Era da moltissimo tempo che l’ex Governatore della Regione Lazio – e con lui Daniela Santanchè e altri camerati – chiedeva un congresso del partito, una occasione in cui discutere di politica, di contenuti, di scelte. Ma il leader di AN temporeggiava, rimandava. Storace si innervosiva, minacciava abbandoni. Fini non lo degnava di nessuna attenzione né personale né politica…. Così, dopo lungo meditare, il terminator di AN si è seccato e ha mollato, andando via sbattendo la porta.
Malgrado il tono della mia prosa, non voglio sminuire gesti né stati d’animo. So bene cosa siano le scissioni, gli strappi, i divorzi. E so quanto essi siano spiacevoli e provochino dolore.
Quello che mi colpisce, però, sono spesso i modi, indicativi di culture, tradizioni e linguaggi. La forma, infatti, spesso è anche contenuto politico. Provo a spigarmi meglio.
Storace dice che se ne va perché “AN non rappresenta più la Destra, non mi ci riconosco più e non solo io” (ma come la vorrebbe AN?).
La cosa si potrebbe discutere, democraticamente, prima di tutto all’interno del partito e sulla base di contenuti. Invece Fini liquida tutto dicendo che queste sono “motivazioni inconsistenti”.
Quando Storace ha provato a parlarne nel partito, come nel corso di un’assemblea nazionale nell’ottobre del 2006, mentre parlava Fini sbuffava disgustato dicendogli di stringere perché “non hai capito niente”.
Storace lo definì “un comportamento da cafone”, anche se “ormai ho compreso umanamente la persona”. E’ un uomo “superficiale e superbo” che ha traghettato il suo popolo dalla “Repubblica di Salò a quella dei salotti”, che “pensa a liberarsi del partito”, che “ha fatto l’inno del politeismo, proposto il voto agli immigrati, fatto discutere di Corano nelle scuole, ha detto che il fascismo è il male assoluto”, ha aperto “alla Turchia in Europa, rincorrendo un disegno personale più che politico”.
Insomma, uno prova ad avanzare motivazioni politiche (il cui merito non voglio discutere) e l’altro ostenta indifferenza, superbia, ostinazione autocratica, irrisione e disprezzo. Qualcuno prova a criticare e chi ha in mano il potere commissaria, epura, rimuove dagli incarichi, rifiuta ogni gestione collegiale (vedi il caso La Russa, Matteoli e Gasparri del 2005).
E quindi infine, dopo decenni di amicizia, le divergenze politiche fanno capire che la persona che si stimava di più in effetti era “un cafone, superficiale e superbo”.
Mi pare che questa vicenda palesi come lo scontro vero sia politico, ma apre l’interrogativo su chi dei due sia più fascista: Storace nelle parole e nei contenuti o Fini nei metodi e negli atteggiamenti?
P.S. "Prima di dirlo al mondo, che non ce la facevo più, che mi dimettevo, l'ho detto a mia moglie Rita... perchè - io - ce l'ho una famiglia"...