Raramente ospito nel mio blog articoli non miei. In questo caso rubo a Marco una sua riflessione per farla anche mia. Buona lettura.
La XVI legislatura è stata inaugurata da una nuova stagione per gli italiani all’estero. La stagione del conflitto con gli organismi di rappresentanza, dei tagli a strutture e servizi, della disparità di trattamento. Con una strategia basata su alcuni punti fermi, ripetuti ogni giorno da chi ha responsabilità di governo, poi trasformatisi in azione politica di maggioranza.
La presunta duplicazione dei livelli di rappresentanza, mantraideologico del Governo, ha tenuto banco a inizio legislatura. Arrivano poi i tagli ai capitoli di bilancio, la chiusura di sedi consolari, la chiusura di istituti di cultura e la riduzione di lettorati. Arrivano anche i tagli all’informazione, alle camere di commercio e ai patronati.
Governo e maggioranza sono poi incapaci nell’azione di tutela degli italiani all’estero, sul piano della parità sostanziale di diritti e doveri sanciti dalla Costituzione. Come dimostrato dal dibattito su esonero ICI, assegno sociale, detrazioni fiscali.
Momenti caratterizzati anche dall’assenza di riforme e di progetti. Con l’esclusione della riforma di Comites e Cgie. Alcuni di noi ritenevano che mancassero, sicuramente, le condizioni di urgenza e che la necessità andasse invece commisurata ai tempi e ai contenuti delle riforme costituzionali.
In sostanza si riteneva indispensabile avere un quadro delle modifiche previste alla rappresentanza parlamentare, prima di modularne l’assetto complessivo.
Oggi abbiamo un testo, pronto al voto al Senato, sul quale pesa il parere contrario del Cgie e dei Comites, sul quale sono emerse profonde divisioni con i deputati, internamente ai gruppi e alle forze politiche, sul quale pesano valutazioni critiche da parte delle associazioni, patronati e sindacati.
Il rischio nell’immediato è un sostanziale scollamento tra i soggetti che compongono il panorama della rappresentanza. E questo sarebbe un grave errore. Occorre fare in modo di mantenere sempre aperti i canalidel dialogo. Comites, Cgie, Parlamentari e Associazioni rischiano di dilaniarsi su una proposta di riforma mentre mancano all’appello due elementi fondamentali. Manca un esecutivo che sia almeno disponibile all’ascolto, che sia attento a garantire almeno la difesa dei principi su cui si fonda il rapporto con gli italiani nel mondo, oltre a tutelare i diritti acquisiti promuovendo la parità di trattamento. Manca inoltre un forte rapporto con le comunità che non sia fatto unicamente di presenzialismo ma di proposta innovativa. In questo siamo tutti carenti. Anche le Associazioni, sia quelle attive sia le sigle vuote. Il problema è che la proposta che sarà votata dal Senato non risolve gli aspetti fondamentali. Non rende né più diretto né più chiaro il rapporto con la rete diplomatico-consolare, che intanto inizia a dare segnali di crescente insofferenza nei confronti della rappresentanza. Non rende più forte il rapporto con la comunità poiché mancherebbero ancora gli strumenti, da quelli finanziari, per svolgere un ruolo che oggi non può più essere unicamente consultivo, ma deve essere di raccordo e di collegamento, anche con le autorità locali. Non rende più importante il ruolo di Comites e Cgie poiché, per esserlo, occorrerebbe sempre un esecutivo che dimostri capacità d’ascolto.
Per queste ragioni non comprendo, davvero, lo sforzo dei colleghi senatori di opposizione nell’approvare un testo che alla Camera non potremo accogliere. Che dovremo stravolgere. Con un secondo rischio. Nonostante la contrarietà alla proposta emersa dai lavori del Senato, espressa dalla maggioranza dei deputati e senatori di opposizione eletti all’estero, se questa procedesse indipendentemente dalle posizioni espresse, esternamente e internamente ai gruppi e ai partiti, se fosse approvata nonostante il voto contrario degli eletti all’estero, porremmo ulteriormente in difficoltà la rappresentanza parlamentare. Un pericoloso gioco al massacro, peraltro inutile.
Dobbiamo chiederci che ruolo stanno svolgendo i deputati e senatori di maggioranza, in che misura sostengono, alla Camera come al Senato, il progetto di riforma.
Il confronto con Governo e maggioranza è stato aspro e teso. Non abbiamo concesso nulla come opposizioni, abbiamo sempre proposto una strategia di dialogo critico e ci siamo dichiarati pronti a un confronto sui contenuti. Eppure non è bastato. Non è bastato per chiarire le perplessità e per migliorare il testo prima del voto. È mancato anche un approfondito confronto interno ai gruppi e alle forze politiche, come invece è avvenuto per la riforma delle norme per l’esercizio in loco del diritto di voto. E questa è sana autocritica.
Non mi sorprende che chi crede in un progetto lavori per vederlo realizzato. Non ci si deve sorprendere, allora, quando i “non credenti” lavorano per non vederlo realizzato o per modificarlo. Evitiamo quindi il fuoco incrociato, sempre inutile e dannoso.
È sorprendente invece che il Governo, su un tema come questo, abbia preferito nascondersi dietro l’iniziativa parlamentare evitando in tal modo di aprire un confronto serio sui contenuti della riforma.
È sorprendente che una proposta di riforma di Comites e Cgie, ad esempio, non parta da un’analisi precisa di ciò che funziona, quindi da rafforzare, ed elimini o modifichi radicalmente ciò che non ha funzionato o è superato dai tempi. La riunione annuale di coordinamento tra la rete diplomatico-consolare, i Comites, il Cgie, le Associazioni, gli Enti gestori e i Parlamentari è il momento più importante della vita di questi organismi. In alcune realtà è sistematicamente ampliato anche ad altri momenti di coordinamento, come il Forum dei Parlamentari locali e il coordinamento dei giovani. Con risultati assolutamente inediti anche nei confronti dei Governi locali.
È sorprendente, infine, che ci si trovi costretti a dedicare molto tempo a una discussione che purtroppo appare sterile e vuota. Sono sorpreso anche di avervi dedicato uno spazio temporale sottratto ad altre attività, tra cui la soluzione di tanti microproblemi che ci arrivano direttamente dagli italiani all’estero.
On. Marco Fedi
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