sabato 10 novembre 2012

Quale classe dirigente?

Venerdì 9 novembre ho scritto questo articolo per La gente d'Italia, il quotidiano diffuso in Sud America.

Ho letto con interesse piuttosto divertito l’intelligente intervista che Fabrizio Roncone, sul Corriere del 4 novembre, ha fatto a Iliana Calabrò, la probabile (e improbabile) futura candidata del PDL in America Latina, dove quel movimento, “appaltato” al Senatore Caselli e alla sua lista personale, si presenterà con il nome di Italiani Per la Libertà (IPL), cioè il partito che avrebbe fondato e registrato il nostro ottimo rappresentante alla Camera alta, tra l’altro senza comunicare se di questo probabile (e improbabile partito e lista) faccia parte anche l’on. Angeli.

La malcelata ironia che occhieggia qua e là dall’intervista testimonia probabilmente quanto Roncone sia incuriosito da questi personaggi “esotici” che dal ‘profondo estero’ delle nostre comunità nel mondo arrivano, o ambiscono arrivare, in Parlamento. Intendiamoci: Iliana Calabrò merita tutto il rispetto possibile come persona e come professionista dello spettacolo. Così come è legittima la sua candidatura. Tanto più che col voto di preferenza – che vige all’estero – saranno direttamente i cittadini a scegliere i propri rappresentanti. Ciò che invece l’intervista del Corriere potrebbe utilmente produrre, è una discussione seria sulla questione delle candidature (non solo all’estero) e, più in generale, dei criteri di selezione della classe dirigente. Magari potrebbe capitare di scoprire differenze notevoli tra Partito e partito, tra culture (o inculture) politiche e perfino tra Destra e Sinistra, soprattutto all’estero.

Il senatore Di Girolamo ieri, lo stesso senatore Caselli oggi e la candidatura della signora Calabrò domani, ci raccontano meglio di tanti proclami e punti di programma l’idea che la Destra coltiva dei nostri connazionali all’estero, il loro rapporto e la conoscenza delle comunità italiane nel mondo e il ruolo che queste dovrebbero svolgere in rapporto all’Italia. Generalmente persone molto ‘famose’ o molto ricche (e con il sistema delle preferenze sappiamo bene quanto contino notorietà televisiva e risorse economiche), ma spesso distanti sia da un impegno non dico politico, ma almeno civico all’interno delle comunità che si candidano a rappresentare (per farsene un’idea si dia un’occhiata all’attività parlamentare del Senatore Caselli o alle sue perfomance mediatiche sui social network). Insomma, politici ‘improvvisati’ in ossequio a una regola che, a quanto pare, si applica solo alla politica e per la quale meno ne sai, più sei “un volto nuovo”, meglio è.

A questo punto qualcuno potrebbe pensare che il PD ha solo da guadagnare nel confronto con compagini siffatte. Ma la verità è che troppo spesso i riflettori che si accendono sulle figure più ‘pittoresche’ tra gli eletti all’estero, finiscono per gettare una luce sinistra su tutta la rappresentanza dei cittadini italiani estero e, infine, sullo stesso voto per corrispondenza. Ad esempio, in sei anni di presenza degli eletti all’estero nel nostro Parlamento, si sono spesi fiumi di inchiostro sulla stampa nazionale, su personaggi come Caselli, Di Girolamo, Razzi e persino De Gregorio (che erroneamente si annovera tra gli “italiani nel mondo”, ma che con questi non ha nulla da spartire visto che ha sempre vissuto in Italia ed è stato eletto in Campania. Certo, aveva una TV satellitare dal nome “Italiani nel mondo channel”, ma questa è un’altra storia). Molto meno abbiamo letto dei vari Fedi, Bucchino, Porta, Garavini, Randazzo, Micheloni, Farina e Narducci (tutti parlamentari del PD all’estero). Certo, questi eletti non sono volti noti della TV, né si sono distinti nella cronaca giudiziaria. Sono persone che lavorano da decenni nelle comunità italiane all’estero e spesso nelle realtà associative, sindacali, imprenditoriali e politiche. In Parlamento hanno promosso con tenacia le questioni degli italiani all’estero, anche quando il calendario dei lavori non ripagava adeguatamente tanta abnegazione.

Nei tanti momenti “delicati” per gli equilibri parlamentari e per le passate maggioranze, quando era in corso la “compravendita” di cui pure si è scritto e detto molto, non hanno ceduto alle sirene che hanno indotto altri a un cambio di casacca. Alcuni hanno speso il loro impegno nella lotta alla mafia, nello sviluppo dei rapporti bilaterali tra i paesi di residenza e l’Italia – è il caso dei capitali italiani depositati in Svizzera, o quello del caso di Cesare Battisti in Brasile, o ancora quello della possibile mediazione europea tra Argentina e Inghilterra nella crisi delle isole Malvinas, della diffusione della lingua e cultura italiana in Australia, dei trattamenti pensionistici in Canada e Stati Uniti e dell’internazionalizzazione delle imprese italiane nel mondo –. Capisco che un lavoro quotidiano, di lunga lena, magari dietro le quinte e senza risultati clamorosi o azioni roboanti, faccia fatica ad arrivare sui giornali. Ma il rischio è che davvero si finisca in una notte in cui tutte le mucche sono nere, in cui non si distingue più l’uno dall’altro alimentando disaffezioni e sfiducia anche nei confronti di chi non la merita.

Chiudo con un esempio di come il PD stia all’estero, tra la gente, e si impegni per portare in Italia un’altra immagine delle comunità nel mondo: il 19 ottobre scorso Bersani è tornato per la quinta volta in quattro anni tra gli italiani nel mondo. Dopo New York, Tunisi, Parigi e Bruxelles è stato a Ginevra, dove ha discusso con italiani ricercatori del CERN, funzionari del WTO, ILO e ONU, giovani insegnanti e studenti delle scuole italiane all’estero, segretari di circolo del PD in Europa e giovani imprenditori italiani fuggiti dal nostro Paese. È così, con un lavoro quotidiano di tutto il Partito Democratico tra le nostre comunità, che noi selezioniamo la classe dirigente locale e i candidati al Parlamento. È così che proviamo a portare qui ciò che c’è della grande Italia oltre l’Italia.

P.S. Per il bene degli italiani nel mondo, mi auguro, per una volta, che il PDL faccia quanto sostenuto dal Senatore Mantica in un recente confronto che abbiamo avuto su YouDem.tv a proposito della composizione delle liste in Sud America.

sabato 13 ottobre 2012

Premio Caccuri, una sfida da raccogliere

Mimmo Gangemi, Bruno Giordano Guerri, Giovanna Taviani, Alessandro Profumo, Gianrico Carofiglio, Piergiorgio Odifreddi, Pino Aprile, Roberto Napoletano, Davide Giacalone, Nino Pirito e persino Albano Carrisi. È solo un gruppo di nomi celebri, ma ce ne sono stati e ce ne saranno molti altri. Dove? A Caccuri.

“Non capisco”, direte, “né cosa sia o dove si trovi Caccuri né perché questi nomi”. Allora ve lo dico io, ma occorre un po’ di pazienza per una premessa.

Caccuri è un piccolo paese abbarbicato su una collina della Presila crotonese, a metà strada tra quella che fu la Magna Grecia - culla della cultura e civiltà occidentale, e oggi landa tra le più povere d’Europa e ostaggio della ‘ndrangheta - e i boschi belli, malamente sfruttati, della Sila, dove si anela al turismo sciistico delle settimane bianche, ma si continua a coltivare patate. Ottime però.

In questo contesto, un paesino di 1500 persone, falcidiato dalla disoccupazione e dall’emigrazione, trova la volontà e la capacità, proprio grazie ad alcuni suoi figli emigrati, di organizzare un ambizioso Premio letterario di livello nazionale. Quei nomi sono alcuni degli ospiti, dei premiati e dei giurati di questo premio. Tutti entusiasti di aver preso parte, lo scorso mese di agosto, a una inaspettata kermesse culturale il cui tratto più netto, prima dei contenuti, è stato l’orgoglio di un paese che ha dimostrato, ancora una volta, di avere grandi potenzialità e di riuscire a tradurle in iniziative concrete.

Non c’è qui lo spazio - né voi avreste la pazienza di leggerlo, forse - per il racconto dei giorni del Premio, delle discussioni, delle aspettative, dei dibattiti, delle premiazioni (per chi fosse interessato www.premiocaccuri.it documenta tutto).

Io voglio qui provare a ragionare di qualcos’altro.

Innanzitutto il senso di questo Premio.

Sicuramente è servito a parlare di cultura in una zona del Paese povera, depressa (non solo in senso economico), a confine con uno dei più imponenti regni della ‘ndrangheta, dove la cultura è troppo spesso svilita e mortificata. Una sottovalutazione che fa proprio il gioco della criminalità, poiché i boss sanno bene che la cultura è la prima e più potente arma dell’antimafia.

Poi, il Premio è stato un’ottima occasione per far conoscere Caccuri e incuriosire chi ama un certo tipo di turismo, quello a caccia di itinerari poco battuti, di tradizioni enogastronomiche e artigianali altrove perdute.

Infine, vorrei provare a ragionare sul contesto ‘strapaesano’ che ha accolto Premio e ospiti, anche in relazione allo scenario letterario nazionale.

Come direbbe Sartre, un’opera si definisce dalla relazione che c’è tra libro e lettore. Per il filosofo francese lo scrivere è atto di per sé incompleto e solo la lettura può perfezionarlo. Dunque viene da sé che l’opera letteraria è concepita per il pubblico, il più vasto possibile, che la recepisce secondo i sentimenti personali ma non solo, ché tempo e luogo incidono eccome.

A qualche mese di distanza e stimolato dalle parole un po’ deluse di Roberto De Candia (uno degli organizzatori del Premio), mi pare di poter dire che questa estate, a Caccuri, forse quell’unione imprescindibile sia un po’ mancata. Mi pare non si sia riusciti a dar vita a quella comunità di spirito tra popolazione, autori e opere. Non credo che la responsabilità sia imputabile agli organizzatori del Premio. Al contrario, temo - ma vorrei davvero essere smentito - che a Caccuri si legga pochissimo, anche tra i laureati. Voglio fare un solo esempio: tutto il paese è stato coinvolto ed euforizzato persino dall’“evento” Premio, ma nessuna delle persone con cui ho parlato l’estate scorsa aveva letto una delle opere che io considero un grande romanzo, come oggi si scrivono sempre meno, con un grande respiro storico e popolare. Sto parlando de La signora di Ellis Island, dell’ottimo Cangemi.

Ciò che intendo dire è che l’occasione preziosa offerta dal Premio, forse non è stata colta appieno se è vero che poca è stata la curiosità culturale prodotta dall’evento e poche le riflessioni su come questo potesse diventare il tassello di un più largo progetto culturale per Caccuri e i suoi dintorni.

A conferma di ciò, il fatto che i ripetuti tentativi di innescare qualche discussione pubblica su possibili appuntamenti futuri che continuassero a tessere il filo tirato col Premio, non sono stati coronati da successo.

Davvero un peccato.

Naturalmente non intendo dire che questo scarso interesse sia prerogativa di Caccuri, o della Calabria. Nel resto del Paese non va meglio. Nel Paese di Dante si legge poco e comunque sempre meno. I numerosi e in alcuni casi prestigiosi premi letterari, le storiche e pregevoli case editrici non riescono a risollevare il mercato delle lettere che versa in uno stato che non esagero a definire di emergenza culturale. Insomma, il nostro inestimabile capitale culturale, artistico e di conoscenza non riesce a rappresentare un atou nel mondo globalizzato, un punto di forza e di ripartenza - come invece dovrebbe - in un momento di crisi gravissima.

Ma per tornare a Caccuri e al suo bel Premio, penso che meriti lode e ammirazione la caparbietà degli organizzatori che, se vogliono che la loro creatura cresca, come io spero vivamente, debbono puntare non solo sui nomi illustri da coinvolgere, ma su un progetto di più ampio respiro che sappia coinvolgere le istituzioni locali e la cittadinanza. Una chiave promettente potrebbe essere quella di scommettere su filoni meno sfruttati come quello dialettale. E in questa direzione, se mi è concessa qualche suggestione, esiste in Italia una grande ricchezza nella tradizione musicale, che è poco coltivata dai grandi circuiti culturali e dai premi più prestigiosi e che potrebbe invece diventare una prerogativa nazionale del “Premio letterario Caccuri”. Anche il fumetto potrebbe offrire opportunità inedite al nostro Premio, se pensiamo che la legge italiana ancora non riconosce dignità di “autore” ai fumettisti.

Insomma, quest’estate, grazie alla fantasia e all’entusiasmo di alcuni amici, ho ritrovato le grandi risorse di una terra che però, finora, non ha saputo trovare in sé la forza e l’orgoglio di vincere i limiti di sempre, che da troppo tempo ne frenano il progresso. Spero davvero che il Premio letterario Caccuri possa fare la sua parte per aprire una pagina nuova.

giovedì 26 luglio 2012

Andrea Amaro, l'eroe buono di un fumetto a sfondo filosofico

E così se n’è andato anche Andrea. Con la solita discrezione che lo ha contraddistinto per tutta la vita. All’improvviso, come quando compariva in ufficio con passo felpato, con lo zainetto sulle spalle e la sigaretta in mano, mentre ti sorrideva piano, quasi come a compiacersi di vederti sorpreso perché non te lo aspettavi e non lo avevi sentito arrivare. "Ciao Mavino". Così mi diceva, con quella sua erre pronunciata quasi come una v e che mi piaceva moltissimo. E forse proprio per questo non mi chiamava per nome, perché capiva che mi piaceva e me lo rendeva ancora più simpatico.

E lui lo sapeva bene quanto mi era simpatico e quanta stima e affetto avessi nei suoi confronti. Sapeva quanto rispettassi le sue opinioni, anche quando erano diverse dalle mie. Negli ultimi anni, infatti, avevamo fatto scelte politicamente diverse (io col PD e lui con SEL), ma continuavamo a lavorare insieme e per costruire il dialogo tra i nostri partiti e con tutto il mondo dell’emigrazione, perché entrambi eravamo convinti che le battaglie si possono fare e, magari, anche vincere se c’è una larga convergenza, se c’è dialogo e unità. E quanto era bravo Andrea a dialogare anche con gli avversari e a trovare i compromessi migliori, pur partendo da posizioni più estreme delle mie.

Non è un caso se oggi, anche gli avversari politici con le idee più lontane dalle sue, quelli che, come lui, si sono formati politicamente e hanno militato nei partiti in tempi in cui scorreva il sangue, parlano di Andrea come di un amico e con parole vere e di grande rispetto. Perché Andrea il rispetto se lo guadagnava con le argomentazioni solide (non a caso il suo nome deriva dal greco andrèia, “valore”), con i modi gentili, con la lealtà e il coraggio della battaglia, con quella sua ironia tagliente, ma sempre intelligente e rispettosa, persino verso chi si rivolgeva agli altri con fare arrogante e con disprezzo. Andrea per me era come l’eroe buono e simpatico di un fumetto intelligente a sfondo filosofico. Un fumetto che, purtroppo, non sarà più pubblicato e non mi racconterà più nuove storie.

Al mondo dell’emigrazione e ai più deboli Andrea ha dato molto. E se n’è andato all’improvviso, portando con se ancora molte speranze e molti progetti per le nostre comunità. Se n’è andato il 25 luglio, proprio come quella splendida nave che portava il suo nome, l’Andrea Doria e che, anche lei, s’è inabissata il 25 luglio del ’56 nell’Atlantico insieme al suo carico di speranza, soprattutto dei molti emigranti che pure trasportava. Il suo ricordo, quel fumetto ironico e intelligente, lo terrò nel ripiano dei miei libri più cari.

lunedì 16 luglio 2012

Solo il PD può far valere le ragioni degli italiani nel mondo

Le cose che ho detto all'Assemblea della Circoscrizione estero di venerdì scorso.
Buona lettrura.

Carissimi,

grazie a tutti per aver fatto lo sforzo di essere qui, oggi.
La preparazione di questa Assemblea nazionale, infatti, sia nei contenuti che nella logistica, è stata particolarmente sofferta e fino a pochi giorni fa era incerto se si facesse oppure no.
Anche per questo motivo, alcuni delegati dall’estero, come molti dall’Italia, non sono riusciti a essere presenti.
Quindi ancor di più voglio ringraziarvi per lo sforzo fatto, come voglio ringraziare Adriana e, in modo particolare per questa Assemblea, Alessandra che, nelle difficili condizioni di questi giorni, ha dovuto moltiplicare gli sforzi per assicurare questa riunione.

E voglio ringraziare Paolo e Monica, che oggi presiederanno l’Assemblea da soli, senza la Presidente Biagini che si trovava nell’impossibilità di essere qui e che ha dato comunque il suo contributo nei giorni precedenti.
Per me è difficile oggi fare una relazione e parlare delle questioni che ci stanno più a cuore.
Perché siamo in una fase politica molto particolare:
siamo costretti dalle congiunture economiche, storiche e politiche, a sostenere con lealtà e coerenza, un Governo di cui non facciamo parte e che, su molte cose, compie scelte ben diverse da quelle che compiremmo noi se governassimo – come ha ricordato oggi Franceschini su l’Unità – e che sono frutto anche del sostegno determinante del PDL.

Questo ci porta spesso, per senso di responsabilità (e scusate se uso una frase ormai inflazionata, ma vera), ha dover accettare, sostenere e votare in Parlamento, provvedimenti verso i quali siamo particolarmente critici e che non avremmo accettato se a governare fosse stato Berlusconi.
È il prezzo più alto che paghiamo proprio alle scelte disastrose e scellerate operate nei quattro anni passati proprio da Berlusconi e al fatto che poi si sia dimesso, lasciando spazio a un nuovo Governo di emergenza che ha il compito di avviare la ricostruzione economica, politica, etica e sociale del Paese.

Una ricostruzione che, in questa fase, avviene con l’aiuto ancora determinante di chi ha distrutto, quindi una ricostruzione quanto meno anomala.
Ma si tratta comunque di una fase transitoria e che durerà fino alle prossime elezioni.
Il problema, però, è che sulle nostre comunità all’estero, con questo Governo, non si è ancora visto un atteggiamento di discontinuità sostanziale con le politiche del Governo Berlusconi.

Se si esclude, infatti, una atteggiamento di maggior rispetto almeno formale, che si esplicita attraverso i primi riferimenti in Aula alle comunità del Presidente Monti, l’atteggiamento dialogante dei sottosegretari Catricalà e de Mistura e del Ministro Terzi nell’ultimo periodo, che hanno cominciato a dialogare con i partiti, il Parlamento e il CGIE, nella sostanza delle cose è cambiato troppo poco.

Vedo, infatti, una continuità nel proseguire sulla strada del distacco tra Stato italiano e comunità italiane nel mondo.
Penso a come anche questo Governo continui a operare dei tagli: nonostante i tre milioni e mezzo recuperati per lingua e cultura, assistenza e funzionamento Comites, le risorse già largamente mortificate e insufficienti, continuano a diminuire.

Come si continua a tagliare i servizi, visto che la spending review di cui si sta discutendo, prevede ulteriori chiusure di consolati, nonostante gli auspici fatti dallo stesso Ministro Terzi e la relazione della stessa Commissione sulla spendig rewiev del MAE che dimostrava come il bilancio tra spese di mantenimento delle strutture consolari all’estero e recupero di risorse fosse fortemente attivo: dai servizi consolari si ricava quasi il doppio di quello che si spende per farli funzionare.

Inoltre, penso a come si continui a rinviare le elezioni dei Comites e del CGIE.
Questa è stata una scelta a mio avviso sbagliata. E ancor più sbagliati sono stati il metodo con cui ci si è arrivati e le motivazioni.
Infatti, si è annunciato il rinvio senza discuterne preventivamente con le rappresentanze degli italiani all’estero né con i partiti e i gruppi che sostengono il Governo, né con il Parlamento.
E lo si è motivato con il solo aspetto economico e della mancanza di risorse, imponendo il sistema di voto online e fissando un tetto massimo di spesa di 2 milioni, senza aver fatto alcuna verifica di quanto costerebbe realmente creare questo sistema e applicarlo.

Solo dopo la forte reazione del Partito Democratico, dei suoi eletti e del CGIE il Ministro Terzi ha realizzato l’errore fatto e ha aperto un canale formale di dialogo per evitare in futuro il ripetersi di questi errori. Vedremo se funzionerà e se sarà seguito da scelte condivise.
Però l’errore del Decreto ha messo i partiti che sostengono il Governo con le spalle al muro e difronte a un percorso obbligato, costringendoci al senso di responsabilità e a votarlo, seppur con alcune sostanziali modifiche migliorative, ma non sufficienti.

Ma questo metodo non può continuare. Abbiamo bisogno di arrivare insieme a decidere i contenuti dei provvedimenti da portare in Parlamento, Governo e gruppi parlamentari che lo sostengono.
Il Parlamento non può essere, come era con Berlusconi, il luogo di ratifica di scelte prese altrove dal solo esecutivo o da un solo ministro dell’esecutivo, magari quello economico.

Noi siamo pronti, come stiamo già facendo, a operare delle scelte, anche impopolari. Ma dobbiamo essere coinvolti e si deve dire con chiarezza su quali questioni si vuole puntare e su quali no. Decidiamo quali e noi faremo la nostra parte. Ma non si può non affrontare la questione delle scelte, con conseguente smantellamento di tutto.

Perché se si continua così, gli effetti negativi derivanti dalla lealtà e responsabilità di sostenere il Governo, li paghiamo solo noi del PD. E questa sarebbe una tragedia non per il PD, ma per le comunità italiane nel mondo.
E bisogna farlo capire alle comunità: se si indebolisce il PD all’estero e in Italia, non è vero che ci sarà qualcun altro che difenderà più e meglio di noi gli italiani nel mondo, ma ci sarà il disinteresse generale.

Oggi, di questa particolare situazione politica, traggono vantaggio prima di tutto le forze politiche e gli uomini che hanno portato a questo disastro, come il PDL, i suoi eletti e l’ex sottosegretario Mantica.
E poi le forze meno responsabili, più populiste e movimentiste, come la Lega, l’IDV e il MAIE.
Non a caso, sulla vicenda del Decreto di rinvio, queste tre forze hanno votato contro, lasciando che si approvasse con i voti di PD, UDC e PDL.
Ma mentre il PDL può vantare in questo una strumentale coerenza con l’azione di Mantica e una falsa continuità con le politiche economiche e di risanamento di Berlusconi e Tremonti, il PD appare come incoerente e incapace di incidere nell’azione governativa, oltre che non interessato alla reale difesa delle nostre comunità.

E il MAIE, che vota contro, appare erroneamente come l’unico difensore degli interessi degli italiani nel mondo.
È per questi motivi, dunque, che il PD deve trovare subito gli argomenti per ribaltare questa situazione.

Dobbiamo innanzitutto far capire che noi stiamo seguendo un atteggiamento responsabile nei confronti del Paese tutto e di quello che era ed è l’unico Governo possibile in questo delicato contesto, come spiegherà bene l’intervento che Mario Barbi ha inviato a questa Assemblea.

Che in questo scenario di crisi economica e politica abbiamo bisogno prima di tutto di quella credibilità internazionale che avevamo perso con Berlusconi e che con Monti ci ha riportato immediatamente ad essere protagonisti in Europa, tanto da essere riusciti a far passare nell’UE scelte importanti che possono condurci all’uscita dalla crisi, a cominciare dalla tassa sulle grandi transazioni internazionali e sull’accelerazione verso una unità politica dell’Europa.

Dobbiamo far capire che, nonostante la crisi che vivono i Partiti, è necessario per il bene della democrazia e dell’Italia, oltre che degli italiani nel mondo, avere un Partito forte e strutturato come il PD.
Se si indebolisce il PD si rafforzeranno i movimenti “padronali”, populisti e senza controllo democratico come i il Movimento 5 stelle e Lega, l’IDV, il MAIE, con tutte le differenze che pure ci sono tra questi, è chiaro.

Dobbiamo avere la forza di spiegare che, nonostante le difficoltà di questi anni, il PD è l’unica forza
in grado di avere un peso reale e concreto in Parlamento;
di organizzare scelte e politiche serie e coerenti;
di progettare una visione condivisa delle nostre comunità inserita un modello e in un progetto di società più ampia, italiana, europea e mondiale;
di portare in tutte le sedi istituzionali, dal CGIE al Parlamento nazionale a quello europeo, con forza, ogni progetto e ogni istanza proveniente dalle comunità;
di avere forti e consolidati rapporti organici con i più forti Partiti di centrosinistra in ogni Paese in cui vi sia una comunità di italiani.

E tutto questo è un vantaggio e un valore aggiunto per le nostre comunità e per l’Italia, perché garantisce il controllo democratico del Partito, una visione politica condivisa a livello internazionale, delle macroaeree geopolitiche, la possibilità di avviare con maggiore facilità politiche e progetti comuni e bilaterali tra l’Italia e i paesi di residenza dei nostri concittadini.

Esempi di questo tipo sono quotidiani nel PD.
E gli ultimi li abbiamo esplicitati qualche settimana fa, proprio dove la sfiducia verso l’Italia, l’ondata antipolitica e antipartitica e l’innamoramento per i movimenti a-partitici e a-politici si sta facendo sentire in maniera forte tra le comunità: l’America Latina.

Là abbiamo rafforzato e reso più visibile il rapporto storico tra il PD italiano e il Partito Socialista di Santa Fe.
Spiegando come noi siamo una forza di Governo locale e nazionale, radicata in Italia, in Europa e nel mondo che condivide una visione con il Partito Socialista che lavora e governa a Rosario e nella provincia di Santa Fe.
Per questo abbiamo rilanciato il gemellaggio tra Rosario e Torino (governate dal PD Fassino e dalla socialista Fein) e deciso di avviare progetti concreti su assistenza, lingua e cultura e impresa che coinvolgano le due città e la numerosa comunità piemontese e italiana di Rosario.

Abbiamo consegnato al Governo argentino una lettera firmata da più di 70 parlamentari del PD al Parlamento nazionale ed europeo, che esprime nelle nostre fila il Vice Presidente vicario, Pittella, per far riprendere il dialogo tra Argentina e Inghilterra sulle spinose e importanti questioni delle isole Malvinas.
Documento che il Governo argentino ha giudicato come il più importante atto politico su questa vicenda da parte dei partiti europei.

Dunque, anche attraverso atti come questi, dobbiamo spiegare la capacità di incedere politicamente e la differenza che passa tra un Partito grande, organizzato e con solidi legami politici internazionali e un movimento leaderistico e padronale che non potrà mai avere la stessa forza e gli stessi legami politici, quindi non potrà avere la stessa utilità per le nostre comunità.

Dobbiamo far capire la velleità di chi si presenta come trasversale e parla di superamento dei concetti di Destra e Sinistra, come se potesse rappresentare tutti o tutti gli italiani all’estero: esempi che in passato hanno già fallito.
Dobbiamo quindi opporre al sentimento antipartitico e antipolitico, l’orgoglio e la concretezza della politica organizzata in partiti seri.

Ma torno ora al nostro rapporto col Governo e alla necessità di riprendere il protagonismo senza trovarci davanti a percorsi obbligati.
Dicevo che dopo la forte reazione del PD e del CGIE per come era maturato il Decreto, Terzi ha ripreso con maggiore volontà il dialogo formale sia con noi come Partito che con il Parlamento e il CGIE.
E proprio col CGIE si è impegnato a organizzare dei seminari sulle principali questioni che riguardano gli italiani nel mondo, dalla lingua e cultura alla riforma del CGIE stesso.

E anche da qui dobbiamo ripartire.
Da questi argomenti e da questa Assemblea.
Io credo che dobbiamo programmare un percorso che ci porti, prima dei seminari del CGIE e del MAE, a definire una nostra proposta chiara di riforma del sistema di insegnamento della lingua e cultura italiana all’estero, degli organismi di rappresentanza e delle politiche per il recupero del rapporto con le nuove generazioni di italiani all’estero e oriundi, oltre che sull’informazione.

In questa assemblea abbiamo dirigenti politici locali e nazionali, parlamentari eletti all’estero, rappresentanti del mondo associativo, consiglieri e presidenti di Comites, consiglieri del CGIE e persino il Segretario generale.

Quindi abbiamo una rappresentanza reale, politica e, oserei dire, scientifica di questi organismi.
Ci sono le condizioni migliori per fare un lavoro di raccordo politico su una proposta che sia non solo la proposta unitaria del PD, ma la proposta più vicina a quella che il CGIE discuterà con il Ministro.
E questo ci consentirà di rafforzare reciprocamente sia l’azione del CGIE nel seminario che organizzerà col MAE che quella del PD nelle aule parlamentari nella direzione di una riforma condivisa e diversa da quella ferma alla Camera e che va definitivamente superata.

Per questo io direi che da qui, da oggi, dobbiamo cominciare a lavorare.
Nella direzione già anticipata dai nostri parlamentari nella discussione di martedì e mercoledì scorsi.
Partendo quindi dai poteri, dai compiti e dalle funzioni di questi importanti organismi.
Io sono fortemente convinto che, nel momento in cui vi è un arretramento della presenza dello Stato italiano sul territorio estero e una penalizzazione dei servizi (chiusure di consolati, azzeramento delle risorse, riduzione della componente parlamentare, seppure molto incerta), occorra dare concreti e reali poteri di rappresentanza ai Comites e al CGIE.
Occorre metterli nelle condizioni di poter essere davvero organismi che amministrano e che decidono.
Non possono limitarsi a dare pareri o fare relazioni sulle comunità.
E questo serve per cautelarli da contesti politico-istituzionali come quelli vissuti in questi anni, nei quali non hanno avuto ascolto né sono stati presi in considerazioni nemmeno i pareri dei parlamentari né le loro proposte di legge.

Io penso, per fare un esempio, che i consiglieri di Comites e CGIE, innanzitutto, debbano avere almeno alcuni dei poteri conferiti in Italia ai consiglieri comunali e provinciali, come quelli, ad esempio, dell’autenticazione delle firme in caso di referendum o presentazione di liste.

Penso che, nell’ottica di un superamento del bicameralismo, della possibile abolizione delle province e addirittura della Circoscrizione, della riduzione dei parlamentari eletti all’estero alla Camera, si debba riprendere e fare con coscienza il ragionamento sulla possibilità o meno di una presenza diretta del CGIE, seppure non stipendiata, nell’ipotetico Senato federale al quale parteciperebbero delegati o rappresentanti delle regioni.

Inoltre, penso sia giunto il momento di ragionare seriamente e dirci con chiarezza se è ancora il caso di pensare il CGIE incardinato nel MAE o se non sia meglio e più proficuo, come io penso, incardinarlo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, favorendo il ruolo di raccordo e interlocuzione con tutti i ministeri che hanno competenza sugli italiani all’estero, da quelli classici degli esteri e dell’Interno a quelli della cooperazione internazionale e integrazione, della pubblica amministrazione, del lavoro e persino del turismo.
Quale miglior luogo di raccordo se non la Presidenza del Consiglio?

Questo perché penso che le funzioni del CGIE debbano essere indirizzate più all’azione di rappresentanza esecutiva e di raccordo della rappresentanza generale che a quelle della politica estera, per la quale pure i nostri organismi di rappresentanza devono avere un ruolo definito.
Infatti la stessa diplomazia ufficiale, nel mondo iperglobalizzato, non è più sufficiente, ma va correlata dall’azione concreta e riconosciuta delle organizzazioni non governative, dal mondo imprenditoriale, dai cittadini che un paese mantiene sparsi nel mondo (dunque dalle loro rappresentanze) e facendo sinergia tra tutto ciò.
In una sola parola, dalla megadiplomazia, come direbbe Parag Khanna, per la quale i componenti del CGIE dovrebbero essere riconosciuti come reali interlocutori dallo Stato italiano, dai rappresentanti diplomatico-consolari e dalle autorità locali.

E poi dovremmo rivedere il ruolo del CGIE nella Conferenza delle regioni e del CINSEDO (il Centro Interregionale di Studi E Documentazione della stessa Conferenza).
In particolare, in quella sede il CGIE dovrebbe avere un ruolo riconosciuto soprattutto nel confronto sulla diffusione delle “best practices” (portando le esperienze di altri paesi oltre che delle regioni italiane) e nella sottolineatura del ruolo dei territori e degli italiani nel mondo alla costruzione dell’Unione Europea in particolare e di diversi organismi internazionali.

Insomma, non voglio con queste indicazioni definire le linee guida della nostra proposta di riforma, ma far capire quale debba essere la direzione: poteri reali di rappresentanza territoriale, raccordo istituzionale concreto con le istituzioni politiche ed esecutive (Parlamento, Governo, ministeri, regioni, centri studi), riconoscimento di funzioni che diano concretamente un valore aggiunto alle nostre comunità.

Come declinare tutto ciò, poi, lo vedremo insieme e con l’apporto di questa Assemblea e dei nostri circoli.

Per questo, quindi, sarebbe utile cominciare con il costituire una commissione mista e aperta che lavori da subito, anche fuori da questo contesto, a una proposta in stretto raccordo con i nostri rappresentanti in Parlamento, nel CGIE e nei Comites.

Solo un passaggio veloce, poi, sul sistema di voto:
con il decreto appena approvato dal Parlamento, è stata sancita la possibilità di utilizzare un sistema di voto misto nello stesso ambito territoriale, fatto cioè sia del voto online che di quello nei seggi.
Se è possibile il voto misto onlie-seggi, dunque, non può essere scartato quello per corrispondenza.

Dunque dobbiamo insistere perché si vada presto a rivedere la legge ordinaria sul voto e si introducano i principali correttivi previsti dalla nostra proposta, allargando al sistema misto di voto e tenendo la priorità su quello postale.
Penso che dobbiamo farlo noi e giocando di anticipo, poiché io sono convinto che il vero obiettivo di questo ennesimo rinvio e dell’introduzione del voto online, sia quello di arrivare alla soppressione del voto per corrispondenza alle prossime elezioni politiche.
E non possiamo permetterlo, ma dobbiamo evitarlo pretendendo che si modifichi presto la legge ordinaria.

Ma quella che io vedo come la questione prioritaria, è la necessità di riformare il sistema della lingua e cultura italiana.
Ormai non è più pensabile di risolvere il problema solo lavorando sull’aspetto delle risorse.
Dobbiamo lavorare a una riforma di carattere generale del sistema. Non so se c’è la voglia e il tempo per farlo in questa legislatura.
Ma credo che noi dobbiamo subito lavorare anche a questo, partendo dalle proposte che già ci sono e andare nella direzione del superamento della frammentazione degli interventi, del raccordo in Italia e all’estero, nel coinvolgimento delle strutture delle nostre comunità, puntare sulle iniziative comunitarie per ciò che riguarda l’Europa e sulle convenzioni e accordi con i governi locali in altre aree del pianeta.

Soprattutto su questo tema, penso che come PD dobbiamo prima decidere al nostro interno, anche qui coinvolgendo l’Assemblea, i parlamentari e i nostri rappresentanti di Comites e CGIE, in modo da avere quelle linee guida da portare ai seminari di MAE e CGIE e da ribadire in Parlamento quando se ne discuterà.

E poi dovremo fare lo stesso discorso di riforma di sistema sulle questioni della cittadinanza e, soprattutto, dell’informazione. Perché anche per l’informazione all’estero, dalla semidefunta Rai International alla stampa cartacea e online, non è più pensabile ragionare solo di risorse né rinviabile una discussione di carattere generale che, a costo di sacrificare anche diverse testate, possa creare le condizioni per rilanciarne quelle di maggior qualità e utilità per l’informazione delle nostre comunità, la salvaguardia di alcuni aspetti storico-culturali e la possibilità di fare informazione di ritorno reale.

È chiaro che queste discussioni e le posizioni che ne usciranno, al di là dei seminari MAE-CGIE, ai quali dobbiamo arrivare con una posizione nostra, devono segnare il nostro percorso programmatico da qui alle possibili primarie di coalizione.
E dovranno essere punti politici fondanti del programma del PD per l’estero da inserire nel programma di Governo del Partito e della coalizione.

Dobbiamo quindi sforzarci di formulare una proposta nuova, che parta dalla necessità di tornare, dopo Monti, alla politica di alternativa tra Destra e Sinistra – e cito ancora Franceschini – all’equità sociale e alla redistribuzione. Servirà uno sforzo e uno scatto creativo di tutti noi, insieme alla volontà unitaria e alla capacità di coinvolgere le nuove generazioni e settori nuovi al nostro universo di riferimento.
E anche lo sforzo di parlare di temi dei quali in passato ci siamo occupati poco o nulla.

Dunque, da questa Assemblea ed entro novembre, noi dovremo decidere quali sono i punti principali e inderogabili sui quali vogliamo impegnare il Partito quando saremo al Governo e attraverso quali proposte condivise.

Per questo, quindi, direi di costituire subito dopo la discussione generale, i due gruppi che dovranno lavorare all’elaborazione delle proposte del PD sui temi in questione e che verranno fuori dalla discussione.

E naturalmente, come dalla comunicazione dei tagli del 50% ai contributi elettorali e visto che non siamo riusciti a farlo per motivi di tempo nella passata Assemblea, come avevo richiesto, vorrei che provassimo a costituire oggi anche un Comitato di tesoreria che lavori alla definizione annua del contributo per la Circoscrizione estero e alla redistribuzione interna alle Ripartizioni e ai paesi.

Lo stesso Comitato dovrà lavorare da subito, e in raccordo con la Tesoreria nazionale e le segreterie Paese, anche alla ridefinizione del budget del 2012, dimezzato in corso d’opera rispetto a quanto avevo annunciato nell’Assemblea di inizio anno a causa dei tagli decisi dal Parlamento.

Con questo, quindi, penso di aver delineato almeno l’inizio di un percorso politico a breve termine sul quale dovrà convergere l’apporto e il contributo di tutti voi e dei nostri circoli, per ribadire tra le nostre comunità, che Bersani e il PD si candidano a governare il Paese e che, senza un PD forte e unito all’estero, nonostante i problemi e i limiti che pure abbiamo e non nascondiamo, nessuno potrà far valere le ragioni degli italiani nel mondo né dentro né fuori dal Parlamento.

Chi vuole far credere il contrario, sta prendendo in giro se stesso e gli altri per motivi prettamente strumentali o elettorali.

Grazie e buon lavoro

martedì 10 luglio 2012

L’Italia è la porta europea per l’Argentina

Le cose che ho detto nell'intervista che mi ha fatto Barbara Laurenzi, Vice direttrice di Italiachiamaitalia.it
Roma – “Basterebbe un decreto per cambiare i difetti più evidenti del voto estero”. Parola di Eugenio Marino, responsabile Pd estero. Già, peccato che nessuno faccia nulla per impedire che si ripetano casi già tristemente noti. ItaliaChiamaItalia ha incontrato Marino al termine del suo viaggio in Sud America per parlare della riforma del voto e dei risultati politici e istituzionali raggiunti dal Pd in Argentina.

Eugenio Marino, di rientro dal suo viaggio in Sud America, quali risultati porta con sé? Quale atteggiamento ha riscontrato nei connazionali, dopo le ultime batoste ricevute dall’Italia come, ad esempio, l’Imu?
Il bilancio del viaggio è ottimo dal punto di vista politico, abbiamo avuto buoni incontri con le comunità e i rappresentanti dei partiti locali. Nell’atteggiamento dei connazionali, purtroppo, si registra molta preoccupazione, veniamo da quattro anni di allentamento dei rapporti con gli italiani all’estero e questa politica di sfilacciamento ha causato la depauperazione dei capitoli più importanti per il settore.

È di nuovo tutta colpa di Berlusconi? Nemmeno il nuovo governo può vantarsi di aver fatto molto, anzi.
Il nuovo governo si presenta in maniera più credibile agli occhi dei partner internazionali e questo è un fattore fondamentale. Inoltre, abbiamo assistito a un decisivo cambio di atteggiamento nei confronti degli italiani nel mondo: il Governo dialoga con noi e abbiamo avuto diversi incontri con Catricalà, De Mistura e il ministro Terzi. Solo metodo, forma e atteggiamento, però, per quanto importanti essi siano e che giudichiamo positivamente perché qualche risultato comincia a vedersi, non bastano. La strada è ancora lunga e in salita, poiché c’è ancora una certa continuità con il precedente Governo, visto che si rinviano per l’ennesima volta le elezioni di Comites e Cgie, si esclude il voto per corrispondenza che è un elemento fondamentale della partecipazione, si recuperano con grande difficoltà solo le briciole per alcuni capitoli che riguardano gli italiani nel mondo e non si operano scelte su settori da salvaguardare e sui quali investire politicamente, ma continuano i tagli. È dunque ancora difficile valutare i fatti e le azioni concrete, è complicato ricostruire lì dove si è smantellato in maniera così feroce nell’era PDL-Lega. La ricostruzione è ancora un traguardo e il passaggio a Monti rappresenta il difficile inizio della ricostruzione dopo il terremoto berlusconiano.

I rinnovi sono rinviati e il Senato ha soppresso la circoscrizione estero. Come fa a parlare di ricostruzione?
Per ora è stato ricostruito il rapporto e il dialogo, dopo le nostre violente reazioni per l’ennesimo rinvio per la questione dei Comites e del Cgie il Governo si è reso disponibile a incontrare il Cgie e ha deciso di aprire un dialogo su come modificare il decreto. E in alcune parti siamo riusciti a farlo in Parlamento grazie alla nostra azione che ha portato almeno al recupero di tre milioni e mezzo per lingua e cultura, assistenza e rappresentanza di base.

Le modifiche al decreto possono essere considerate una piccola vittoria?
Si, ma solo piccola, appunto. Ma è il segnale, ripeto, di un cambio di atteggiamento di questo Governo che ora deve continuare e portare al superamento dei tagli lineari e alle politiche di scelta. Ma vediamo se succederà.

Questi soldi, però, rimangono pochi rispetto a quanti ne servirebbero…
Certamente non bastano, ma è importante sapere che almeno tre milioni e mezzo siano stati recuperati, come richiesto da noi del Pd, per le politiche di assistenza, per la lingua e cultura e per il funzionamento degli organi di rappresentanza. Senza la nostra azione e senza quel minimo dialogo, avremmo perso anche quelli, come in passato con Berlusconi. In Senato, poi, sono spariti gli eletti all’estero e, finora, il Parlamento non è riuscito a modificare un sistema di voto che mette a rischio la legalità delle stesse elezioni. Il voto è un diritto costituzionale e gli italiani nel mondo lo possiederanno sempre, quello che è a rischio è il sistema di voto o, appunto, la stessa circoscrizione estero.

La circoscrizione esisterà ancora nel 2013?
Noi del Pd abbiamo sempre sostenuto, com’è noto, l’utilità della circoscrizione e abbiamo sempre votato contro gli emendamenti soppressivi, Lega e Pdl hanno presentato e votato a favore l’emendamento per il senato federale senza senatori all’estero e siamo arrivati all’atto conclusivo, ora finalmente c’è chiarezza su chi vuole la circoscrizione estero e chi desidera eliminarla. Da una parte c’è chi vuole abolirla, dall’altra ci siamo noi.

E, in mezzo, ci sono gli elettori privati di rappresentanza.
L’intesa Alfano-Bersani-Casini ne prevedeva il mantenimento, c’è stato un voluto colpo di mano durante le votazioni, PDL e Lega hanno cambiato le carte e hanno soppresso i senatori. Anche qualora venissero salvaguardati gli 8 deputati, assisteremmo a una riduzione di più del 50 per cento della rappresentanza estera.

Sono a rischio anche i deputati?
Alla Camera potrebbero ripetersi gli stessi colpi di mano. Prima dialoghiamo con i colleghi e troviamo un’intesa e poi, in aula, assistiamo al divario tra promesse e comportamenti. Lì si tratta di seguire una linea di partito e non c’è stato nessuno nel Pdl che sia andato contro quanto imposto dal PDL stesso, nemmeno Mantica che fino a pochi mesi fa era sottosegretario con delega agli italiani nel mondo.

Quando riuscirete a riformare il sistema di voto? Tutti ne parlano ma nessuno fa nulla.
La riforma è un’aspirazione e un obiettivo posto fin da subito dal Pd. Già nel luglio 2010 avevamo presentato un disegno per la riforma con le prime firme di Franceschini e Finocchiaro, e quelle di Bindi e Bersani. Il disegno di legge è stato calendarizzato, l’iter è iniziato al Senato e relatore è il senatore Pdl Malan, ma in realtà, il lavoro non procede ed è arenato.

Quindi, sta dicendo che non ci sarà alcuna riforma del voto estero?
Mi auguro che si concluda e che si faccia almeno un decreto per cambiare la stampa delle schede, da effettuare in Italia, per introdurre il numero del documento di riconoscimento dentro il plico e per imporre limiti temporali all’elettorato passivo evitando, così, i casi Di Girolamo.

Se si andrà al voto con questa legge potranno verificarsi altre situazioni come quelle legate a Di Girolamo o come i presunti brogli elettorali che vengono contestati a Caselli: è possibile che non si faccia nulla per scongiurare questo pericolo?
Basterebbe un solo decreto per scongiurare alcuni rischi, con la situazione attuale si può chiedere la residenza anche il giorno prima di candidarsi. Abbiamo sostenuto diverse iniziative per spingere l’approvazione della riforma, lo scorso anno c’è stato un dibattito con me, Malan e altri relatori proprio per chiederne l’accelerazione della riforma e abbiamo dedicato all’argomento diverse puntate della nostra trasmissione su Youdem. Noi stiamo facendo il possibile, qualcun altro invece vuole approfittare delle storture del meccanismo di voto per abolirlo totalmente.

La trasmissione che lei ha citato, Italiani nel mondo chiamano Roma, è stata trasmessa anche su ItaliaChiamaItalia, e ha chiuso l’edizione di quest’anno con successo, attestandosi come prima tra le trasmissioni più viste di Youdem. Com’è nata l’idea del programma e a cosa si deve il favore riscontrato nel pubblico?
Il Pd ha voluto fortemente questa trasmissione per rispondere a due esigenze. In primo luogo abbiamo voluto ovviare a un vuoto nel palinsesto di Rai International che, anche prima dell’attuale chiusura, non aveva programmi appositamente dedicati agli italiani all’estero e, inoltre, non andava in onda in Europa o in Italia. La nostra trasmissione è diventata un punto di riferimento a disposizione di tutti e ha rappresentato l’unico esperimento di informazione di ritorno. I dati ci dicono che l’intuizione è stata giusta e il fatto che sia diventato il programma più seguito di Youdem conferma che parlare di italiani nel mondo crea interesse anche per chi rimane in Italia.

Tornando al suo viaggio in Sud America, quali sono stati gli accordi raggiunti?
Il Pd mondo, e l’intero partito, si è fatto promotore di due iniziative, una a livello locale e un’altra dal respiro internazionale. La prima consiste nell’aver stimolato il proseguimento del gemellaggio tra Torino e Rosario. Questo rapporto era nato anni fa su iniziativa dell’ex sindaco di Torino Chiamparino e ora che il primo cittadino è nuovamente un importante esponente del Pd, come Piero Fassino, il partito si è posto come perno per rilanciare il gemellaggio con Rosario, dove è presente una grande comunità piemontese. Ho portato al sindaco della città argentina, Monica Fein, una lettera di Fassino nella quale si rinnovano gli intenti di collaborazione e si invita la stessa Fein nel capoluogo piemontese. Come Pd ci muoveremo subito per far venire il sindaco Fein in Italia ma, da questo momento, tutti i rapporti si spostano sul piano istituzionale, noi siamo stati il tramite e il pungolo per stimolare questo legame e abbiamo portato a termine il nostro compito. Torniamo a casa con un importante traguardo raggiunto.

Che cosa riguarda, invece, la seconda iniziativa intrapresa durante il viaggio?
Siamo riusciti ad ottenere un documento condiviso, firmato dal vicepresidente del Parlamento Europeo Gianni Pittella e da altri 70 esponenti da sempre in prima linea con ruoli chiave nello scenario internazionale, nel quale il Pd si impegna a far dialogare Argentina e Inghilterra per raggiungere una risoluzione circa la spinosa questione delle Malvinas che non riguarda solamente le questioni della territorialità, ma anche la pesca e la protezione ambientale. La nostra lettera è stata giudicata, dal governo argentino, il più importante atto politico di un partito europeo nel dialogo tra il Paese sudamericano e l’Inghilterra e il Pd ha avuto la possibilità di raggiungere un traguardo così importante solo grazie alla sua forza, coesione e grandezza. Il Pd è la prima forza riformista dell’Italia e ha messo a disposizione questa capacità per creare un ponte tra i due Paesi.

State puntando al Sud America in considerazione della sua crescita economica?
Il Sud America sta crescendo e, soprattutto in Argentina, sono presenti numerose comunità italiane. Forti della nostra iniziativa, il Pd si impegnerà a fare da ponte con il Vecchio Continente quando l’Argentina riprenderà il dialogo sulle Malvinas. L’Italia, come l’ha definita il Presidente Binner nel nostro incontro pubblico, ‘è la porta europea per l’Argentina’ e per tutto il Sud America. In questa partita, l’Italia gioca un ruolo chiave e tutto questo può essere realizzato solamente da un grande partito, in grado di contare su una grande storia e su legami consolidati con istituzioni e altri partiti presenti in tutto il mondo.

Una parte importante del suo viaggio è stata dedicata all’Argentina, proprio lì dove si sarebbero verificati i casi di brogli elettorali denunciati nelle ultime elezioni. Dall’Argentina proviene anche il senatore Caselli, al centro delle indagini della procura di Roma. Quanto incidono i casi come questo nello screditamento della circoscrizione estero?
I casi di sospetti o accertati brogli gettano fango su tutti noi e, su questo argomento, voglio dire in maniera chiara che non si può dividere tra buoni e cattivi. I brogli sono compiuti da persone entrate in Parlamento con l’appoggio dei rispettivi partiti, l’atteggiamento di un Antonio Razzi, emigrato storico, getta discredito su di noi ma, mi domando, qual è la differenza tra lui, Scilipoti, De Gregorio e Di Girolamo? La vera differenza è tra chi ha alle spalle un partito in grado di arginare questi fenomeni e chi no. Il Pd ha dimostrato, in ben due legislature, di avere solo eletti di grande levatura etica. Il Pdl ha portato Di Girolamo e Caselli, l’Idv Razzi, Scilipoti e De Gregorio. Solo il Pd non ha avuto atteggiamenti negativi sull’immagine degli italiani all’estero.

Il senatore Caselli ha querelato Fabio Porta e Luciano Neri. A dire il vero, ha querelato anche noi di ItaliaChiamaItalia, che abbiamo riportato le dichiarazioni degli esponenti del Partito Democratico. Come Pd, non pensate a promuovere iniziative di protesta o di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla situazione che si sta creando in seguito alle azioni del parlamentare argentino?
Le querele di Caselli lasciano il tempo che trovano, Porta ha solo ribadito che ci sono stati rischi in America Latina e non ha detto niente di nuovo. Se ci sono sospetti è bene che la magistratura faccia chiarezza, esistono delle intercettazioni nelle quali qualcuno parla della possibilità di impossessarsi di schede e votarle per conto di altri, bisogna necessariamente andare a fondo e il Pd ha sempre ribadito a gran voce la sua volontà di trasparenza ma queste sono azioni che, ripeto, può fare solamente un grande partito, radicato e presente come il nostro.

Quindi non temete che qualcun altro partito o movimento possa sottrarvi i voti in America Latina?
In politica c’è sempre concorrenza ma noi speriamo, e siamo sicuri, di raccogliere i frutti del lavoro svolto.

Italiani nel mondo: cresce il disinteresse

Alcune cose che ho detto in trasmissione
Per seguire la trasmissione clicca qui.

Linea Mondo speciale Italiani nel Mondo -

Italiani nel mondo chiamano Roma - Conduce Francesco Cuozzo - In studio Eugenio Marino (PD), Claudio D'Amico (Lega Nord Padania), Barbara Laurenzi (ItaliachiamaItalia).
In collegamento da Parigi Beatrice Biagini, da Bruxelles Desiree Ketabchi, da Oxford Paolo Gandini, da Londra Vincenzo Zaccarini.

martedì 5 giugno 2012

Al bivio con rischio dissoluzione

Ecco quello che ho scritto qualche giorno fa.

Siamo a un bivio: da una parte c’è la strada del caos e il rischio di far saltare tutto il mondo dell’emigrazione e dall’altra una salita ripida, ma verso la speranza.

Scrivo queste parole perché la situazione politica che abbiamo alle spalle e quella che ci si presenta davanti oggi è molto grave e porta con sé gravi pericoli. Veniamo da tre anni e mezzo di Governo Berlusconi con un lascito di quasi azzeramento dei capitoli di spesa per gli italiani all’estero e di mancanza di qualsiasi tipo di politica e idea futura del rapporto tra l’Italia e le sue comunità nel mondo, a cui si è aggiunta la delegittimazione di tutte le rappresentanze degli italiani all’estero, parlamentari compresi. Chi non ricorderà, infatti, il Sottosegretario Mantica che, in audizione in Commissione Affari esteri (quindi nei luoghi istituzionali per eccellenza e nei quali è richiesto il massimo del decoro e rispetto istituzionale), minacciava di passare volentieri sul cadavere del CGIE e del suo Segretario generale come un carrista dei Panzer divisionen tedeschi? Terribile.

Questa situazione di lunga e totale delegittimazione, di continui tagli, di mancanza di politiche di prospettiva, di paralisi del Parlamento e di completa inefficacia dell’iniziativa dei singoli parlamentari, tanto eletti all’estero che in Italia (poiché se volgiamo lo sguardo a quanto fanno i parlamentari eletti nei singoli collegi italiani, vediamo che anche la loro attività e praticamente azzerata e la loro singola iniziativa annullata), ha prodotto un sentimento diffuso e di sfiducia non solo in chi ha operato certe scelte e certe politiche di tagli e delegittimazione (quindi l’esecutivo di Governo), ma in tutta la rappresentanza e la politica in genere. Se a questo, poi, si aggiungono alcuni scandali tra i parlamentari della Circoscrizione estero (caso Di Girolamo, atteggiamenti di Razzi e vicende Caselli) e in alcuni partiti italiani (caso Lega/Belsito e Lusi), ecco che il quadro è completo e demoralizzante per chiunque, persino in chi fa politica con passione, perché ci crede e sa che senza politica c’è solo declino. Dunque, il Governo Berlusconi prima, la crisi economica e gli ultimi passi del Governo Monti e del Ministro Terzi poi, hanno prodotto, a mio avviso, i seguenti risultati:

a)  un clima di sfiducia generale verso tutte le rappresentanze politiche e istituzionali e verso la politica più in generale;

b)  il risultato di far passare nell’opinione pubblica tout court, in Italia e in parte anche all’estero, che gli organismi di rappresentanza di base e intermedi degli italiani all’estero (Comites e CGIE) non servano;

c)  l’idea che il voto per corrispondenza sia un meccanismo pericoloso e utile alla criminalità per portare in Parlamento i propri uomini;

d)  la convinzione che tutti gli eletti all’estero siano inaffidabili e pericolosi in caso di equilibri parlamentari precari, dunque vadano ridotti al minimo per evitargli di essere determinanti nei voti di fiducia (ma dietro questo tentativo si nasconde quello più generale della soppressione completa della Circoscrizione estero);

e)  l’effetto che nella comunità italiana all’estero sono nate, e rischiano di alimentarsi ancor di più, profonde divisioni che portano a contenziosi di ogni tipo.

È proprio su quest’ultimo punto che cresce la mia preoccupazione, perché lo considero l’ultimo stadio di un’opera di smantellamento e distruzione. Se è vero, come è vero, infatti, che verso gli italiani nel mondo il passato esecutivo (e, se non cambiano le cose, anche l’attuale) ha portato ai risultati pessimi che conosciamo tutti, per evitare una reazione (o resistenza) delle comunità e per scongiurare qualsiasi possibilità di rilancio, ora vi è un’ultima operazione da fare: dividere ogni comunità, istituzione o forza organizzata e metterla in contrapposizione al proprio interno, facendo in modo che una parte scarichi sull’altra le colpe di quanto accaduto e, addirittura, che ognuna di queste parti pensi che ormai, data la situazione, per salvare se stessa meglio lasciar perdere la difesa degli altri. Insomma, siamo ai due famosi detti latini, quello del divide et impera prima, che porta naturalmente al mors tua vita mea poi.

In questi giorni, infatti, sto assistendo con preoccupazione crescente al fatto che diversi consiglieri CGIE e opinionisti dei media all’estero accusano i parlamentari di inefficienza o di inutilità, scaricandogli la colpa di non aver difeso il CGIE e i Comites e dando loro la responsabilità dell’ultimo e ulteriore rinvio delle elezioni. Parlamentari che, di contro, accusano il CGIE e i comites di immobilismo e chiusura, individuando in questo atteggiamento la causa della delegittimazione dei Governi e la volontà di sminuirne il ruolo e rimandarne il rinnovo. O parlamentari che accusano i partiti di non interessarsi agli italiani all’estero, di non considerare i propri eletti o di ostacolarli e scaricano anche sui partiti la responsabilità del rinvio delle elezioni, che invece ricade solo sui Governi e sulla chiusura dei Governi a qualsiasi tipo di dialogo istituzionale nelle sedi appropriate, con i parlamentari, il CGIE e gli stessi Partiti.

Ecco, dunque, che il rischio a questo punto è enorme. Ed è quello che anziché unire le forze nella ricerca di soluzioni (anche sofferte) o nella battaglia verso chi compie certe scelte, nelle nostre comunità, negli organismi di rappresentanza, negli stessi eletti e nei partiti, si vada alla ricerca di capri espiatori scaricandosi a vicenda le responsabilità che hanno esclusivamente quei Governi che hanno imposto scelte sbagliate e spesso con un voto di fiducia.

Recita un antico proverbio cinese che “l’unità di un popolo sa trasformare l’argilla in oro”. E purtroppo in Italia questa Unità è stata troppo a lungo solo anelata, perché veniamo da una lunga storia di divisioni e localismi esasperati che, negli ultimi decenni, sono stati anche alimentati da forze reazionarie che hanno costruito le proprie momentanee e miopi fortune sulle divisioni e il populismo, scaricando sempre “sull’altro” le colpe generali, dunque non siamo mai riusciti a trasformare in oro la nostra argilla, se si esclude il periodo della Resistenza, della Costituente del Dopoguerra o dell’antiterrorismo.

Oggi ci risiamo, soprattutto nelle nostre comunità, così pesantemente maltrattate e mortificate negli ultimi anni e oggi al culmine della tensione interna, che spinge all’esplosione generale.

A mio avviso, dunque, occorre mettere da parte le tentazioni colpevoliste verso gli altri, perché il capro espiatorio non salverà i nostri connazionali e le loro rappresentanze. E occorre ritrovare quello spirito comunitario, di Partito, di comunità, di amor patrio che solo può consentirci di provare a risalire la china uniti: quella salita ripida di cui parlavo nell’incipit. Così avremo qualche possibilità, divisi nessuna. Anche per questo si era deciso di andare insieme, tutti i partiti e gli eletti che sostengono la maggioranza, dal sottosegretario Catricalà, al quale, tra le altre cose, avevamo chiesto di organizzare dei tavoli tematici tra gli eletti e i ministri di competenza sulle diverse questioni urgenti.

Capisco che il momento è difficile e le tensioni personali e collettive troppo pesanti per parlare di unità e di risultati, ma come direbbe Gandhi, “perché ci sia vera unità, questa deve sopportare la tensione più pesante senza spezzarsi”. Sapremo darne prova in questi giorni?

Se sapremo farlo avremo qualche possibilità, altrimenti vinceranno la loro battaglia gli Antonio Razzi, che chiede il rinvio delle elezioni dei comites e fa i propri “cazzi” in Parlamento perché “tanto questi sono tutti malviventi e pensano solo ai cazzi loro”. O i Pancho Pardi che sostengono candidamente che “gli italiani all’estero non pagano le tasse in Italia quindi non devono avere il diritto di voto”.