per la medicina, Mario Capecchi, costretto a coltivare all'estero le proprie potenzialità e i propri studi sulle cellule embrionali, mentre in Italia dobbiamo tenerci Buttiglione e Giovanardi, unici Nobel al bigottismo e all'ottusità politico-culturale.
giovedì 11 ottobre 2007
Iscriviti a:
Post (Atom)