
1) Per quanto non ami le fiction, ritengo che questa sia stata un’operazione utile, poiché ha riaperto un dibattito sulla figura di Rino Gaetano, sottolineando come questo eccentrico personaggio crotonese sia attualissimo e di grande spessore musicale e culturale. Basti solo pensare che già anni fa i Democratici di Sinistra scelsero la sua canzone “Ma il cielo è sempre più blu” come colonna sonora degli eventi ufficiali più importanti. Basti solo guardare con quanto entusiasmo viene accolta e cantata dalle platee a cui la si sottopone: persino D’Alema e Fassino, anche se un po’ ingessati, li ho visti battere a tempo le mani e accennare alcuni versi della canzone. Basti ancora pensare che Maurizio Crozza, a fine di ogni puntata, ne fa cantare alcuni versi ai propri ospiti.
2) Non mi è piaciuto come è stata presentata la figura di Rino: troppo maudit, troppo tragico e disperato. Certo questi tratti della sua figura sono reali: era un cantautore in crisi, permettetemi il termine, esistenziale, beveva, soprattutto negli ultimi tempi. Viveva in pieno la contraddizione di essere realmente un “proletario” di estrazione, ma allo stesso tempo cantautore di successo, a contratto con una grande casa discografica e nelle condizioni di poter tranquillamente comprarsi una Volvo (vera) e una villa fuori Roma (falsa quella televisiva). Ma questo non lo ha mai portato a isolarsi dai suoi amici di sempre, dalle due prostitute con le quali aveva un’amicizia sincera, dal suo quartiere, Montesacro, dove mangiò per l’ultima volta la sera prima di morire, alla pizzeria La Pinetina, proprio sotto casa sua. Non ha mai smesso di essere un “cazzaro”, uno di quelli che tira fino all’alba con gli amici (e non solo e non sempre alle serate che gli imponeva il ruolo, quelle erano più sporadiche). Era uno di quei calabresi vivaci con la battuta sempre pronta, intelligente. Insomma, l’aspetto giullaresco di Rino, anche nella vita e con gli amici, non si è visto.
3) Non mi sono piaciute nemmeno le molte e a volte azzardate invenzioni: quella villa, ad esempio, non era proprio nelle corde di Rino. Se volevano sottolineare come da una condizione di povertà fosse passato, solo grazie ai suoi meriti artistici, a una condizione di ricchezza, potevano farlo presentandone una simile a quella che aveva acquistato a Mentana, con un orto in cui lui stesso coltivava pomodori, ravanelli, cetrioli e quei peperoncini piccanti che mangiava assoluti, come solo un calabrese sa fare. Non, dunque, una villa da industrialotto del Nordest. Non mi è piaciuto nemmeno come hanno rivisitato la sua storia d’amore con Amelia, il vero nome della ragazza di cui si era innamorato prima del successo. Non mi è piaciuto come hanno presentato il rapporto estremamente conflittuale e critico col padre e nemmeno quello con Bruno Franceschelli, l’amico di sempre e compagno di molte scorribande notturne. Con Bruno i rapporti sono stati buoni fino alla fine, anche se solo negli ultimi mesi si vedevano un po’ di meno perché Bruno lavorava al Ministero e la mattina doveva alzarsi per lavorare quando Rino andava a letto. Il padre, invece, era da poco uscito dal coma quando Rino ha avuto l’incidente e Rino stesso lo aveva accompagnato in Calabria per riprendersi un po’ e cambiare aria. Erano tornati il 28 maggio a Roma, quindi la scena di lui che sta male e chiama il padre prima di morire è una fesseria completa per addolcire il rapporto conflittuale tra i due: ma quel conflitto non può essere letto solo in termini generazionali, magari in chiave sessantottina, ma secondo schemi, comportamenti e culture che, forse, solo un calabrese può capire. Forse per questo sarebbe bastato parlare un po’ di più con la sorella maggiore Anna, ingiustamente assente nella fiction. E poi non mi è piaciuto per niente il fatto di aver presentato Amelia incinta di un altro: Rino aveva realmente deciso di sposarla e, per questo, aveva rintracciato anche padre Simeoni, il parroco a cui era molto legato, a cui aveva chiesto di sposarlo (nonostante fosse ateo) e con il quale stavano preparando i documenti di nozze. La mattina dopo l’incidente Rino doveva incontrarsi proprio con Amelia.
4) Insomma, bene aver parlato di Rino; bene averne sottolineato alcuni tratti artistici e culturali; bene averlo presentato come uomo in crisi; bene il lavoro fatto su se stesso da Claudio Santamaria. Male non aver fatto emergere i suoi tratti privati scanzonati e ironici; male non aver affrontato meglio il momento dell’incidente e della morte, di cui ha molte colpe la sanità italiana, che ha rifiutato Rino in cinque ospedali della capitale, costringendolo alla morte dopo quasi quattro ore dall’incidente e senza un pronto intervento. Eesattamente come Renzo, il personaggio di una sua ballata scritta circa dieci anni prima, mai uscita e che oggi, invece, qualcuno dovrebbe proprio incidere.