mercoledì 7 dicembre 2011

Il mio intervento all'iniziativa "Rifare l'Italia", tenutasi a Crotone domenica 5 dicembre 2011.

Buongiorno a tutti e grazie agli organizzatori per avermi invitato a questo appuntamento di Rifare l’Italia.
Oggi il nostro Paese, e il Sud in particolare, vive una crisi internazionale mai conosciuta in precedenza. Ma una crisi, va detto con chiarezza, le cui radici sono antiche e affondano nelle politiche della Destra. Politiche ultraliberiste affermatesi agli inizi degli anni ’80 nell’Inghilterra della Thatcher e negli USA di Reagan.

Politiche neoliberiste consolidatesi nell’amministrazione USA di Bush jr e, in Europa, nei governi Chirac, Kohl e persino Blair, sconfinando egemonicamente anche tra chi avrebbe dovuto elaborare modelli e letture alternative. Politiche che in Italia sono arrivate con Berlusconi. Che hanno progressivamente enfatizzato la produzione di denaro con denaro e sempre meno quella di lavoro e merci. Che hanno coltivato il mito del successo individuale legato esclusivamente alla ricchezza personale, in spregio a ogni principio di equità e di interesse collettivo. Dove le parole eguaglianza e redistribuzione erano intese come un’inaccettabile violazione della libertà personale.

Il risultato è palese: un numero sempre più ristretto di ricchi (sempre più ricchi) e un corrispettivo aumento di poveri (sempre più poveri). E un’economia reale allo stremo.
Politiche nelle quali era imperante il dogma del mercato libero, che solo affrancato dai cosiddetti “lacci e lacciuoli”, dalle regole, avrebbe garantito prosperità per tutti.

Su queste politiche del “meno Stato più mercato”, della crescita anche se squilibrata, si è abbattuta questa crisi. Una crisi di sistema. Che ci sbatte in faccia come il capitalismo senza regole sia il peggior nemico di se stesso poiché, presto o tardi, cade vittima dei propri eccessi e per risollevarsi ha necessariamente bisogno dell’intervento massiccio dello Stato e non di sempre più massicci tagli e alleggerimenti. Si legga al proposito l’articolo su Repubblica di oggi di Paul Krugman. A questo tipo di crisi, però, sarebbe ingenuo rispondere con le ricette della Sinistra tradizionale.

Nelle società del Primo mondo, a democrazia stabilizzata, la Sinistra storica non basta più. Basti pensare alle paradossali sconfitte dei socialdemocratici in alcuni paesi europei. In queste condizioni la Sinistra si afferma ancora in quelle aree del Pianeta strategiche da un punto di vista geopolitico, ma ancora non sviluppate a pieno: India, Sud Africa, Brasile. Aree nelle quali la nuova Sinistra vince e riduce le disuguaglianze, rafforza la democrazia e la macchina dello Stato, investe nel settore pubblico.

In Brasile, per fare un esempio, il sindacalista Lula, ha permesso a 60 milioni di persone di salire un gradino della scala sociale. E a 30 milioni di esse di uscire dallo stato di povertà e cominciare a consumare.
La ricchezza e la forza economica di quel Paese non si sono basate su politiche di deregulation e arretramento dello Stato.

Ma su politiche di eguaglianza, declinate con parole quali: equità, redistribuzione, lavoro, emersione dalla povertà, intervento dello Stato. Occorre quindi tornare a puntare sull’uguaglianza, come direbbe Tony Judt, per ridare fiato all’economia e alla democrazia, avvilita dal turbo capitalismo finanziario. E un nuovo patto per l’uguaglianza e la giustizia va pensato all’interno del Paese e delle sue diverse realtà, Nord e Sud, ma contemporaneamente in un’ottica di internazionalismo.

Capiamoci bene, però, su quali siano oggi e dove affondano anche le radici dei nostri mali storici, a partire da una mai risolta Questione meridionale che oggi reclama di essere colta come questione nazionale.
E cominciamo con forza, come PD, a valutare il peso che le mafie hanno nell’impedire lo sviluppo delle nostre regioni e nell’alimentare il fiume delle nuove emigrazioni. E, viceversa, di come la lotta alla criminalità organizzata sia il più efficace freno all’emigrazione e volano di crescita civile prima ancora che economica. Lotta alla criminalità come risposta a domande di carattere economico, culturale e civile. Domande che non riguardano solo l’Italia, ma interrogano l’Europa e il mondo, come scriveva Francesco Forgione, politico passato da questa città ed ex Presidente della Commissione antimafia. La ‘ndrangheta è un fenomeno a lungo sottovalutato che ha radici forti e tradizionali in queste terre, dove mantiene un maniacale controllo del territorio. Ma è un fenomeno nazionale e internazionale di livello vastissimo.

È, senza ironia, la più potente e affidabile multinazionale che possediamo.
Una holding economico-criminale alla quale si appoggiano le criminalità organizzate di tutto il mondo per i traffici illeciti a livello globale. Una multinazionale che offre servizi del crimine su scala planetaria a chi ne fa richiesta. Ma un cancro per lo sviluppo economico, culturale e morale della Calabria, del Sud e dell’Italia tutta.

Perché, per dirla con Pasolini, non possono esserci né progresso né sviluppo se c’è criminalità. Dunque il primo punto dell’impegno delle nuove generazioni politiche che vogliono ricostruire l’Italia, è la lotta alla mafia. A livello locale, nazionale e internazionale. Senza questa lotta non può esserci ricostruzione al Sud.

E se non si ricostruisce il Sud non si ricostruisce l’Italia. Insieme alla lotta alla mafia e all’innesto quotidiano di una diffusa cultura civica e della legalità, occorre tempestivamente investire nel lavoro e nella presenza visibile, forte, autorevole dello Stato. Il cittadino deve percepire concretamente che lo Stato è l’antimafia, è la garanzia della sua libertà, è quell’entità che può garantirgli la possibilità di lavorare e crescere in sicurezza. Garanzie che a volte, anche tra gli onesti, si pensa possa dare da queste parti solo la ‘ndrangheta. Solo se affronteremo questo nodo cruciale, il Sud potrà attrarre investimenti e il sistema Italia tutto potrà sperare di recuperare quel ruolo che le spetta nel consenso internazionale. È il tema dell’internazionalismo a cui accennavo: internazionalismo politico, di diritti, di mercati, di possibilità, di formazione, di giustizia sociale. Quindi provo a concludere con delle proposte concrete legate all’ambito delle migrazioni. Il nostro Paese ha una comunità di emigrati di più di 60 milioni tra italiani cittadini e di “di origine”, legati a noi dalla memoria e dal richiamo culturale.

La stragrande maggioranza di essi viene dal nostro Mezzogiorno, dalla Calabria.
Gente che contribuisce a promuovere e diffondere cultura italiana, tutti i prodotti del made in Italy e del turismo, con ingenti ritorni per l’economia nazionale e locale, come ha ricordato il Presidente Napolitano. E non parliamo solo di vecchia emigrazione.

Perché il nostro Paese non ha cessato di essere terra di emigrazione.
Basta leggere il saggio Ma il cielo è sempre più su, di Provenzano e Bianchi, nel quale si denuncia la ripresa dell’emigrazione verso il Nord del Paese e l’estero; la distanza accentuatasi tra Nord e Sud; il fatto che nel Sud sia ormai morta tra i giovani anche la speranza di cambiare le cose. Per cui l’unico cielo terso cui volgere lo sguardo quaggiù, si sposta sempre più su, a Nord o all’estero. Per capirci: i miei nonni emigrarono negli anni ’60 in Svizzera per campare e far studiare il figlio. Diversi miei coetanei di questa provincia, sono oggi, dopo 40 anni, emigrati in Germania o Svizzera per trovare un qualsiasi lavoro o nel centro e Nord Italia per studiare.

Questa gente, che nell’era della globalizzazione va comunque alla ricerca delle proprie radici in un mondo sempre più piccolo, in una dimensione politica sovranazionale, in un pianeta sempre più interconnesso, è una preziosa risorsa multiculturale, cosmopolita ed economica dell’Italia. È un importante plusvalore economico. Un capitale umano su cui investire con politiche in grado di attrarre eccellenze, capitali, scambi economici e culturali capaci di produrre ricchezza, lavoro e crescita e ridurre la diseguaglianza. Tra questi connazionali o corregionali è ancora forte il sentimento di comunità e di appartenenza. Che li spinge a non perdere i rapporti con la terra d’origine. Rapporti che alimentano l’economia locale e nazionale. Per fare un esempio, basti ricordare solo che il nostro Paese, per tutte le politiche verso gli italiani nel mondo, investirà un totale di 16 milioni di euro nel 2012. Al contempo, esclusivamente dalle casse pensionistiche della sola Europa, arrivano annualmente in Italia circa 5 miliardi di euro.

Risorse quotidianamente spese nel nostro Paese e che alimentano la nostra economia nazionale e locale. Non parliamo di quanto poi potrebbero ancora aiutare la diffusione dei prodotti made in Italy e l’economia nazionale e meridionale nello specifico, se l’Italia e le regioni del Sud costruissero una rete di servizi e assistenza strutturate.

Capaci di creare e alimentare rapporti politici, culturali e scambi commerciali con partnership locali e nei paesi di residenza dei nostri molti e spesso giovani emigrati.

Occorrerebbe, dunque, investire anche in queste politiche e in paesi a forte densità di immigrati italiani e alta crescita economica, come Brasile e Argentina, oltre che i classici USA, Canada e Australia.

O in aree geopoliticamente strategiche e vicine come Tunisia, Egitto, Libia, Marocco e Turchia. Anche per ritrovare quella vicinanza culturale di un antico passato condiviso e di scambi economici un tempo frequenti. Occorrerebbe farlo anche con investimenti dello Stato centrale o delle regioni e province del Sud, con programmi di internazionalizzazione tra piccole e medie imprese locali selezionate con criteri di qualità e piccole e medie imprese nei paesi citati. Buone pratiche di questo tipo esistono già. E rappresentano pochi casi isolati. Ma dimostrano come con investimenti modesti, un milione e mezzo di euro, abbiano creato ritorni economici di 15 milioni, prodotto posti di lavoro, aperto vie commerciali e rafforzato il rapporto con le comunità italiane e regionali all’estero.

Il rafforzamento di questi rapporti produce poi ulteriori ritorni economici tramite il turismo di ritorno dall’estero delle nuove generazioni attraverso le vacanze-studio. Gli enti locali del Sud dovrebbero investire con appositi pacchetti strutturati tra università e attività ricettive e agenzie turistiche, nell’attrazione dei discendenti di italiani nel mondo (o di stranieri interessati all’Italia) che vogliono venire nelle regioni d’origine a studiare l’italiano, la moda, la cucina e a visitare i luoghi d’origine e non. Anche con tanti, piccoli progetti e contributi strutturati in rete come questi, si può ricostruire l’Italia, il Sud e i piccoli centri, creando lavoro, legalità, cultura, internazionalizzazione.

Anche questo può essere utile affinché nessuno scriva più versi amari come quelli che scriveva e cantava Vittorio Franceschi nella ballata Chi non emigra spara, quando diceva: “Nel Sud, paese caldo/ chi non emigra, spara!/ e chi non spara/ ascolta nel silenzio/ il ronzio della sua rabbia impotente”.

Grazie a tutti e buon lavoro.

sabato 17 settembre 2011

Si vuole staccare la spina agli italiani all'estero?

Dopo due anni di tagli lineari e politiche di smantellamento che hanno ridotto in uno stato di coma le strutture e i rapporti tra l’Italia e gli italiani nel mondo, ora il Governo si avvia a staccare definitivamente la spina. Lo si capisce dopo le notizie di nuovi tagli verso gli italiani nel mondo e l’annuncio che il Consiglio dei ministri vuole trasmettere d’urgenza alle Camere il testo di riforma costituzionale approvato il 18 luglio e che prevede la soppressione della Circoscrizione estero.
È inaccettabile che si continui ancora ad accanirsi con i cittadini italiani all’estero senza voler accettare che essi sono parte integrante del nostro Paese e volano di sviluppo economico e culturale in un mondo globalizzato nel quale i paesi avanzati valorizzano i concittadini all’estero.

È ora di fare chiarezza e dire una volta per tutte se questo Governo vuole avere un rapporto reale o no con questi connazionali e di avviare una riflessione seria e a 360° su questo rapporto, senza tentare pericolose e superficiali fughe in avanti come quella imposta dalla maggioranza al Senato sulla legge di riforma del CGIE e che deve invece avere un iter diverso alla Camera.
Non si può pensare di chiudere i consolati, ridurre drasticamente il numero dei Comites, cambiare la ragione sociale del CGIE, abolire la Circoscrizione estero e imporre il quasi azzeramento delle risorse economiche parlando di "riforme", poiché tutto ciò corrisponde solo alla volontà di un massacro.

mercoledì 15 giugno 2011

Juan Esteban Caselli, il re e il Piccolo Principe

Sono settimane di grande fermento e risveglio politico per il nostro Paese. Le ultime tornate elettorali hanno disegnato un’Italia finalmente pronta a voltare pagina e a lasciarsi alle spalle un governo e una maggioranza che hanno ignorato e disatteso i legittimi interessi, i bisogni e le richieste dei cittadini. Non fa eccezione, purtroppo, la realtà degli italiani all’estero trattati, quando va bene, con assoluta indifferenza, come dimostrano anche le più recenti vicende interne al PDL.

Mi riferisco, ancora una volta è il caso di dire, alle gesta del Senatore Caselli che, alternis diebus, si definisce Coordinatore del PDL nel mondo e che, in quanto tale, dà ordini che pochi prendono in considerazione, fino ad essere pubblicamente disconosciuto come Coordinatore dagli stessi militanti del suo partito.

Questo signore ricco, latino e dal sangue caldo, dai toni perentori, dal piglio sicuro e dal volto persino simpatico, mi ricorda uno dei personaggi tristi di quel capolavoro assoluto che è Il piccolo principe, di Antoine de Saint Exupéry: il Re. Quel re che si descriveva così: “Sono un monarca assoluto e universale io! Non tollero la disobbedienza ed è per questo che con il tempo ho capito ciò che è giusto fare. Do solo ordini ragionevoli, ma spesso vengo disobbedito ugualmente. Sono vecchio, non posso più camminare. Mi occorrerebbero almeno un ministro della giustizia e un ambasciatore. Li trovassi potrei lasciare a loro parte del mio potere, ma sono solo, comando e basta”.

Lo stesso re che così discuteva col piccolo principe:
RE: Non puoi sbadigliare davanti ad un re!
PP: Non posso farne a meno: ho fatto un lungo viaggio e non ho dormito.
RE: Allora ti ordino di sbadigliare!
PP: Non riesco più, mi avete intimorito. Sire, ma voi su che cosa regnate?
RE: Su tutto: pianeti, stelle....
PP: Le stelle vi ubbidiscono?
RE: Immediatamente! Io non tollero l’indisciplina!
PP: Vorrei tanto vedere un tramonto! Per piacere, ordinate al sole di tramontare!
RE: Io ho diritto ad esigere l’obbedienza perché i miei ordini sono ragionevoli! Avrai il tuo tramonto quando le condizioni saranno favorevoli, cioè... questa sera! Allora vedrai come sarò ubbidito!
PP: Non ho più niente da fare qui, me ne vado!
RE: No, non andare!
PP: Se voi, Sire, desiderate essere ubbidito, potreste darmi un ordine ragionevole, per esempio di partire entro un minuto. Mi sembra che le condizioni siano favorevoli.
Re: Non andare. Ti nomino mio ambasciatore!
PP: Sono ben strani i grandi: per non perderti, fanno di tutto per accontentarti, ma non è mai un bene!


Già, Caselli mi ricorda proprio quella strana figura. Un re che non regna su niente e su nessuno perché non ha un regno né dei sudditi che lo riconoscano come tale. Un re che non ha rapporti con altri sovrani di regni confinanti né ministri e ambasciatori con cui lavorare. Un re che per essere ascoltato da chicchessia può ordinare solo cose ovvie che si realizzano indipendentemente da lui e per le quali lui è assolutamente ininfluente.

A onor del vero, però, si deve riconoscere che c’è stata una decisione del nostro ‘re’ che ha suscitato approvazione pressoché unanime. È successo quando ha chiesto a tutti di  “considerarlo dimissionario e fuori dal PDL”.  Purtroppo, a interrompere quel raro momento di popolarità, è arrivata la decisione di un sovrano ben più potente, Silvio Berlusconi che, a detta dello stesso Caselli, lo avrebbe incontrato e gli avrebbe parlato, probabilmente per farlo tornare sulla sua decisione (ma Caselli non lo ha chiarito, come non ha chiarito nemmeno con quali argomenti lo avrebbe convinto). A noi interesserebbe sapere, invece, quali siano stati questi argomenti, anche per capire come si “tratta” nel PDL sugli italiani nel mondo, e soprattutto se vi è stata qualche promessa di “risorse” o incarichi fatta al Senatore per non far venir meno il suo sostegno in Aula all’attuale Governo. Il sospetto ci è suggerito proprio dalla lettera di dimissioni dello stesso Caselli, che ci ha spiegato che Berlusconi gli aveva promesso un incarico di sottosegretario a ridosso del voto di fiducia del dicembre scorso. E oggi siamo alla vigilia di un altro importante voto di fiducia (corsi e ricorsi storici).

Dunque, come afferma sconfortato il Piccolo Principe: “Sono ben strani i grandi: per non perderti, fanno di tutto per accontentarti, ma non è mai un bene!”. E se anche questa volta Berlusconi avesse fatto di tutto (a spese dei contribuenti) per accontentare Caselli pur di non perdere il suo voto di fiducia? Certo non avrebbe fatto un bene all’Italia e, soprattutto, agli italiani all’estero, che ancora una volta si vedrebbero massacrati dalla stampa nazionale e dall’opinione pubblica in patria e oltre confine.

Senatore Caselli, gli italiani all’estero non hanno bisogno di un re, tanto meno di un re come lei o come il Presidente Berlusconi. Sia coerente, lasci il suo incarico e ne assuma un altro, magari da “Consigliere politico” di Berlusconi, per “consigliare” anche a lui di dimettersi. Allora sì che gli italiani vi seguiranno, “mi sembra che le condizioni siano favorevoli”.

giovedì 19 maggio 2011

CGIE. Perché continuare a non capire?

Raramente ospito nel mio blog articoli non miei. In questo caso rubo a Marco una sua riflessione per farla anche mia. Buona lettura.

La XVI legislatura è stata inaugurata da una nuova stagione per gli italiani all’estero. La stagione del conflitto con gli organismi di rappresentanza, dei tagli a strutture e servizi, della disparità di trattamento. Con una strategia basata su alcuni punti fermi, ripetuti ogni giorno da chi ha responsabilità di governo, poi trasformatisi in azione politica di maggioranza.

La presunta duplicazione dei livelli di rappresentanza, mantraideologico del Governo, ha tenuto banco a inizio legislatura. Arrivano poi i tagli ai capitoli di bilancio, la chiusura di sedi consolari, la chiusura di istituti di cultura e la riduzione di lettorati. Arrivano anche i tagli all’informazione, alle camere di commercio e ai patronati.

Governo e maggioranza sono poi incapaci nell’azione di tutela degli italiani all’estero, sul piano della parità sostanziale di diritti e doveri sanciti dalla Costituzione. Come dimostrato dal dibattito su esonero ICI, assegno sociale, detrazioni fiscali.

Momenti caratterizzati anche dall’assenza di riforme e di progetti. Con l’esclusione della riforma di Comites e Cgie. Alcuni di noi ritenevano che mancassero, sicuramente, le condizioni di urgenza e che la necessità andasse invece commisurata ai tempi e ai contenuti delle riforme costituzionali.

In sostanza si riteneva indispensabile avere un quadro delle modifiche previste alla rappresentanza parlamentare, prima di modularne l’assetto complessivo.

Oggi abbiamo un testo, pronto al voto al Senato, sul quale pesa il parere contrario del Cgie e dei Comites, sul quale sono emerse profonde divisioni con i deputati, internamente ai gruppi e alle forze politiche, sul quale pesano valutazioni critiche da parte delle associazioni, patronati e sindacati.

Il rischio nell’immediato è un sostanziale scollamento tra i soggetti che compongono il panorama della rappresentanza. E questo sarebbe un grave errore. Occorre fare in modo di mantenere sempre aperti i canalidel dialogo. Comites, Cgie, Parlamentari e Associazioni rischiano di dilaniarsi su una proposta di riforma mentre mancano all’appello due elementi fondamentali. Manca un esecutivo che sia almeno disponibile all’ascolto, che sia attento a garantire almeno la difesa dei principi su cui si fonda il rapporto con gli italiani nel mondo, oltre a tutelare i diritti acquisiti promuovendo la parità di trattamento. Manca inoltre un forte rapporto con le comunità che non sia fatto unicamente di presenzialismo ma di proposta innovativa. In questo siamo tutti carenti. Anche le Associazioni, sia quelle attive sia le sigle vuote. Il problema è che la proposta che sarà votata dal Senato non risolve gli aspetti fondamentali. Non rende né più diretto né più chiaro il rapporto con la rete diplomatico-consolare, che intanto inizia a dare segnali di crescente insofferenza nei confronti della rappresentanza. Non rende più forte il rapporto con la comunità poiché mancherebbero ancora gli strumenti, da quelli finanziari, per svolgere un ruolo che oggi non può più essere unicamente consultivo, ma deve essere di raccordo e di collegamento, anche con le autorità locali. Non rende più importante il ruolo di Comites e Cgie poiché, per esserlo, occorrerebbe sempre un esecutivo che dimostri capacità d’ascolto.

Per queste ragioni non comprendo, davvero, lo sforzo dei colleghi senatori di opposizione nell’approvare un testo che alla Camera non potremo accogliere. Che dovremo stravolgere. Con un secondo rischio. Nonostante la contrarietà alla proposta emersa dai lavori del Senato, espressa dalla maggioranza dei deputati e senatori di opposizione eletti all’estero, se questa procedesse indipendentemente dalle posizioni espresse, esternamente e internamente ai gruppi e ai partiti, se fosse approvata nonostante il voto contrario degli eletti all’estero, porremmo ulteriormente in difficoltà la rappresentanza parlamentare. Un pericoloso gioco al massacro, peraltro inutile.

Dobbiamo chiederci che ruolo stanno svolgendo i deputati e senatori di maggioranza, in che misura sostengono, alla Camera come al Senato, il progetto di riforma.
Il confronto con Governo e maggioranza è stato aspro e teso. Non abbiamo concesso nulla come opposizioni, abbiamo sempre proposto una strategia di dialogo critico e ci siamo dichiarati pronti a un confronto sui contenuti. Eppure non è bastato. Non è bastato per chiarire le perplessità e per migliorare il testo prima del voto. È mancato anche un approfondito confronto interno ai gruppi e alle forze politiche, come invece è avvenuto per la riforma delle norme per l’esercizio in loco del diritto di voto. E questa è sana autocritica.

Non mi sorprende che chi crede in un progetto lavori per vederlo realizzato. Non ci si deve sorprendere, allora, quando i “non credenti” lavorano per non vederlo realizzato o per modificarlo. Evitiamo quindi il fuoco incrociato, sempre inutile e dannoso.

È sorprendente invece che il Governo, su un tema come questo, abbia preferito nascondersi dietro l’iniziativa parlamentare evitando in tal modo di aprire un confronto serio sui contenuti della riforma.

È sorprendente che una proposta di riforma di Comites e Cgie, ad esempio, non parta da un’analisi precisa di ciò che funziona, quindi da rafforzare, ed elimini o modifichi radicalmente ciò che non ha funzionato o è superato dai tempi. La riunione annuale di coordinamento tra la rete diplomatico-consolare, i Comites, il Cgie, le Associazioni, gli Enti gestori e i Parlamentari è il momento più importante della vita di questi organismi. In alcune realtà è sistematicamente ampliato anche ad altri momenti di coordinamento, come il Forum dei Parlamentari locali e il coordinamento dei giovani. Con risultati assolutamente inediti anche nei confronti dei Governi locali.

È sorprendente, infine, che ci si trovi costretti a dedicare molto tempo a una discussione che purtroppo appare sterile e vuota. Sono sorpreso anche di avervi dedicato uno spazio temporale sottratto ad altre attività, tra cui la soluzione di tanti microproblemi che ci arrivano direttamente dagli italiani all’estero.
On. Marco Fedi

domenica 20 febbraio 2011

La legge del controesodo

"La fuga dei cervelli italiani, è il tema principale di Italia Chiama Italia. Eugenio Marino, Responsabile del PD per gli Italiani nel Mondo, illustra una nuova legge, votata da maggioranza e opposizione, che prevede agevolazioni e incentivi fiscali per i giovani italiani residenti all’estero che intendono tornare a lavorare in Italia".

L'altro giorno ho partecipato alla trasmissione televisiva di Rai International, Italia chiama Italia.

Chi voglia seguire la breve puntata, fino a quando resterà in onda, può farlo cliccando qui: http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.international.rai.it%2Fraitalia.tv%2Fprogramma.php%3Fid_programma%3D1044&h=12e54

sabato 12 febbraio 2011

Lettera di Bersani agli italiani all'estero: firmate per far dimettere Berlusconi

"In qeste settimaneil mio pensiero è andato spesso agli italiani nel mondo. A chi quotidianamente tiene alto il buon nome dell'Italia con il suo impegno nel lavoro, con lo studio, nelle università o nei centri di ricerca, con le attività volontarie nelle missioni civili, religiose, militari e di cooperazione. Proprio voi, oggi più che mai, state vivendo sulla vostra pelle le conseguenze sull'immagine del nostro Paese che hanno avuto le vicende personali del Presidente del Consiglio, vicende che hanno trovato ampio spazio e risonanza sui media internazionali".
Si apre con queste accorate parole la breve lettera che Bersani ha inviato agli italiani all'estero per invitarli a firmare per far dimettere Berlusconi.

Vi invito a leggerla tutta e firmare l'appello cliccando qui.
Vi invito anche a far circolare questa notizia sulla vostra pagina internet, quella facebook e nella vostra mailinglist.

sabato 1 gennaio 2011

Gli auguri agli italiani all'estero

Su Rai radio 1, ieri sera, si è fatto un breve bilancio per gli italiani all'estero e abbiamo inviato i nostri auguri per il 2011.
Chi volesse ascoltare l'intervista fino a quando rimane sul web del sito della Rai può cliccare qui o digitare questo indirizzo: http://www.international.rai.it/raitalia.tv/programma.php?notiziario=18451855