E così se n’è andato anche Andrea. Con la solita discrezione che lo ha contraddistinto per tutta la vita. All’improvviso, come quando compariva in ufficio con passo felpato, con lo zainetto sulle spalle e la sigaretta in mano, mentre ti sorrideva piano, quasi come a compiacersi di vederti sorpreso perché non te lo aspettavi e non lo avevi sentito arrivare. "Ciao Mavino". Così mi diceva, con quella sua erre pronunciata quasi come una v e che mi piaceva moltissimo. E forse proprio per questo non mi chiamava per nome, perché capiva che mi piaceva e me lo rendeva ancora più simpatico.
E lui lo sapeva bene quanto mi era simpatico e quanta stima e affetto avessi nei suoi confronti. Sapeva quanto rispettassi le sue opinioni, anche quando erano diverse dalle mie. Negli ultimi anni, infatti, avevamo fatto scelte politicamente diverse (io col PD e lui con SEL), ma continuavamo a lavorare insieme e per costruire il dialogo tra i nostri partiti e con tutto il mondo dell’emigrazione, perché entrambi eravamo convinti che le battaglie si possono fare e, magari, anche vincere se c’è una larga convergenza, se c’è dialogo e unità. E quanto era bravo Andrea a dialogare anche con gli avversari e a trovare i compromessi migliori, pur partendo da posizioni più estreme delle mie.
Non è un caso se oggi, anche gli avversari politici con le idee più lontane dalle sue, quelli che, come lui, si sono formati politicamente e hanno militato nei partiti in tempi in cui scorreva il sangue, parlano di Andrea come di un amico e con parole vere e di grande rispetto.
Al mondo dell’emigrazione e ai più deboli Andrea ha dato molto. E se n’è andato all’improvviso, portando con se ancora molte speranze e molti progetti per le nostre comunità. Se n’è andato il 25 luglio, proprio come quella splendida nave che portava il suo nome, l’Andrea Doria e che, anche lei, s’è inabissata il 25 luglio del ’56 nell’Atlantico insieme al suo carico di speranza, soprattutto dei molti emigranti che pure trasportava.