Rieccomi in pista, senza macchina naturalmente...
In questi giorni ho seguito molto la TV, soprattutto il caso del "rumeno" che a Roma ha ucciso una "donna italiana". Non mi è piaciuto per niente come i vari TG e programmi televisivi hanno affrontato la questione. Stessa cosa per molti giornali e giornalisti. Sono davvero pochissime le riflessioni che ho apprezzato, al di là del fatto che le condividessi o meno. Penso che il tratto determinante emerso da TV e giornali sia solo l'onda della rabbia per un evento tragico, quasi mai accompagnata da una riflessione seria e da risposte utili e realmente risolutive.
Ho notato una serie di comportamenti, di frasi popolari e giornalistiche molto simili a quelle della popolazione americana di New Orleans della fine del 1800, quando dopo l'omicidio di un "americano, per mano di un "italiano", cominciò una lunga serie di terribili e cruenti linciaggi di immigrati italiani (a questo proposito consiglierei la lettura del libro Corda e sapone. Storie di linciaggi degli italiani negli Stati Uniti. Roma, Donzelli, pp. XL-133, € 18,00).
Scrivo queste riflessioni non perché voglia assolvere ogni criminale che circola per Roma o perché voglia fare del relativismo culturale. Ma semplicemente perché vorrei che chi usa mezzi di comunicazione di massa riuscisse ad analizzare più in profondità gli eventi. E scrivo queste cose perché mi piacerebbe che ognuno avesse la forza di sapersi riconoscere nell'altro, in chiunque altro. E' per questo che quando ho deciso di creare un blog ho scelto una sola frase di riferimento: il verso di De André che sta sulla colonna destra, tratto dalla canzone Khorakhané, la tribù rom più discriminata in assoluto, persino tra le altre tribù rom: gli ultimi tra gli ultimi.
Mi piacerebbe che ognuno, ascoltandola, o almeno leggendo il testo che riporto integralmente e che so di questi tempi essere molto impopolare, potesse smettere di ragionare in termini assoluti su "io" e "lui", su "noi" e "loro". E in questo, penso che una delle cose più saggie di questa vicenda, l'abbia detta proprio il marito della vittima.
Khorakhané (A Forza Di Essere Vento)
Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento.
Porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare.
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro.
Saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura.
Finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace.
I figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via.
E poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere.
Ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare
e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio.
Cvava sero po tute i kerava jek sano ot mori i taha jek jak kon kasta
Poserò la testa sulla tua spalla e farò un sogno di mare e domani un fuoco di legna
va su ti baro nebo avi ker kon ovla so mutavia kon ovla
perché l'aria azzurra diventi casa chi sarà a raccontare chi sarà
ovla kon ascovi me gava palan ladi me gava palan bura ot croiuti
sarà chi rimane io seguirò questo migrare seguirò questa corrente di ali
mercoledì 7 novembre 2007
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