martedì 3 aprile 2007

Calabria Saudita e nuova emigrazione

Da una decina d’anni a questa parte, l’emigrazione italiana dal Sud verso il Nord Italia e l’estero è ripresa a livelli molto prossimi a quelli delle grandi migrazioni degli anni ‘50. Questo è quanto ci dicono i dati ISTAT sull’ultimo decennio.
La differenza, però, rispetto all’emigrazione degli anni ‘50, sta nel fatto che a emigrare non sono più soltanto i disperati, quelli poco o nulla scolarizzati e che cercavano semplicemente uno stipendio per sopravvivere. Quelli che “emigrano”, o meglio che si “spostano” oggi, sono in massima parte giovani laureati o diplomati. Giovani anche altamente scolarizzati in grado di navigare in Internet, che spesso conoscono almeno una lingua straniere (nella maggior parte dei casi l’inglese), che vanno alla ricerca di un luogo che sentono più vicino alla propria indole, nel quale gli è possibile esprimere il proprio talento. Quindi una generazione di persone che si muove anche perché cerca di più di quel che ha, mentre quella degli anni ’50 cercava qualcosa perché non riusciva ad avere nulla dove stava.
Ma, naturalmente, questa categoria di nuovi migranti, si aggiunge a quella delle forze lavoro meno qualificate, quelle che continuano ad essere poco scolarizzate, quelle che non riescono a trovare in loco nessun tipo di lavoro e che partono con la speranza di trovare nel Nord Italia o all’estero ciò che nel Meridione non possono avere: una qualsiasi possibilità di lavoro. Si tratta, dunque, di spostamenti di massa che, dopo essere quasi spariti la metà degli anni Ottanta – attestandosi intorno a poche decine di migliaia di unità l’anno – a partire dalla metà degli anni Novanta a oggi sono tornati a raggiungere anche i 130.000 spostamenti all’anno. Un livello molto prossimo a quello registrato sul finire degli anni ’50 del ‘900. L’Istat, quindi, rileva “la tendenza nell’ultimo decennio alla ripresa delle migrazioni di lungo raggio lungo le direttrici tradizionali”. Che tristezza nel 2007!
Questa situazione deriva anche dal fatto che il Mezzoggiorno d’Italia è il luogo in cui, più che altrove, si registra un altissimo spreco di risorse pubbliche e, contemporaneamente e paradossalmente, un mancato utilizzo di risorse provenienti dall’Unione europea. E dove, al contempo, si registrano gravissime carenze nella fornitura dei servizi che dovrebbero costituire la condizione primaria e allo stesso tempo un volano per lo sviluppo economico.

A questi problemi si aggiunge quello demografico e della denatalità - del tutto nuovo per il Mezzoggiorno italiano - che pone un serio problema allo sviluppo futuro di quest'area, e che rischia di far pagare domani a caro prezzo il tempo perso e le risorse sprecate.
Nella prima metà degli anni ’70 nascevano in media 3 figli per donna nell’Italia meridionale, e attorno a 2 nel Nord. La crescita demografica dell’Italia era alimentata grazie alla fecondità del Sud. Nella prima metà degli anni ’90 l’Italia settentrionale aveva una natalità inferiore a qualsiasi altro Paese al mondo, mentre l’Italia meridionale era al livello dei paesi europei più fertili. Negli ultimi dieci anni è iniziata una fase nuova. Per la prima volta la fecondità è tornata a salire, ma solo al Nord. Inoltre, per la prima volta, si ha un Sud che continua a decrescere, e un Nord che presenta moderati segnali di ripresa. Nel Sud, inoltre, le conseguenze della denatalità sul declino e sull’invecchiamento della popolazione sono accentuate rispetto al Nord, dalla pressoché nulla presenza di immigrati stranieri e dalla forte ripresa dei flussi migratori in uscita di giovani di cui ho detto in precedenza.
Un mix, questo, che se non trova una inversione di tendenza in tempi relativamente brevi, metterà a serio rischio la sopravvivenza economica e demografica dell’intero Mezzogiorno italiano, che si trasformerà in un innaturale cimitero di anziani bisognosi di un’assistenza che difficilmente avranno, sia pubblica che privata o familiare. E chi ne farà le spese più grosse saranno le regioni più povere - Calabria in testa - i piccoli comuni e le classi sociali più deboli.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Trovo anch'io preoccupante il fatto che l'emigrazione sia ripresa ai livelli degli anni '50 e condivido pienamente l'analisi fatta sul tipo di emigrazione. Io stessa mi riconosco molto in quegli emigrati, giovani, che partono non tanto perché non hanno di che vivere al sud, ma perchè cercano altro rispetto a ciò che il sud può anche offrirgli. Ma le nostre istituzioni devono creare le condizioni perché noi giovani che viviamo fuori possiamo essere una risorsa per la nostra terra d'origine, altrimenti la tua previsione per il futuro diverrà una tristissima realtà.
Fr

Anonimo ha detto...

L'Istat naturalmente non fa altro che fotografare e registrare la realtà attraverso i numeri. Dunque ci sorprende il fatto che l'emigrazione sia ripresa con i numeri degli anni 50, ma non è per nulla sorprendente il fatto che sia un'emigrazione diversa e di giovani scolarizzati. Le persone che scrivono su questo sito lo confermano, così come lo testimoniano i viali dei paesi del sud durante l'estate, dove si ritrovano migliaia di studenti universitari che tornano per le vacanze. Sono giovani brillanti (come la sottoscritta), con una mentalità più aperta rispetto a quei pochi che restano (te escluso), con un livello di istruzione spesso altissimo (vedi la sottoscritta) ecc. Giovani però che difficilmente vorranno mai tornare a vivere giù, soprattutto se le condizioni non cambiano davvero.

Anonimo ha detto...

La situazione è davvero triste e preoccupante. Ma adesso spetta al governo dell'unione trovare delle soluzioni per invertire questa tendenza e creare le condizioni perchè il sud si riprenda da questo declino che dura da sempre.

Anonimo ha detto...

Caro Eugenio,
la questione che hai affrontato (i nuovi emigranti: meridionali secolarizzati) potrebbe costituire materia per decine di saggi, essendo oramai un problema che si sta divenendo di drammatica attualità. Non v’è dubbio che i giovani diplomati e laureati del Mezzogiorno emigrino, soprattutto, alla ricerca di un posto di lavoro dignitoso (che per la verità oggi, nel tempo della flessibilità selvaggia, è forse difficile trovare anche altrove), ma vi è una parte consistente di nuovi emigranti che lascia le nostre contrade pur avendo qui da noi un posto di lavoro (a volte si tratta anche di famiglie nelle quali lavorano entrambi i coniugi), la casa, proprietà, gli affetti più cari. Se passi in rassegna le famiglie del nostro paese ti ricorderai quanta gente che a Caccuri aveva tutto e che è, comunque, emigrata. Una volta si emigrava alla ricerca di “pane e lavoro”, oggi si emigra anche alla ricerca di una migliore qualità della vita, di servizi più efficienti, di una sanità degna di questo nome, di una offerta culturale, ricreativa, di posti e ambienti non degradati, di bellezze paesaggistiche a ambientali ancora integre, insomma di quelle cose che in Calabria e nel Mezzogiorno non siamo mai riusciti a creare, ma anche di quelle cose che un tempo avevamo e che poi abbiamo distrutto. Hai voglia di pubblicizzare la nostra aria pura, le nostre risorse ambientali, le nostre tradizioni, le nostre spiagge”!; hai voglia di fare appello alle nostre radici, all’attaccamento alla nostra terra! Chi se ne va se ne va per sempre, anche se la retorica del “paesello natio” gli consente di liberarsi dei “complessi di colpa”. D’altra parte hanno pure ragione. Te la sentiresti tu, ad esempio, se ti offrissero uno stipendio di 1600 euro che è poi quello che guadagno io dopo 37 anni di lavoro, di lasciare la “Città dei cesari” per tornare a Caccuri? Così i nostri paesi muoiono, anche perché, come fai giustamente rilevare, agli effetti disastrosi dell’emigrazione si aggiungono quelli altrettanto nefasti di uno spaventoso decremento demografico dovuto al fatto che la gente fa sempre meno figli. Ma in questo caso io e te siamo i meno indicati a dare consigli agli altri.
Spero non te la prenderai. Si scherza per non morire.
Ciao. Quel “lotanusu” di tuo padre.

Anonimo ha detto...

Penso che Giuseppe ha ragione. Quanti sarebbero i giovani disposti a tornare al sud se pure gli offrissero un buon lavoro. Io per esempio, non tornerei, ormai sento quei posti vicini affettivamente ma lontani mentalmente, anche se ci torno ogni volta che posso e molto volentieri.

Anonimo ha detto...

@ Carla: L'ironia non la metti mai da parte: comunque hai ragione nel merito.
@ Giuseppe: Il fatto che capiti che lascia il Meridione e i piccoli paesi anche chi ha un lavoro è indice, allo stesso tempo, di un disagio culturale positivo per chi si muove, ma negativo per l'ambiente da cui si parte. Significa che la gente ha bisogno di altro rispetto a quel "pane e lavoro" di cui parli, ma un "altro" che il Meridione, purtroppo, non riesce a offrire: e la cosa è davvero tragica. Io, poi, difficilmente posso tornare giù, ma perché il lavoro che faccio e voglio continuare a fare lo posso fare solo da Roma, mentre altri lavori si possono fare dovunque: la tragedia è che lo stesso lavoro (l'impiego pubblico a esempio, l'insegnante o altro) i giovani vogliano farlo lontano dal Sud. Ciò che scrive alelondon lo testimonia. Però sia io che gli altri come me, saremmo ben lieti di poter interagire e fare qualcosa per i nostri luoghi d'origine, così come vorrebbero fare i ricercatori italiani all'estero con le università italiane.

Anonimo ha detto...

Trovo sempre interessanti gli articoli che scrivi e spesso ricchi di spunti originali. Questo meriterebbe maggiori approfondimenti perchè riguarda davvero un fenomeno di massa e dalla portata epocale. Continueò a seguirti.

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e