Quella che segue è la relazione che ho tenuto il 24 gennaio scorso a Città del Messico in occasione del sessantesimo anniversario della Costituzione italiana. Mi scuso per la lunghezza, ma la lettura non è obbligatoria naturalmente. Ringrazio i professori universitari che l'hanno voluta e organizzata e che, insieme agli studenti e con molta pazienza, mi hanno ascoltato.
"La Costituzione italiana, i partiti politici e lo sviluppo degli ideali democratici: il caso della Sinistra"
Buonasera a tutti.
Voglio innanzitutto ringraziarvi del gentile invito rivoltomi.
Di avermi dato la possibilità di parlare qui in Messico della Costituzione italiana nel suo Sessantesimo aniversario, dei partiti italiani e quelli di Sinistra in particolare in un momento così delicato della vita política e istituzionale dell’Italia.
Viviamo un’epoca in cui tutti i partiti del nostro Paese attraversano una crisi che sta alimentando un forte e pericoloso rigurgito di antipolitica.
E all'antipolitica si accompagna un sentimento di qualunquismo che rischia, come la storia recente e meno recente ci insegna, di spianare la strada al primo populista di turno.
Antipolitica e qualunquismo richiamano poi "l'uomo forte" o "uomo della provvidenza", che altri non sarebbe che l’ennesimo incantatore di serpenti che precipiterebbe l'Italia in una crisi davvero grave, con seri danni per la democrazia, l'economia e la libertà dei singoli individui.
Il mio compito qui, oggi, è dunque molto difficile.
Per questo mi sono chiesto, leggendo l'impegnativo titolo che avete dato alla conferenza, che tipo di intervento avrei dovuto fare.
Penso sia mio compito oggi, ancorare la storia passata e l'anniversario della Costituzione alle vicende recenti, a quelle di questi giorni e agli sviluppi futuri nello scenario politico italiano.
Per riuscire in questo intenento, ritengo di dover partire dalla situazione storica precedente la nascita della Repubblica italiana e della Costituzione.
E' universalmente riconosciuto come il nostro Paese, sin dall'Unità d'Italia e da Cavour in poi, abbia sempre sofferto di una instabilità politica cronica, palesata dall'avvicendarsi di governi dalla vita breve e da maggioranze parlamentari fragili.
Una situazione che ha generato politiche precarie e spesso di corto respiro.
Che ha minato alla base sia lo sviluppo interno del Paese, che la credibilità internazionale, ritardando la trasformazione del nostro Paese in una grande potenza economica, industriale e poltica.
E quando anche l'Italia ha raggiunto con fatica questo status (di grande potenza), l'instabilità ha fatto sempre si che fosse continuamente messo a rischio.
Ed è proprio dall'instabilità, dalle crisi sociali ed economiche e dall'aspirazione ad essere a tutti gli effetti una grande potenza; dalla debolezza della Politica, quella la "P" maiuscola, dalla fragilità della nostra democrazia - a tratti impotente - che ha tratto vigore, dopo la Grande guerra, il Fascismo.
Un fenomeno degenerativo del sistema democratico e delle libertà individuali, di cui tutti conosciamo bene i dettagli, ma di cui vanno sottolineati, in questa sede, alcuni tratti fondamenali e funzionali allo sviluppo del mio intervento.
Il Fascismo si caratterizzò presto come sistema repressivo e dittatoriale: furono chiusi i giornali e messe a tacere le voci libere; vennero sciolti i partiti, ad eccezione di quello Fascista nauralmente; il partito e lo Stato finirono per identiicarsi, così come il capo del Governo con la nazione; tutto il potere venne concentrato nelle mani del Duce ed espropriati, nella pratica, i poteri del Parlamento, divenuto un ufficio di ratifica delle decisioni del dittatore; gli oppositori politici costretti al silenzio, all'esilio, alla fuga all'estero o alle purghe e ai pestaggi; furono perfino emanate le vergognose leggi razziali e il "Manifesto della razza italiana".
In questo clima il nostro Paese ha vissuto i vent'anni più bui della sua storia.
Ha finito per soccombere in una terribile guerra combattuta al fianco di uno dei peggiori criminali della storia dell'umanità.
Si è macchiata persino del crimine di inviare suoi cittadini ebrei e non nei campi di concentramento e ai forni crematori per motivi sia razziali che politiche.
In questo periodo e in questo contesto storico, soprattutto dal 1943 al 1945, in condizione di clandestinità, svolsero, ai fini della libertà, un importantissimo lavoro i principali partiti eredi della tradizione storica italiana. PCI, PSI, PPI, PRI, PLI, PdA.
Quei partiti che, almeno in principio, in solitudine e con il sacrificio di molte vite, organizzarono e alimentarono la Resistenza dall'interno al nazifascismo nel Centro e Nord Italia.
Quei partiti che prima organizzarono la guerriglia in montagna, facilitati dalle difese naturali e che, in un secondo tempo, spostarono la loro azione anche in pianura, con la tecnica appunto del "pianurismo": ossia quella pratica di resistenza ideata da Arrigo Boldrini, il partigiano morto proprio l'altro ieri e per il quale esprimo anche qui il mio cordoglio, il mio ringraziamento e ammirazione.
Una tecnica che prevedeva la copertura e la complicità della popolazione, l'aiuto della gente comune ai partigiani.
Quindi una tecnica che testimonia come i partigiani e i partiti a cui essi appartenevano e da cui erano coordinati, godessero della fiducia e del sostegno difuso delle popolazioni locali.
Fu, infatti, proprio con questa tecnica e con il comandante Bulow (nome di battaglia di Arrigo Boldrini) che il PCI riuscì a conquistarsi anche la fiducia dei contadini e della popolazione. Fu anche questa tecnica che permise alla Resistenza di essere vincente grazie al coinvolgimento, la fiducia e la partecipazione del popolo alla resistenza al Fascismo.
Una tecnica che facilitò l'arrivo degli alleati in centro Italia agevolandoli, se non essendo determinante, nella conquista di Ravenna e nell'azione di rottura della Linea Gotica e, dunque, nella liberazione anche dell'Italia del nord ancora occupata dall'invasore tedesco.
Dunque, i partiti clandestini, i CLN nell'Italia liberata e il CLNAI in quella ancora occupata dai nazifasciti, furono strumenti essenziali nella guerra al fianco degli alleati agloamericani per la completa Liberazione dell'Italia e per la nascita della democrazia.
Furono proprio i partiti che, dal '43 in poi, costituitisi appunto in CLN regionali e provinciali, gestirono prima alcuni territori liberati autonomamente dall'interno e successivamente gli altri liberati con lo sbarco degli alleati e la rottura della Linea Gotica.
Essi furono inoltre autorevoli interlocutori politici dei governi Bonomi e Parri dal ’43 fino all'elezione dell'Assemblea Costituente del giugno ‘46.
E dopo la Liberazione, tutti i partiti che avevano fatto la Resistenza, con a capo il PCI di Togliatti e la DC di De Gasperi, presentarono i propri candidati all'Assemblea costituente e scrissero insieme quelle regole democratiche che oggi celebrano i sessanta anni di vita e gli altrettanti di pace interna e non.
La Costituzione, dunque, nasce grazie all'impegno dei partiti per fissare le regole democratiche di un Paese che ha vissuto vent'anni di dittatura e cinque di guerra.
Per assegnare il potere politico a un Parlamento sovrano, per creare equilibri, pesi e contrappesi nella gestione della nazione.
Per superare un periodo di terrore, di soprusi privati e pubblici e privazione delle libertà fondamentali.
Nasce per unificare un Paese che risultava profondamente e pericolosamente diviso tra repubblicani e monarchici.
Lo scarto di voti al referendum a favore della Repubblica, era stato infatti di poco meno di 2 milioni di voti.
Tra l'altro fortemente contestati dai monarchici e dallo stesso re Umberto II, che prima di partire per l'esilio all'estero aveva lanciato un proclama in cui parlava addirittura di "un gesto rivoluzionario" compiuto dal Governo" italiano, di un vero e proprio golpe.
Umberto II affermava di essere stato messo nelle condizioni di "provocare spargimenti di sangue" o di subire un sopruso.
Era dunque altissimo il rischio che finita la guerra scopiassero in Italia nuovi e pericolosi disordini.
Molta parte dei comunsti, soprattutto tra quelli che avevano fatto la Resistenza, era pronta a fare la Rivoluzione Socialista, di cui considerava proprio la Resistenza la scintilla d'avvio, com'era stato in Russia con la Prima guerra mondiale.
La voglia di vendetta contro i fascisti era altissima e diffusa anche tra la popolazione, e per i seguaci di Mussolini e del suo regime si invocava la morte.
Molti scontri mortali e vendette anche private si consumarono nell'immediato dopoguerra a danno dei fascisti.
I monarchici non volevano accettare il risultato del referendum di giugno ed erano pronti a riprendere le armi.
In questo clima Togliatti, tornato nel '44 dall'URSS, aveva operato la storica "Svolta di Salerno". Aveva traghettato il partito su posizioni repubblicane e convinto il gruppo dirigente dell'esigenza di una via democratica e pacifica al Socialismo italiano.
Questa svolta fu determinante per mettere da parte le armi.
Per evitare ulteriori e fraticidi spargimenti di sangue.
Per creare le condizioni necessarie per arrivare alla pacificazione nazionale con gli ex fascisti.
Per fare, insomma, dell'Italia, una Repubblica parlamentare democratica, scrivendo con spirito unitario e condiviso, finalmente, quella Costituzione democratica che il Paese non aveva fin qui avuto.
Un primo importantissimo atto nella direzione della pacificazione nazionale, della distensione e dell'unità del Paese, fu la grazia ai fascisti che non si erano macchiati di atti di sangue.
Provvedimento che fu preso proprio da Togliatti non senza importanti opposizioni e malumori sia all'interno del PCI che nell'intero Paese.
E su questa linea di distensione e unificazione voluta dai vari partiti e dai Padri costituenti, continuarono i lavori in Assemblea.
La Costituzione che ne uscì, dunque, riconobbe ai partiti il ruolo determinante che essi svolsero nella clandestinità e per la Liberazione.
Nell'organizzare la lotta e nel produrre mobilitazione e fiducia tra i cittadini.
Ne sancì il ruolo nell'articolo 49, dove è scritto che "tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere in modo democratico a determinare la politica nazionale".
Da questa importante disposizione, poi, discendono quattro principi:
1) La formazione dei partiti è libera: ogni partito ha diritto di cittadinanza nello Stato italiano qualunque sia l'ideologia di fondo. L'unico limite posto a questo principio, riportato nell'articolo 12 delle disposizioni transitorie, è la ricostituzione del partito fasciscta. Esso, infatti, prevedeva lo scioglimento degli altri partiti (com'era già avvenuto nei vent'anni precedenti) e la concentrazione del potere nelle mani di un unico dittatore;
2) La Repubblica si fonda sul pluralismo dei partiti: sarebbe dunque inammissibile un partito unico, come prevedevano altre costituzioni (ad esempio quella dell'URSS) o il regime fascista;
3) Ai partiti viene riconosciuta la funzione di determinare la politica nazionale, in concorrenza e competizione democratica tra di loro;
4) I partiti devono rispettare il metodo e le regole democratiche.
Per metodo democratico si intende il principio per cui la minoranza deve riconoscere e rispettare le decisioni della maggioranza.
Ma allo stesso tempo ha la piena libertà di agire, con tutti gli strumenti pacifici e democratici che la Costituzione mette a disposizione, per diventare a sua volta maggioranza e assumere la guida del Paese.
Questo principio sancisce dunque il metodo democratico e la possibilità del controllo, della confutazione e dell'alternanza pacifica al potere tra maggioranze e minoranze.
Ma questi principi, sebbene accettati, difesi e garantiti da tutti i partiti nei succesivi quarant'anni, hanno dimostrato un grande limite e una fortissima anomalia tutta esclusivamente italiana: il fatto che, pur nel pieno rispetto della Costutzione, non si è verificata l'alternanza.
Il PCI, infatti, non è mai andato al Governo del Paese pur essendo, non solo il più grande partito comunista dell'occidente, ma il secondo partito italiano dopo la DC, che invece è sempre e ininterrottamente rimasta al Governo.
Ciò si spiega col fatto che la Costituzione, come scriveva anni fa Norberto Bobbio usando la metafora del gioco, "stabilisce le regole del gioco. Non stabilisce come si deve giocare, una vota date quelle regole".
La Costituzone, in effetti, fissa le condizioni essenziali e le pregiudiziali in base alle quali un qualsiasi gioco fra più soggetti deve essere condotto.
Quindi le linee di principio che fanno da guida, da cornice.
Le regole su come si deve invece giocare sono quelle che dovrebbero condurre il gioco alla vittoria.
Alla Costituzione e alle sue regole ci si deve dunque attenere in maniera scrupolosa.
Le regole su come condurre il gioco, invece, sono affidate alla libertà delle parti in base a ciò che si ritiene più utile alla vittoria.
Sempre seguendo Bobbio nella sua metafora, possiamo fare un esempio ricordando che la Costituzione attribuisce a ogni singolo cittadino il diritto di voto, e l'applicazione di questa regole non può essere interpretata, ma va applicata scrupolosamente.
Non esiste, al contrario, nessuna regola che stabilisca COME questo cittadino debba votare, QUALE partito o QUALE candidato debba scegliere.
Qualora vi fosse una regola che stabilisse COME si deve votare diverrebbe inutile anche il diritto di voto.
Altra regola costituzionale fondamentale è quella che stabilisce che vi debbono essere PIU’ partiti, ma nessuna che dica QUALE partito vi debba essere.
Una Costituzione che stabilsca quale partito deve esserci non è una democratica.
Esempi di questo tipo sono la Costituzione dell'Unione Sovietica e di Cuba, che stabiliscono che debba esservi SOLO il Partito Comunista.
O quella fascista, che prevedeva solo la presenza del PNF.
Ancora: una regola fondamentale è quella che stabilisce che il Governo debba godere della fiducia del Parlamento, o almeno della non-sfiducia.
E che essa necessità della magioranza delle preferenze parlamentari.
Ma non c'è e non può esserci nessuna regola che stabilisca COME questa maggioranza debba essere formata e da chi debba essere sostenuta.
Regola che esplicita l'inopportunità delle contestazioni che negli ultimi periodi sono state rivolte, ad esempio, ai senatori a vita che sostenevano il Governo Prodi e che, già nel 1994, hanno reso possibile la nascita del I Governo Berlusconi.
Che debba esserci una maggioranza è dunque regola costituzionale, regola del gioco.
COME essa debba essere composta è regola sul modo di giocare, cioè per vincere al gioco.
E il singolo parlamentare non ha, nella nostra Costituzione, alcun vincolo di appartenenza né di mandato.
Gode della insindacabilità del proprio mandato elettorale, della piena libertà d'azione e autonomia.
Non a caso, infatti, il Senatore De Gregorio, eletto ne L'Unione, è passato subito dopo la sua proclamzione all'opposizione.
Così i senatori eletti ne L'Unione che oggi hanno negato la maggioranza al Governo Prodi, votando con l'opposizione, hanno decretato la fine di quella maggioranza nella quale erano stati eletti e che si erano impeganti a sostenere per una intera legislatura.
Ma torniamo un po’ indietro nel tempo.
I Costituenti non avevano previsto, nel sistema dell'alternanza, la possibilità di un'opposizione "eversiva" o di una democrazia consociativa, nell'accezione positiva del termine: quella che si sarebbe potuta realizzare con il Compromesso storico tra DC e PCI negli anni Settanta.
La Costituzione disegna un sistema parlamentare che funziona con una serie di partiti diversi tra di loro.
Ma per cinquant'anni ve n'è stato uno considerato”più diverso” degli altri: quello Comunista.
Esso era visto come "eversivo" del sistema, quindi sempre escluso dalla partecipazione al Governo.
La Costituzione, dunque, scritta in un momento di massima collaborazione storica tra i diversi partiti e in un clima di partecipazione democratica, non aveva potuto prevedere la successiva conventio ad excludendum nei confronti di un partito che pure aveva piena legittimazione e leggittimità a governare.
La conventio ad excludendum ha dato luogo ha un sistema del bipartitismo (o multipartitismo) imperfetto, in cui vi erano sostanzialmente due partiti egemoni candidati a governare il Paese e ad alternarsi, ma che in realtà non si sono mai alternati.
Anche nel caso in cui si fosse raggiunto il Compromesso storico, esso avrebbe creato un Governo delle due principali forze politiche italiane facendo venir meno, ancora una volta, ma con un sistema diverso, l'alternanza.
Dunque l'italia ha vissuto l'anomalia di un sistema costituzionale e parlamentare dell'alternanza senza alternanza, almeno fino all'inizio della Seconda Repubblica.
E tutto ciò nonostante la nostra storia parlamentare si sia caratterizzata da un succedersi quasi annuale di Governi e da una instabilità cronica di cui ho già detto.
Dunque, rimanendo sempre nella metafora bobbiana del gioco, possiamo dire che un sistema in cui lo stesso partito governa per cinquanta anni e l'altro resta per altrettanti cinquanta anni all'opposizione, è come un gioco in cui una parte è sempre vincente e l'altra sempre perdente.
Non può invece esistere un gioco in cui, per regola, una parte sia sempre vincente e l'altra sempre perdente.
Esso non sarebbe un gioco, bensì un solitario in cui un giocatore cambia le regole a suo piacimento senza opposizione alcuna e fa ciò che più gli torna comodo.
Come la storia ci insegna, la figura del grande giocatore solitario è quella del tiranno.
Di quel tiranno moderno che è il partito unico o l'uinico partito che governa ininterrottamente.
Con questo però, non voglio dire assolutamente che l'Italia ha vissuto nel passato recente una dittatura o l'imposizione violenta di un partito unico.
Ciò che è successo è che non si è realizzato il principio parlamentare dell'alternanza stabilito dalla Costituzione.
Abbiamo avuto una democrazia imperfetta e una Costituzione applicata solo in parte.
Ciò non significa nemmeno che non si siano rispettati i dettami e le regole costituzionali.
Ma significa che essi sono stati elusi nel solo modo democratico possibile, senza andare fuori dal sistema: e cioè con la conventio ad excludendum dei vari partiti in gioco nei confronti del PCI.
Ciò che è valso, nella democrazia e nell'anomalia italiana, è stato dunque il principio del "solo un parito al Governo e non l'altro".
Cioè il principio della DC, degli USA e dell'anticomunismo.
Ad esso il PCI aveva provato a dare una risposta solo con un altro principio, cioè quello Berlingueriano del "tutti e due insieme", ossia il Compromesso storico.
Mai realizzatosi anche a causa del sequestro e dell'omicidio di Aldo Moro, il leader della DC con il quale Berlinguer teneva il dialogo per la realizzazione del suddetto Compromesso.
Il terzo eventuale principio, "nè l'uno nell'altro", non è stato mai concretamente realizzabile per l'esiguità e la debolezza degli altri partiti italiani, troppo piccoli per fare un governo che escludesse sia la DC che il PCI.
Dunque l'Italia e la sua Costituzione hanno vissuto una anomalia storica, parlamentare e politica che si è trascinata per quasi mezzo secolo.
Essa è il frutto della rottura del dialogo, avvenuta nel 1948, tra le forze cattoliche e quelle comunista, socialista e progressista.
Questo rottura, che a mio avviso è stata una iattura per la democrazia e per l'Italia e allo stesso tempo una incoerenza storica, è stata la conseguenza della divisione del mondo in due blocchi contrapposti e l'inzio della Guerra fredda.
Una condizione venuta poi meno solo nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e la definitiva implosione dell'URSS.
Da allora, come Sinistra italiana, abbiamo avviato un ampio discorso sulla transizione e sul ripensamento di questa parte politica. E' iniziata una transizione complessa, impegnativa difficile e a tratti molto dolorosa.
Un processo da molti definito "incompiuto".
Solo oggi stiamo provando a completare quel percorso.
Lo stiamo facendo creando una casa comune delle diverse e più importanti tradizioni politiche italiane e dei diversi riformismi del nostro Paese.
Stiamo creando un partito che dovrà contribuire a riformare l'intero sistema politico nazionale e a dare all'Italia e ai suoi governi quella stabilità politica che non ha mai avuto dall'Unità a oggi, fatta eccezione per il Ventennio di dittatura.
Un partito capace di interpretare e affrontare con nuove capacità e nuove strategie le sfide a cui la globalizzazione ci mette di fronte.
Un partito nuovo e forte; unito, ma plurale; con radici profonde; tradizioni storiche autorevoli, ma in grado di guardare al futuro e alle nuove generazioni post ideologiche o de-ideologgizzate.
In questo senso, dunque, l'esposizione che ho fin qui fatto della storia recente e meno recente del nostro Paese, penso abbia in parte evidenziato un particolare aspetto: come la tradizione ci abbia consegnato un quadro politico nel quale le migliori famiglie politiche e riformiste dell'Italia (socialista, cattolica e liberlademocratica), soprattutto nei momenti più drammatici della storia patria, abbiano sempre condiviso scelte strategiche e vitali per la libertà e la democrazia italiana.
Penso alle lotte dei primi partiti di massa alla fine dell'800, cioe’ quelle per il riscatto delle masse e la liberazione dell'individuo dalla schiavitù;
penso alla Resistenza e al cammino verso la Liberazione, con i CLN dal '43 al '45 a cui ho fatto largamente cenno; e penso, infine, all’impegno comune e allo spirito unitario e d'ascolto reciproco nell'Assemblea Costituente.
Queste famiglie politiche hanno poi percorso cammini distinti per ragioni solo in minima parte derivanti dalla politica nazionale.
Lo ricordavo prima: un mondo diviso riproduceva in casa nostra, accentuandole, contrapposizioni e distinzioni.
Per tutto il così detto Secolo breve, come lo ha definito Hobsbawn in un suo splendido saggio, questi riformismi hanno vissuto in partiti affiliati a ideologie e modelli contrapposti.
Ma sappiamo bene, per averlo vissuto nell'amministrazione del territorio e nella pratica politica quotidiana, che essi hanno convissuto e contribuito a trovare mediazioni e risposte concrete e condivise.
A livello nazionale, anche se in fasi emergenziali, si è data prova di eguali capacità di incontro.
Basti pensare alla lotta al terrorismo degli anni Settanta e Ottanta.
Il terrorismo, seppur anche di matrice rossa, è stato sconfitto proprio grazie alla condivisione degli ideali democratici e di pace a cui sia la DC che il PCI anelavano.
Al rispetto di quella Costituzione democratica e parlamentare che insieme avevano scritto e che prevedeva la pluaralità di posizioni, purché promosse senza violenza.
Furono proprio due magistrati di chiara cultura politica di Sinistra che diedero il contributo maggiore e determinante alla sconfitta del terrorismo: Gian Carlo Caselli, successivamente distintosi anche nella lotta alla mafia, e Luciano Violante, divenuto uno degli esponenti di spicco del PCI prima e del PDS-DS-PD poi.
Ma si pensi anche alla redazione dello Statuto dei lavoratori del 1970, che ha rappresentato una tappa importante del riconoscimento e della tutela della dignità dei lavoratori e a cui hanno dato eguali energie sia la tradizione cattolica che quella laica e di Sinistra.
Oggi, dopo il crollo dei "muri", dopo la fine della Prima Repubblica e la ripresa del processo di integrazione e di allargamento dell'Unione europea, molta parte di ciò che ha tenuto distinte e contrapposte quelle tradizioni e famiglie politiche, è venuta meno.
Oggi, dunque, la storia e l'esigenza di ripensare il ruolo della Sinistra, spinge gli eredi dei due principali partiti italiani a cercare una evoluzione che li porti a una casa comune.
Questi partiti oggi guardano agli stessi grandi orizzonti: all'esigenza vitale di governare la globalizzazione, il liberismo economico e gli effetti della rivoluzione tecnologica e della bioetica.
Ma guardano anche alla pace; allo sviluppo sostenibile; all'accoglienza e all'integrazioine; al multiculturalismo; alla possibilità di aprire per il nostro Paese una nuova stagione che segni per tutti una nuova tappa di uguaglianza, libertà e diritti della “Persona”, quella con la "P" maiuscola.
Sono tutte sfide che stanno pienamente in quei valori laici scolpiti nella Costituzione di sessanta anni fa.
Ma sono sfide di fronte alle quali nessun partito del '900 può pensare di bastare a se stesso.
E soprattutto sono sfide non realizzabili senza la stabilità di governo di cui il Paese ha bisogno.
E l’arenamento a cui siamo andati incontro oggi nell'Aula del Senato ce lo dimostra ancor di più.
Di fronte a tutto ciò, la nostra Costituzione mostra oggi alcuni limiti.
Essa va guardata, dunque, sotto un duplice aspetto: da una parte l'attualità di valori che sono ancora scolpiti nella pietra: quelli della prima parte della Carta;
dall'altra l'erosione degli strumenti con cui quei valori vanno perseguiti: quelli della seconda parte.
Quando i Padri costituenti hanno redatto la Carta, per la situazione storica che ho accennato, erano mossi da timori ancora vivi di dittature militari e di reazioni violente.
Avevano dunque la necessità di disribuire poteri, di creare pesi e contrappesi, di evitare la concentrazione di forze in poche mani.
Per questo vollero un bicameralismo perfetto e una vasta presenza di rappresentanti del popolo in Parlamento; un Presidente del Consiglio come “primus inter paris”; un Presidente della Repubblica quale garante della Costituzione e con pochi poteri, nessuno dei quali esecutivo.
Oggi, che il sentimento democratico dovrebbe essere cosa acquisita e diffusa, il rischio di dittature militari lontano, la libertà individuale considerata inalienabile; oggi che l'esigenza di governi stabili è divenuta quanto mai vitale per l'economia, così come la necessità di prendere decisioni in tempi brevi, poiché la globalizzazione e i nuovi sistemi di comunicazione costringono alla rapidità delle scelte per far fronte a ogni tipo di concorrenza; oggi gli strumenti decisionali che la Costituzione ci consegna vanno necessariamente rivisti.
E' in questo senso, dunque, e la caduta del Governo di oggi ce lo conferma ancor di più, che occorre lavorare per una riforma che vada nella direzione del superamento del bicameralismo perfetto.
Che dia maggiori poteri all'esecutivo e al Presidente del Consiglio.
Che permetta maggiornaze più stabili, magari con l'introduzione del sistema della sfiducia costruttiva.
Oggi è caduto il Governo nazionale per il volere di sole quattro persone e noi ci troviamo nell'incertezza più totale.
Non sappiamo se ci potrà essere un atro Governo e da chi potrà essere formato e sostenuto.
Non sappiamo se si andrà alle urne e con quale legge elettorale.
Un clima di incertezza che mina anche i mercati e l'economia, oltre che la credibilità internazionale e la continuità necessarie alla politica estera.
La sfiducia costruttiva potrebbe in parte aiutare in queste condizioni, poiché nel monmento in cui si sfiducia un Governo, parallelamente se ne deve indicare un altro.
Si aiuterebbe la stabilità e la certezza degli esecutivi.
Il superamneto del biacameralismo perfetto, con un Senato delle regioni che non vota la fiducia al Governo, farebbe diminuire di gran lunga le situazioni come quella di oggi, dato che il Governo aveva ampiamente ottenuto la fiducia alla Camera solo ieri.
In questa direzione avevano lavorato la Commissione Bicamerale del 1994, presieduta dall'Onorevole Nilde Iotti, così come la Commissione Bicamerale del 1996, presieduta dall'Onorevole D'Alema.
In questa direzione ci ha esortati ad andare, ancora una volta ieri alla Camera dei Deputati, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricordando quanto sia essenziale una riforma dell'ordinamento costituzionale per ciò che riguarda proprio l'Ordinamento della Repubblica.
Il Presidente ha incoraggiato il Parlameno ad avanzare "proposte che abbiano loro ragioni, di più lungo periodo, rispetto a un distinto e parallelo cammino - che pure ha auspicato - di riforma elettorale".
Naturalmente, come ha aggiunto il Presidente, riforme di questo tipo, vanno pensate "in generale, ogni discorso sulla Costituzione deve prescindere da calcoli contingenti, caratterizzarsi per la sua autonomia e la sua ponderazione".
Vanno pensati senza calcoli di convenienza politica immediata, come è stato fatto nel 1998 quando è stata invece affossata quella Bicamerale che aveva fatto un lungo e articolato percorso condiviso.
Se quelle riforme fossero andate in porto l'Italia oggi non avrebbe i gravi problemi di stabilità a cui assistiamo. E non si troverebbe a dover risolvere esattamente gli stessi, identici problemi di dieci anni fa.
Allo stesso modo, dunque, anche oggi servirebbe uno sforzo comune e uno spirito di collaborazione simile a quello dei Padri costituenti del '46, capace di mettere da parte tentazioni ed egoismi politici immediati e di corto respiro, ma capace di creare le condizioni per un lavoro di larghe intese.
Un lavoro che porti da una parte alla riforma della legge elettorale e dall'altra alla revisione della seconda parte della Costituzione. Un impegno capace di rendere finalmente applicabile e concreto sia il principio dell'alternanza che l'esigenza di stabilità e decisioni veloci, pur restando nel sicuro e democratico ambito del parlamentarismo costituzionale.
In questo senso, però, mi pare che il richiamo di ieri del Presidente Napolitano a "un concorso di volontà, che non può e non deve mancare", si riveli cosa di difficile realizzazione.
Nonostante tutto, però, anche questa fase verrà superata dal nostro Paese senza degenerazioni violente, proprio grazie alle certezze e all'attualità dell'architrave costituzionale.
Sarà infatti, come prevede la Costituzione, il Presidnete della Repubblica a dover gestire con la saggezza e l'autorità che gli sono proprie, la transizione politica delle prossime settimane.
Cosa che, sono certo, farà nel migliore dei modi possibili, avendo come orizzonte solo l'interesse nazionale e come riferimento per la rotta il rispetto della Costituzione, oltre che la sicura garanzia della democrazia nel nostro Paese.
Concludo questo mio intervento, quindi, in un momento così difficile per il nostro Paese, proprio con le parole del Presidente Napolitano, che sono un bellissimo, sincero e moderno richiamo all'unità e a un nuovo spirito patriottico: "Ci unisce e ci incoraggia in questo sforzo la grande, vitale risorsa della Costituzione repubblicana. Non c'è terreno comune migliore di quello di un autentico, profondo, operante patriottismo costituzionale. E', questa, la nuova, moderna forma di patriottismo nella quale far vivere il patto che ci lega: il nostro patto di unità nazionale nella libertà e nella democrazia".
Grazie di cuore a tutti voi per l'attenzione e la pazienza riservatami e, se lo ritenete utile, sono pronto a rispondere a tutte le domande che da qui in poi vorrete farmi.
Grazie ancora.
venerdì 1 febbraio 2008
mercoledì 30 gennaio 2008
Il canto del cigno
Prima che cadesse il Governo ho partecipato, dalla Sala stampa della Camera, a un dibattito televisivo sulla Finanziaria insieme ad esponenti di AN e FI, condotto da Maurizio Bertucci su Rai International.
Un'occasione che ha permesso di fare un bilancio minimo dell'azione di Governo, vista dal punto di osservazione delle politiche per gli italiani all'estero. A me è parso un bilancio positivo, ma evidentemente non è bastato. Sono convinto che nei prossimi mesi avremmo potuto fare ancora di più e meglio. Penso sia utile, oggi, alla riflessione politica, rivedere quel confronto.
Chi ha la voglia e la pazienza di farlo può cliccare qui e lanciare la puntata di "Italia chiama Italia Parlamento", cliccando in basso, al centro della pagina, sul link Guarda la puntata di gennaio 2008, a destra dell'immagine del Parlamento.
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