Mimmo Gangemi, Bruno Giordano Guerri, Giovanna Taviani, Alessandro Profumo, Gianrico Carofiglio, Piergiorgio Odifreddi, Pino Aprile, Roberto Napoletano, Davide Giacalone, Nino Pirito e persino Albano Carrisi. È solo un gruppo di nomi celebri, ma ce ne sono stati e ce ne saranno molti altri. Dove? A Caccuri.
“Non capisco”, direte, “né cosa sia o dove si trovi Caccuri né perché questi nomi”. Allora ve lo dico io, ma occorre un po’ di pazienza per una premessa.
Caccuri è un piccolo paese abbarbicato su una collina della Presila crotonese, a metà strada tra quella che fu la Magna Grecia - culla della cultura e civiltà occidentale, e oggi landa tra le più povere d’Europa e ostaggio della ‘ndrangheta - e i boschi belli, malamente sfruttati, della Sila, dove si anela al turismo sciistico delle settimane bianche, ma si continua a coltivare patate. Ottime però.
In questo contesto, un paesino di 1500 persone, falcidiato dalla disoccupazione e dall’emigrazione, trova la volontà e la capacità, proprio grazie ad alcuni suoi figli emigrati, di organizzare un ambizioso Premio letterario di livello nazionale. Quei nomi sono alcuni degli ospiti, dei premiati e dei giurati di questo premio. Tutti entusiasti di aver preso parte, lo scorso mese di agosto, a una inaspettata kermesse culturale il cui tratto più netto, prima dei contenuti, è stato l’orgoglio di un paese che ha dimostrato, ancora una volta, di avere grandi potenzialità e di riuscire a tradurle in iniziative concrete.
Non c’è qui lo spazio - né voi avreste la pazienza di leggerlo, forse - per il racconto dei giorni del Premio, delle discussioni, delle aspettative, dei dibattiti, delle premiazioni (per chi fosse interessato www.premiocaccuri.it documenta tutto).
Io voglio qui provare a ragionare di qualcos’altro.
Innanzitutto il senso di questo Premio.
Sicuramente è servito a parlare di cultura in una zona del Paese povera, depressa (non solo in senso economico), a confine con uno dei più imponenti regni della ‘ndrangheta, dove la cultura è troppo spesso svilita e mortificata. Una sottovalutazione che fa proprio il gioco della criminalità, poiché i boss sanno bene che la cultura è la prima e più potente arma dell’antimafia.
Poi, il Premio è stato un’ottima occasione per far conoscere Caccuri e incuriosire chi ama un certo tipo di turismo, quello a caccia di itinerari poco battuti, di tradizioni enogastronomiche e artigianali altrove perdute.
Infine, vorrei provare a ragionare sul contesto ‘strapaesano’ che ha accolto Premio e ospiti, anche in relazione allo scenario letterario nazionale.
Come direbbe Sartre, un’opera si definisce dalla relazione che c’è tra libro e lettore. Per il filosofo francese lo scrivere è atto di per sé incompleto e solo la lettura può perfezionarlo. Dunque viene da sé che l’opera letteraria è concepita per il pubblico, il più vasto possibile, che la recepisce secondo i sentimenti personali ma non solo, ché tempo e luogo incidono eccome.
A qualche mese di distanza e stimolato dalle parole un po’ deluse di Roberto De Candia (uno degli organizzatori del Premio), mi pare di poter dire che questa estate, a Caccuri, forse quell’unione imprescindibile sia un po’ mancata. Mi pare non si sia riusciti a dar vita a quella comunità di spirito tra popolazione, autori e opere. Non credo che la responsabilità sia imputabile agli organizzatori del Premio. Al contrario, temo - ma vorrei davvero essere smentito - che a Caccuri si legga pochissimo, anche tra i laureati. Voglio fare un solo esempio: tutto il paese è stato coinvolto ed euforizzato persino dall’“evento” Premio, ma nessuna delle persone con cui ho parlato l’estate scorsa aveva letto una delle opere che io considero un grande romanzo, come oggi si scrivono sempre meno, con un grande respiro storico e popolare. Sto parlando de La signora di Ellis Island, dell’ottimo Cangemi.
Ciò che intendo dire è che l’occasione preziosa offerta dal Premio, forse non è stata colta appieno se è vero che poca è stata la curiosità culturale prodotta dall’evento e poche le riflessioni su come questo potesse diventare il tassello di un più largo progetto culturale per Caccuri e i suoi dintorni.
A conferma di ciò, il fatto che i ripetuti tentativi di innescare qualche discussione pubblica su possibili appuntamenti futuri che continuassero a tessere il filo tirato col Premio, non sono stati coronati da successo.
Davvero un peccato.
Naturalmente non intendo dire che questo scarso interesse sia prerogativa di Caccuri, o della Calabria. Nel resto del Paese non va meglio. Nel Paese di Dante si legge poco e comunque sempre meno. I numerosi e in alcuni casi prestigiosi premi letterari, le storiche e pregevoli case editrici non riescono a risollevare il mercato delle lettere che versa in uno stato che non esagero a definire di emergenza culturale. Insomma, il nostro inestimabile capitale culturale, artistico e di conoscenza non riesce a rappresentare un atou nel mondo globalizzato, un punto di forza e di ripartenza - come invece dovrebbe - in un momento di crisi gravissima.
Ma per tornare a Caccuri e al suo bel Premio, penso che meriti lode e ammirazione la caparbietà degli organizzatori che, se vogliono che la loro creatura cresca, come io spero vivamente, debbono puntare non solo sui nomi illustri da coinvolgere, ma su un progetto di più ampio respiro che sappia coinvolgere le istituzioni locali e la cittadinanza. Una chiave promettente potrebbe essere quella di scommettere su filoni meno sfruttati come quello dialettale. E in questa direzione, se mi è concessa qualche suggestione, esiste in Italia una grande ricchezza nella tradizione musicale, che è poco coltivata dai grandi circuiti culturali e dai premi più prestigiosi e che potrebbe invece diventare una prerogativa nazionale del “Premio letterario Caccuri”. Anche il fumetto potrebbe offrire opportunità inedite al nostro Premio, se pensiamo che la legge italiana ancora non riconosce dignità di “autore” ai fumettisti.