giovedì 14 giugno 2007

Sarà inutile ogni buon motivo

In giro per l'Italia o per il mondo, nelle sezioni e tra la gente, mi sento spesso fare numerose domande su quale dovrà essere l'anima del Partito Democratico. Molti, tra i DS e nella Margherita, temono rispettivamente di vedere "annaquate" le proprie posizioni. Non è mai facile far capire come vogliamo fare la sintesi tra due culture altrettanto nobili e autorevoli. Non è mai facile, soprattutto con i compagni dei DS, affrontare il dibattito sulle questioni etiche, della laicità e della durata della vita. Ancor più difficile lo è in paesi come l'Olanda, la Svezia, la Danimarca, il Belgio.
Questi compagni ci danno fiducia e accettano giustamente i processi e le mediazioni che siamo chiamati a operare per far nascere questo grande partito plurale, anche a costo di sacrificare posizioni culturali personali e particolari visioni del vivere civile.

Ma mi/ci avvertono di non tirare troppo la corda, poiché sono arrivati all'ultimo tenue filino, che può spezzarsi da un momento all'altro e, se si spezza, nessuno potrà obbligarli a votare per il PD, nonostante le giustificazioni reali che posso/potremo dare.
A esemplificare questo stato d'animo e di cose è arrivato oggi il corsivo di Michele Serra su Repubblica. E' indicativo del comportamento di questi compagni.
Ecco cosa scrive Serra, che non è un estremista, bensì uno che ha scritto di tutto pur di convincere la Sinistra estrema a compiere atti di responsabilità. Lo stesso che ci ha spiegato, tempo fa, che per avere in Italia un capitalismo serio doveva andare al Governo il centrosinistra, da Cossutta ad Agnelli, passando per Dini e Mastella.

Mentre i DICO veleggiano sicuri verso l'Isola che non c'è, anche il povero testamento biologico rischia di uscire dal novero delle opzioni possibili. Informano i giornali, con laconica sintesi, che siccome i teodem della Margherita hanno da eccepire, la relatrice diessina, senatrice Bassoli, non è in grado di presentare un disegno di legge di maggiornaza.
Orbene. Per quello che conta il mio voto (poco, ma per me tanto), credo sia giunto il momento di far sapere che se il Partito Democratico nasce con i lacciuoli clericali attualmente in campo, non lo voterò. Perché si capisce lo sforzo unitario, si capisce l'indefesso lavoro di compromesso, si capisce che siamo un paese di forti radici cattoliche, si capisce che da nessun partito di massa si può pretendere una perfetta coesione culturale: ma insomma, c'è un limite a tutto. Gli italiani laici e di Sinistra, siano diecimila o dieci milioni poco importa, hanno il diritto di sentirsi rappresentati in Parlamento da una forza politica libera dal condizionamento della Chiesa. E conosco perfino un pasio di preti, e parecchi buoni cristiani che la pensano come me: non vogliono vivere sotto la tutela morale della pur virtuosa senatrice Binetti. Si pretende dai politici che parlino chiaro, ma anche gli elettori hanno il dovere di farlo: io non voterò mai per un partito nel quale i teodem abbiano questo evidente potere di ricatto. Fateci sapere. Grazie.

lunedì 11 giugno 2007

Un linguaggio dannoso per gli italiani all'estero

Riporto di seguito l'articolo che è uscito venerdì sull'ultimo numero del notiziario bisettimanale DS/Cittadini del mondo. E' una riflessione sull'inopportuno e volgare linguaggio usato dalla destra. Buona lettura.
Per scaricare il nostiziario, con foto oscene di esponenti del centrodestra, clicca qui

Da un po’ di tempo a questa parte, leggo con difficoltà, che diventa in taluni casi imbarazzo, certa parte della stampa rivolta agli italiani all’estero. Mi pare di riscontrare un linguaggio che poco si addice a una sana e corretta dialettica tra le parti politiche. Non mi riferisco naturalmente alle critiche – legittime – o alle differenti opinioni espresse da avversari politici, ma ai toni, ai modi e al linguaggio cui tali esternazioni sono affidate.
Affiorano atteggiamenti lessicali, moduli espressivi, codici che pensavo ampiamente superati e assolutamente anacronistici, oltre che di pessimo gusto nella società della comunicazione. Un linguaggio, insomma, che spesso scade nel volgare, che denota una mancanza totale di galateo istituzionale. Un linguaggio non solo irrispettoso nei confronti dei nostri connazionali all’estero, a cui certa stampa si rivolge, ma ugualmente dannoso al di qua delle Alpi.

Uno stile e un registro che ingrassa il già ben nutrito repertorio di pregiudizi e luoghi comuni che imbevono l’immaginario della nostra classe politica – e non solo – quando si parla di Italiani nel mondo.
Quando leggo su L’Italiano, tanto per fare qualche esempio, titoli del tipo: “Prodi: un morto che cammina”, “Gli italiani all’estero fregati un’altra volta”, “Il viceministro se ne sbatte del CGIE”, “Carozza si sveglia e piscia fuori dal vaso” (e per questioni di spazio non riporto pezzi di articoli), penso che il livello di civiltà sia molto scaduto.
E lo ripeto: non entro nel merito delle critiche e delle posizioni, che possono essere le più feroci e distanti dalle mie e tuttavia legittime, purché contenute nell’alveo del reciproco rispetto, della civiltà, appunto.

Sono certo che faremmo tutti cosa utile alla politica, alla comunicazione, ai nostri connazionali all’estero, se esercitassimo maggior decoro e compostezza.
Abbiamo lottato tutti, a lungo e spesso insieme, per vedere riconosciuti alcuni diritti per i nostri connazionali all’estero. Abbiamo lottato a lungo, e continuiamo a farlo, per acquistare e consolidare credibilità e superare stupidi stereotipi verso il mondo degli italiani all’estero.
Un modo intelligente per dimostrare che ne è valsa e ne varrà ancora la pena sarebbe quello di bandire trivialità da camerata che gettano un velo di mestizia sul cammino faticoso (e per questo ancor più meritorio) compiuto fin qui. Sarà un bene per tutti.

Diversamente l’avranno vinta proprio coloro che dai luoghi comuni traggono ispirazione politica, quelli che ancora nel maggio scorso dichiaravano: “Gli italiani all’estero non pagano le tasse, è piuttosto discutibile che possano votare!” (Berlusconi, Ansa del 22 maggio 2006).