lunedì 31 maggio 2010
Tutti a Francoforte
Sabato scorso ho partecipato alla manifestazione di Francoforte contro i tagli alle risorse per gli italiani all'estero e il rinvio delle elezioni dei Comites. Ho detto più o meno queste cose.
Non so se oggi sia una bella o una brutta giornata.
È sicuramente bella perché le comunità italiane all’estero si ritrovano unite a manifestare con le loro rappresentanze, le loro associazioni, i loro partiti.
Perché riscoprono e valorizzano insieme il proprio senso di appartenenza e comunità.
Ma è anche una brutta giornata, perché si trovano a dover rivendicare diritti acquisiti e pratiche democratiche che nessuno dovrebbe mettere in discussione e che invece si stanno di fatto cancellando.
Stiamo assistendo a un vero e proprio processo di svuotamento delle comunità italiane all’estero.
Un processo che non è il frutto del caso, ma di una visione distorta della presenza italiana nel mondo.
Gli italiani all’estero, i loro organismi di rappresentanza e i capitoli di spesa ad essi dedicati sono considerati come un costo improduttivo e anacronistico a carico dello Stato.
Per questo motivo non si è fatto altro che tagliare le risorse e sminuire il ruolo delle rappresentanze, parlamentari compresi.
Si sono praticamente azzerati i corsi di lingua e cultura, cioè l’anima del Paese e il filo conduttore tra le diverse generazioni e l’Italia, oltre che il volano della proiezione e conoscenza dell’Italia nel mondo.
Tutti i Paesi moderni conquistano spazi e autorevolezza all’estero non più con le armi, ma investendo nel mercato soprattutto attraverso la cultura.
Si è usata la mannaia sull’assistenza, penalizzando gravemente una fetta si minoritaria di cittadini, ma quella più indifesa e bisognosa che non può essere lasciata sola e al mercato.
E questo è grave non solo da un punto di vista politico e istituzionale (e a me già basterebbe così), ma anche etico e morale per un Paese che si dice cristiano e che accoglie in Parlamento il Papa con i più alti onori.
Si sta mortificando il ruolo dei Comites e del CGIE prorogandone di tre anni il rinnovo.
Questo continuo rinviare, fino quasi a raddoppiarne la durata legalmente riconosciuta, lascia intendere che la loro funzione istituzionale, democratica e sostanziale non è importante.
Inoltre si sfiancano le persone che in questi organismi lavorano a titolo volontario e che dopo cinque anni avrebbero l’esigenza di un naturale ricambio o di una nuova spinta che viene dal confronto elettorale.
Lo abbiamo detto tutti, in tutti i contesti.
Eppure si continua a ignorarlo.
Ma non perché non vi sia la consapevolezza che le elezioni andassero fatte già lo scorso anno, ma perché si vuole barattare il rinnovo dei Comites con l’approvazione di una proposta di riforma degli stessi Comites e del CGIE che nessuno vuole.
E siccome nessuno la vuole, sostanzialmente si opera un vero ricatto istituzionale: “o accelerate e facilitate l’approvazione della riforma o non si rinnovano i Comites”.
Questo ricatto è inaccettabile!
E lo è non perché qui qualcuno non vuole riformare Comites o CGIE.
Ma perché già nel 2003 si rinviarono le elezioni dei Comites.
Si disse che li si doveva riformare tenendo conto dell’introduzione del voto e della rappresentanza parlamentare degli italiani all’estero.
Ciò che si dice anche oggi.
Ma quella riforma allora è stata fatta.
A meno che non si dica chiaramente che è stata fatta talmente male che occorre rifarla oggi. Ma si abbia il coraggio di dirlo però.
E poi, in quanto al CGIE, già qualche anno fa erano state date delle linee di autoriforma dalle quali si poteva partire.
Invece non se ne è tenuto conto e si è andati in tutt’altra direzione.
Persino sbagliando, anche seguendo una logica puramente economicista, dato che questa riforma porterebbe anche un incremento di costi, mentre oggi si vuole fare riforme che li diminuiscono.
Ecco perché, quindi, oggi a Francoforte, poi a Buenos Aires e successivamente a Vancouver, le comunità e le loro rappresentanze sono unite e devono manifestare facendo sentire con forza la propria voce.
Ed ecco perché il Governo deve rivedere la decisione del rinvio.
C’è ancora tempo se solo si ha la buona volontà di ascoltare e dialogare senza ricatti.
Si vada al voto e poi si riprenda con la giusta saggezza e i giusti tempi il percorso della riforma del CGIE partendo proprio dalle linee di autoriforma che lo stesso CGIE ha tracciato.
C’è ancora tempo per convocare entro giugno le elezioni.
Ci credo ancora.
Perché c’è stato un atto di coraggio trasversale ai partiti in questo senso.
Atto di coraggio che ha però subito una battuta d’arresto nei giorni scorsi.
Prima in Commissione e poi in Aula, quando si è votata la conversione del Decreto per il rinvio delle elezioni.
Mi sarei aspettato, e lo dico davvero senza alcuno spirito di polemica – che sarebbe inutile e dannoso – ma con un po’ di amarezza, che anche i parlamentari del PDL eletti all’estero avessero votato non contro il Decreto, ma almeno a favore degli emendamenti contro il rinvio.
In questa direzione si è impegnata, insieme a tutti i parlamentari del PD, persino il Vice Presidente della Camera, l’on. Rosi Bindi, per presentare un emendamento che, coerentemente con quanto detto alla plenaria del CGIE, chiedeva l’annullamento del rinvio delle elezioni.
Questo il CGIE aveva chiesto all’on. Bindi nella sua veste di Vice Presidente della Camera tempo fa. Questo lei si era impegnata a fare e questo ha fatto.
C’era dunque, l’altro giorno, a chiedere l’annullamento del rinvio, una alta carica istituzionale, c’era il principale partito di opposizione, e ci sono il CGIE e i Comites.
Sarebbe stato un segnale fortissimo se anche i parlamentari del PDL eletti all’estero, uniti come è stato unito il CGIE e come siamo uniti oggi qui, avessero votato si agli emendamenti contro il rinvio.
Probabilmente, anzi sicuramente, gli emendamenti non sarebbero passati, ma non sarebbe stata scalfita l’unità delle comunità e, soprattutto, sarebbe stata inequivocabile e senza appello la bocciatura della decisione del rinvio: che è la cosa che oggi ci importa per non far morire i Comites.
Comunque c’è ancora tempo se c’è una volontà di ascolto.
C’è ancora tempo se il Sottosegretario Mantica vuole guardare a quello che è avvenuto in questi due giorni a Francoforte.
Se ha la modestia di capire che non ci sono contrasti strumentali o ideologici, ma richieste sensate e ragionate.
Assuma, dunque, il Sottosegretario, un atto di responsabilità nei confronti degli italiani all’estero.
Nessuno lo interpreterà come un suo passo indietro o una sua sconfitta.
Ma come l’atto di ascolto di una persona saggia verso il mondo che è stato chiamato a rappresentare.
Se non lo farà, invece, sarà legittimo per tutti pensare c’è un disegno politico tendente a smantellare l’intera rete degli italiani nel mondo: dalle politiche che li riguardano alle rappresentanze che si sono dati in decenni di battaglie e di rivendicazioni.
Un errore davvero grave e anacronistico.
Grazie a tutti.
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