Sul numero di ottobre 2014 di "L'altraitalia" è uscito questo mio articolo. Buona lettura.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Con queste parole Dante chiude la prima cantica della Divina commedia dopo aver attraversato l’Inferno e prima di arrivare al Purgatorio, con l’obiettivo finale di riprendere un cammino di luce e speranza. Sono parole che indicano il presagio del cammino di speranza che lo attende dopo la disperazione da cui proveniva. Ecco, mi pare una buona metafora della condizione nella quale attualmente si trovano le nostre comunità all'estero.
Veniamo da anni di tagli lineari, disinteresse, penalizzazioni, mancanza di ascolto e dialogo e persino di blocco democratico, con tre rinvii delle elezioni per il rinnovo di Comites e CGIE che hanno portato questi organismi volontari allo sfinimento, al logoramento. Se hanno resistito è stato solo per la tenacia, la tempra e la forza di volontà di chi ha a cuore le nostre comunità nel mondo.
Oggi, invece, siamo a uno snodo: abbiamo rappresentanti di Governo (ministro degli esteri e sottosegretario) che hanno ricominciato a dialogare con le rappresentanze degli italiani all'estero – parlamentari, Comites, CGIE e partiti – e questo ha portato i primi risultati positivi: l’abolizione dell'IMU per pensionati italiani residenti all'estero, l’inversione dell’opzione per l’esercizio di voto, la riduzione di TARI e TASI e l’indizione delle elezioni di Comites e CGIE, solo per fare qualche esempio.
Queste elezioni non vanno considerate solo uno dei tanti passaggi elettorali, sarebbe profondamente sbagliato. Devono trasformarsi in una grande opportunità per le nostre comunità in tutte le loro articolazioni: dall'emigrazione tradizionale agli italo-discendenti, dai giovani trasferitesi definitivamente all'estero a quelli che si caratterizzano per una forte mobilità e che magari passeranno solo alcuni anni della loro vita all'estero (e in diversi paesi dell’estero) per poi tornare in Italia.
Dico questo perché nel nostro Paese sta avvenendo una grande trasformazione da un punto di vista istituzionale: si sta ridisegnando l’architettura dello Stato con una riforma costituzionale che prevede il superamento del bicameralismo perfetto e la distinzione delle competenze delle due camere. Quella dei deputati continuerà ad essere quella che conosciamo, mentre il Senato sarà la Camera delle istituzioni territoriali. In questo quadro cambierà, sia numericamente che qualitativamente, anche la rappresentanza diretta degli italiani all'estero, che probabilmente rimarrà come Circoscrizione estero solo alla Camera.
Questo comporta che si dovrà ripensare l’articolazione della rappresentanza italiana all'estero nel suo complesso a seconda di come si definirà la riforma costituzionale.
Io credo, quindi, che i candidati alle prossime elezioni per i Comites e il CGIE dovranno coinvolgere le nostre comunità in un’ampia riflessione su come dovranno essere riformati questi organismi dopo la riforma costituzionale. E una volta eletti, lavorare tra Comites, CGIE, parlamentari eletti all'estero e partiti a trasformare le discussioni fatte e le idee raccolte in una riforma che dovrà trovare ancora ascolto e partecipazione presso il Governo e il Parlamento tutto.
Da qui, a mio avviso, deve iniziare il lavoro e la discussione. E occorre interrogarsi, in un’ottica di riposizionamento dell’Italia e della sua politica estera nella geopolitica globale, di arretramento delle postazioni diplomatico-consolari e dello Stato italiano in alcune regioni del mondo, su quale debba essere la nuova missione dei Comites e del CGIE, quali funzioni e reali poteri essi debbano avere per completare e rendere utile, efficiente e articolato il sistema della rappresentanza italiana nel mondo.
Io sono fortemente convinto che se la riforma costituzionale andrà in porto come si sta profilando, occorrerà dare nuovi, concreti e reali poteri di rappresentanza di base ai Comites e intermedia al CGIE.
Occorrerà metterli nelle condizioni di poter essere organismi che amministrano e che decidono.
Non possono limitarsi solo a dare pareri, fare relazioni sulle comunità e svolgere un ruolo di servizio volontario senza che esso sia nemmeno riconosciuto formalmente.
In quest’ottica io credo, per fare un esempio, che i consiglieri di Comites e CGIE, innanzitutto debbano avere almeno alcuni dei poteri conferiti in Italia a sindaci, presidenti di provincia e regione, ai consiglieri circoscrizionali, comunali e provinciali, come quelli, ad esempio, dell’autenticazione delle firme elettorali in caso di referendum o presentazione di liste alle elezioni politiche e degli stessi Comites.
In Italia, infatti, i cittadini eletti a rappresentanti del popolo (quelli sopra citati), hanno questo potere. Perché non può averlo un Presidente o consigliere di Comites e CGIE eletto dai cittadini italiani all'estero?
Non si tratterebbe, chiaramente, di dare una semplice “funzione” a un eletto, si tratterebbe di riconoscere a pieno la funzione di rappresentanza di questi organismi e collegarla a uno (quello citato) o più specifici poteri reali.
Di fare un salto di qualità che ci proietterebbe in un mondo nuovo.
Inoltre, si potrebbe ragionare se è ancora il caso di pensare il CGIE incardinato nel MAE o se può essere più utile incardinarlo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, provando a favorire il ruolo di raccordo e interlocuzione con i ministeri che hanno competenza sugli italiani all'estero: dagli esteri all'Interno, al Lavoro, alla Scuola, al Turismo ai dipartimenti che si occupano di integrazione, pubblica amministrazione, editoria e internazionalizzazione.
Una riflessione, questa, da fare perché penso che le funzioni del CGIE debbano essere indirizzate più all'azione di rappresentanza esecutiva e di raccordo della rappresentanza generale che a quelle della politica estera, per la quale pure i nostri organismi di rappresentanza devono avere un ruolo definito.
Infatti la stessa diplomazia ufficiale, nel mondo iperglobalizzato, non basta più, va correlata dall'azione concreta e riconosciuta delle organizzazioni non governative, dal mondo imprenditoriale, dai cittadini che un paese mantiene sparsi nel mondo (dunque dalle loro rappresentanze) e facendo sinergia tra tutto ciò.
In una sola parola, dalla megadiplomazia, come direbbe Parag Khanna, per la quale i componenti del CGIE dovrebbero essere pienamente riconosciuti come reali interlocutori dalle autorità locali, dallo Stato italiano e dai rappresentanti diplomatico-consolari e non essere percepiti come fastidiosi competitori.
E poi si dovrebbe rivedere il ruolo del CGIE nella Conferenza delle regioni e del CINSEDO (il Centro Interregionale di Studi E Documentazione della stessa Conferenza).
In particolare, in quella sede il CGIE dovrebbe avere un ruolo riconosciuto soprattutto nel confronto sulla diffusione delle “best practices”
(portando le esperienze di altri paesi) e nella sottolineatura del ruolo dei territori e degli italiani nel mondo alla costruzione dell’Unione Europea in particolare e di diversi organismi internazionali.
Non voglio, con queste riflessioni, definire linee guida di una possibile proposta di riforma, ma stimolare la discussione e le proposte che i candidati alle prossime elezioni dovranno sottoporre agli elettori in vista del nuovo mandato di Comites e CGIE, poiché dal 2015 essi si troveranno a dover discutere e pensare come riformarsi: quali poteri reali di rappresentanza territoriale, di raccordo concreto con le istituzioni nazionali (Parlamento, Governo, ministeri, regioni, centri studi), quale riconoscimento di funzioni che diano concretamente un valore aggiunto alle nostre comunità?
Su tutto ciò anche i circoli, l’Assemblea, i parlamentari del PD eletti all’estero devono discutere, poiché il PD è la più grande forza politica e di Governo all’estero, ha una rete diffusa e radicata su tutto il territorio, ha moltissimi suoi dirigenti tra gli eletti di Comites, CGIE e parlamento.
Questa forza lo carica della responsabilità di continuare a essere il motore e il protagonista della futura riforma e l’anello di congiunzione tra Parlamento, CGIE, Comites e Governo, così come lo è stato in questi ultimi mesi, segnando un cambio di rotta e portandoci fuori da quell’Inferno dantesco di cui parlavo all’inizio. Ora abbiamo ancora il Purgatorio davanti, ma l’obiettivo è quello di arrivare a un cammino di luce e speranza.