Cara Angela, intanto ti faccio i più cari auguri, poi ti paleso tutta la mia invidia: e perché sei nella bellissima fase del liceo e presto dell’Università, e perché te la spassi a Ibiza mentre io sono ancora a Roma travolto dalle strumentali polemiche sul voto all’estero.
Ma veniamo al merito.
Non ho seguito la particolare vicenda di quest’anno, ma polemiche su tracce e difficoltà che esse presentano ci sono sempre state. Ricordo, in passato, dibattiti tra classe docente, studenti, politici, giornalisti e intellettuali. Qualcuno arrivò a dire che le tracce della maturità sono una foglia di fico sull’inefficienza della scuola italiana. Lo diceva a supporto della tesi secondo la quale la nostra scuola superiore non è in grado di dare agli studenti un’adeguata preparazione e poi, al momento ufficiale dell’esame, con i riflettori puntati addosso, il Governo assegna tracce che dovrebbero essere il frutto di un alto percorso di studi che in realtà nessuno è riuscito a compiere e che risultano di una difficoltà tale da non mettere nessuno in grado di svolgerle fino in fondo.
Penso che in parte le cose stiano realmente così. In parte, invece, penso che gli studenti (e tra questi c’ero anch’io) e gli italiani in genere (ce lo abbiamo nel DNA) godiamo nel lamentarci di ogni cosa e nell’auto giustificarci difronte alle nostre inefficienze, scaricando sempre su altri quelle che spesso sono nostre responsabilità o inefficienze: e una giustificazione esterna e credibile c’è sempre.
In Italia parliamo sempre e molto di merito, meritocrazia, selezione. Se qualcuno parla di uguaglianza o peggio ancora egualitarismo, lo deve fare con il mitra in mano: tutti predichiamo la diversificazione degli stipendi, la selezione dei lavoratori e degli studenti attraverso il merito, le difficoltà e le conoscenze. Appena qualcuno cerca di intervenire in questa direzione viene messo alla gogna mediatica: vedi la riforma tentata qualche anno fa da Luigi Berlinguer. Quando vado all’estero – e ci vado spesso – mi trovo difronte gente che mi sbatte in faccia i criteri selettivi e di merito, attraverso difficoltà enormi, utilizzati nel Paese in cui mi trovo.
Dico questo perché penso che è vero che la scuola italiana, soprattutto quella superiore, non riesce a fornire né una preparazione adeguata né una motivazione a insegnanti e studenti. Ma è altrettanto vero che questo avviene perché alla classe docente non è riconosciuto l’alto ruolo che essa svolge nella società e non è pagata quanto dovrebbe, come succede all’estero.
Concludo dicendoti, dunque, che se pure Dante non fa parte del programma dell’ultimo anno, se pure le tracce sono molto difficili, penso che esse possano rappresentare un vero scoglio, una vera difficoltà sulla quale fare selezione in base al merito e su un poeta che non è solo “programma scolastico”, ma è patrimonio nazionale da sempre, parte del nostro DNA ed elemento di vanto all’estero. Proprio per il lavoro che faccio, ti assicuro che l’Italia nel mondo è, nell’ordine: Dante (e cultura in genere), cucina, moda, calcio e Ferrari. Allora, se Dante è ciò che di più alto ha l’Italia, penso che lo si debba conoscere bene e sempre, al di là degli intenti o errori di Fioroni e dei programmi scolastici.