sabato 14 novembre 2015

Da Khayyam agli estremismi via Parigi

Omar Khayyam, uno dei più grandi poeti della Persia (attuale Iran) dell’anno Mille, visse le difficoltà del proprio difficile tempo, fatto di conflitti religiosi e politici. Soprattutto politici. Come politici sono i conflitti del nostro tempo. Anche quelli che portano a Parigi.

I temi della poesia di Khayyam sono quelli del vino – oggi bandito dagli integralisti islamici che seminano morte da sobri – dell’importanza del presente, del tempo che passa e che consuma lentamente ...la vita: una vita che vale la pena di vivere e che nessuno ha diritto di interrompere.
Non è l’Islam che mi spaventa, non mi farò terrorizzare da chi l’Islam lo usa per uccidere ed esercitare un dominio politico. Il terrorismo vince se ci lasciamo terrorizzare. 


Io leggo (ri-leggo) Khayyam, poeta persiano dell’anno Mille che beveva vino, godeva dell’attimo presente e delle donne e osannava la vita contro la morte.


I Dottori, che l'ultime ragioni
san del mondo e ne menan tanta guerra,
un dì... avran sonno, e taceranno, proni,
con pochi vermi in bocca e poca terra.
[…]
Tutto tu vedi e ciò che vedi è nulla;
ti parlan tutti e ciò che ascolti è nulla;
l'orbe percorri e ciò che impari è nulla;
ti apparti e pensi ed anche questo... è nulla!
[…]
Chi siam noi, vuoi sapere? Marionette!
Bei burattini con cui Dio si spassa.
E gioca e scherza e poi, via via ci mette,
poveri e ricchi, entro la stessa cassa.
[…]
Dalla taverna, all'alba, esce un richiamo
per il viandante: «Avanti, avanti, avanti!...
La clessidra ti scema, accorri o gramo;
empi il bicchier di vin, l'aria di canti».
[…]
Beviam, ché il tempo vola e ancora, ahi! spesso,
torneranno le stelle al punto istesso,
e le ceneri nostre saran... muri,
abitati da nuovi morituri.
[…]
Non servire al dolor, sordo all'accento
della memoria; cèrcati una fata
che in dote abbia... la bocca inzuccherata,
e godi e non gettar la vita al vento!
[…]
O vin chiaretto, amico del sollazzo,
io ti vo' ber, finché... briaco e pazzo,
io ti somigli tanto, che il vicino
mi dica: «Donde vieni, Messer Vino

venerdì 6 novembre 2015

Rilanciare dialogo tra Governo, MAE e Patronati

Oggi sono intervenuto all'evento per i 20 anni della UIM (Unione Italiani nel Mondo) e ho detto queste poche cose.


Buongiorno a tutti.
Grazie innanzitutto a Mario Castellengo per le "parole d'ordine" che ha usato nel suo intervento, "partecipazione politica", e la distinzione da lui fatta tra "apartitico" e "apolitico".
Ha fatto bene, poiché spesso si fa confusione tra le due cose e la sciocchezza che le associazioni debbano essere apolitiche l'ho sentita risuonare persino in una relazione agli Stati generali dell'associazionismo all'estero.
E grazie per avermi invitato ancora, dopo il vostro congresso di qualche anno fa, a questo nuovo e importante appuntamento.
Lo dico con convinzione, perché credo che anche la continuità e la stabilità dei rapporti tra diversi soggetti siano elementi indispensabili per la serietà delle relazioni e il raggiungimento di fini comuni.
Per questo voglio riprendere e, per quanto possibile, provare rilanciare da qui un dialogo tra il mio Partito e il vostro mondo, quello dell’associazionismo e dei patronati all’estero.

Un dialogo che da un po’ di tempo è minato da anacronistiche e ingiustificate posizioni politiche – anche in buona fede, ma non per questo sbagliate – da strumentalizzazioni politiche o, peggio, da campagne giornalistiche mirate a colpire qualcuno o qualcosa più che a correggere errori o insufficienze e a adeguare ai tempi gli strumenti.


Il mondo delle associazioni all’estero e dei Patronati, con l’alleggerimento e l’arretramento sempre più consistente dello Stato sul territorio, con il rinsecchirsi obbligato – diciamo – dell’erogazione dei servizi da parte delle istituzioni competenti, diventa sempre più centrale per le comunità e per i rappresentanti istituzionali e politici.
Certo, queste realtà oggi vanno riviste.

Ma non nella direzione dello smantellamento al quale mirano le campagne giornalistiche e parte della politica a avversa alla mia.

Vanno riviste nella direzione auspicata e indicata da molti di noi, dallo stesso Gilberto De Santis nella veste di coordinatore del CEPA alla Festa nazionale de l’Unità di Milano.
Devono diventare, cioè, quello strumento al quale lo Stato affida parte di quelle competenze che da solo non riesce più a svolgere e che non può delegare ai privati, pena costi spesso insostenibili per i moltissimi che non potrebbero permetterseli.

Devono continuare, come già spesso fanno, a essere i luoghi di riferimento non solo e non più esclusivamente dell’emigrazione tradizionale, ma luogo di accompagnamento all’inserimento anche dell’emigrazione recente. Compiti, ripeto, che in buona parte spesso già svolgono.
In questa direzione, infatti, erano stati presi impegni prima delle ultime elezioni politiche, ma ancora, nonostante la necessità contingente di accelerare, siamo in ritardo.
W io spero che anche da qui, oggi e nelle prossime settimane, si possa riprendere e rilanciare questa discussione anche col MAECI, insieme alla necessità di azzerare o ridurre i pesanti tagli.


Nell’ultimo anno, anche con le elezioni di Comites e CGIE, ho avuto modo di seguire prima di tutto nel mio Partito, il lavoro che una generazione di giovani e nuovi emigrati ha svolto nelle nostre comunità e nel rapporto tra queste, le istituzioni di rappresentanza e l’Italia.

Questi giovani, protagonisti capaci e attivissimi nella partecipazione politica, hanno fatto insieme all’emigrazione tradizionale un gran lavoro di analisi, di elaborazione e proposta.
E anche da loro è emersa la necessità di fare dell’associazionismo un riferimento prioritario per le comunità italiane all’estero, per le istituzioni e per la politica.

Discutono, e io con loro, sulla necessità sì, di riforme incisive, ma nella direzione del potenziamento che ho espresso prima e di un maggiore rapporto tra esse e lo Stato.
Non vogliono invece confondere la richiesta di riforme con il depotenziamento o smantellamento delle strutture e delle funzioni istituzionali esistenti, associazioni e patronati compresi.

Il vostro slogan oggi è “20 anni con i lavoratori italiani nel mondo”.
Ed è proprio con i lavoratori che vuole stare il PD?
Il Governo dimostri con maggior coraggio che vuole stare anche con i lavoratori italiani all’estero, quelli che sono via da tempo e i tanti che continuano a partire oggi e hanno bisogno di assistenza, tutela, servizi, accompagnamento, informazioni.

Tutte  cosa che lo Stato da solo non ce la fa a garantire e che i privati non possono fornire se non a prezzi inaccessibili per i più.


Dunque serve un aiuto per lo Stato, qualcosa che integri e potenzi la sua azione di servizio alla collettività.

Io sono da sempre convinto che oggi chi svolge già da tempo e in modo capillare attività di assistenza ai cittadini all’estero debba essere messo nelle condizioni di allargare il campo delle competenze e degli stessi servizi.
Soprattutto nel quadro della riduzione dei consolati predisposta dai vari governi, penso a cosa potrebbero fare i patronati all’estero in termini di servizi ai cittadini.

Gran parte del lavoro che oggi blocca l'attività dei consolati e produce attese lunghe dei cittadini, deve essere affidata ai patronati, per lasciare ai consolati solo la parte finale e istituzionale, quella che lo Stato non può né deve delegare.

Mi auguro, quindi, che da qui possa riprendere in tempi brevi e in raccordo con tutto il vostro mondo la discussione sulle forme, i paletti, le garanzie e le sanzioni, per arrivare alla firma della convenzione tra patronati e MAECI.

I tempi sono maturi, non solo per convinzione e consapevolezza, ma per necessità del Paese.
E anche per dimostrare, nei fatti, che il Governo non ce l’ha con i Patronati, i sindacati e i cittadini bisognosi di servizi all’estero.

Grazie.
E buon lavoro a tutti.

venerdì 18 settembre 2015

Scassamaroni

Gessica Allegni
Pubblico qui qualcosa che una simpatica amica, Gessica Allegni, ha scritto di me sul suo profilo facebook.
Con Gessica #sischerza spesso. Però ora, "grazie", forse glielo devo dire sinceramente.

Grazie Gessica!

Chi segue il mio profilo avrà notato come da qualche giorno (molti giorni in realtà! Troppi! A nin pòs piò!) a questa parte, ci sia uno strano personaggio che mi tormenta e mi minaccia di pubblicare materiale che mi inchioderebbe in modo irreparabile.
Questo personaggio si chiama Eugenio Marino e, per farvela breve, lui vorrebbe che per evitare il fattaccio io scrivessi una sua biografia che ne esalta le doti e le qualità di grande politico, esperto di politica estera, di lustro pari, se non addirittura superiore, a quello di un noto politico con apostrofo e baffetti.
 Naturalmente lo fa in modo ironico (per quanto non sembri non pecca di cotanta immodestia) ma vuole mettermi in difficoltà e divertirsi con me, che spesso mi diverto con lui, prendendolo in giro e approfittando, per esempio, della sua assenza dal pc per pubblicare status a suo nome che ne distruggono l’immagine di noto esperto di canzone d’autore italiana.

 Beh Eugenio, mi scuserai se non lo faccio…non ne ho le doti e l’idea di andarmi a fare un copia incolla della tua biografia pompandola di note di colore non mi attira e per quanto sia una stupidata mi fa piombare nella nota sindrome del foglio bianco.

 Però qualcosa da dire su di te in fondo ce l’ho e preferisco farlo a mio modo, spero apprezzerai.
Ho conosciuto Eugenio alle riunioni di sinistradem, io "ragazza di provincia" intimorita da quei tavoli pieni di politici e onorevoli navigati mi sentivo parecchio in soggezione, conoscevo poche persone e mi chiedevo chi fosse quell’uomo alto e magro che interveniva sempre con lunghi e corposi discorsi, sul tema degli italiani all’estero. Beh per me di lì a poco è diventato semplicemente noto come “il marito di Marcella Marcelli” (che, per inciso, è una delle persone che stimo e a cui voglio più bene in assoluto in questo arido e assurdo mondo che a volte sa essere la politica).
Ma la conoscenza da lì in poi si è fatta più approfondita.

 Ho scoperto che Eugenio ha veramente una cultura invidiabile, un’ironia fuori dal comune, e soprattutto un bagaglio unico di studi e conoscenze non solo politiche ma anche sulla musica italiana, i suoi principali autori, tutti quelli che ho sempre amato di più.
Ne ho letto e apprezzato il libro “andarsene sognando” che è stato presentato anche a forlì in una bellissima serata di parole e musica, in cui storie di vita e di immigrazione si sono mischiate alla musica e a ricordi e racconti di un tempo che fu, che assomiglia sempre di più a quello che oggi viviamo, di donne, uomini, giovani, che abbandonano il proprio paese in cerca di un futuro, una scommessa su se stessi, una vita e un lavoro migliori.

 Non voglio fare la recensione del libro ma credo che rispecchi al massimo la personalità di Eugenio e la sua sensibilità (mamma mia, quanto mi costerà quello che sto dicendo!), e perché sono felice di averlo letto (si è capito che ve lo sto consigliando?) tra le altre cose perché ho scoperto che la “svizzera verde” di Pablo -De Gregori- non era un hamburger geneticamente modificato. Ebbene sì..non avevo capito fino in fondo una delle canzoni che amo di più in assoluto.
Ma poi oltre a tutto questo, diciamolo, io sono felice di avere Eugenio come amico.

 È uno scassamaroni come si dice in Romagna ma è uno che sa darti davvero buoni consigli (certo che tu non li seguirai mai ma che un giorno sarai costretta a dargli ragione e in fondo credo sia questo che lui cerca veramente), che sa ridere di sé e farti ridere di te stessa, sdrammatizzare quando serve, farti incazzare anche a volte quando si impunta su ciò che a te sembra un’esagerazione. In certi casi (tipo oggi, Eugenio!) diventa davvero insopportabile ma ha la capacità di farti incazzare e scazzare in 2 secondi.

 Perché in fondo, io credo che Marino mi voglia bene.
Anche se ho raccontato in giro della sua passione per Gigi D’Alessio (la nega ma ha persino approfonditamente studiato il testo di "non dirgli mai", ho le prove) e anche se penso che in fondo di donne non ne capisca molto.
Infatti trovo davvero incredibile che abbia potuto costruire una famiglia così meravigliosa con una donna così meravigliosa. Forse in realtà qualcosa ne capisce, o sa farsi capire lui.
Io comunque, che vi devo dire, gli voglio bene.

 Mi ritengo fortunata ad averlo conosciuto e se l'anno prossimo non mi ospita in Calabria organizzerò un concerto di Giggi in suo onore.
Fine.

L'originale si trova sulla pagina facebook di Gessica, qui: https://www.facebook.com/gessica82/posts/10153267200268246

martedì 21 luglio 2015

Cos'altro vi serve da queste vite?

La persona in foto somiglia a quella di cui parla.
Un giorno come tanti altri, un autobus come tanti altri, con nemmeno tutti i posti a sedere occupati. Sul posto davanti un signore molto anziano, barba e capelli completamente bianchi, volto e fronte molto segnati dalle rughe, espressione triste, malinconica.In mano il bastone (fa fatica a reggersi) e un paio di buste: è un "barbone", con tanto di cattivo odore almeno per chi gli sta vicino.

A lamentarsi è per primo l'autista, che si ferma per due volte chiedendogli di spostarsi.
Insieme a lui, a ruota, alcune signore ben vestite, che si parlano addosso aspettando l'approvazione di quelli che stanno intorno e che lamentano "lo schifo" di dover sentire la puzza.
"Deve farlo scendere", dicono non si sa bene a chi, "negli altri paesi questi non li fanno salire". L'internazionale signora mi sta vicino e le chiedo d'impulso, ma gentilmente e sinceramente incuriosito: "in quali paesi, signora?".

Non si aspettava la domanda, entra nel panico, balbetta qualcosa e ripete che "all'estero non li fanno salire i barboni". Domando ancora, sempre gentilmente: "nemmeno se hanno il biglietto? In quali paesi?". Dopo aver premesso che, chiaramente, non è razzista (cosa di cui nessuno la accusava), mi risponde: "in Francia. In Francia non li fanno salire".

Prendo quindi atto che in Francia, secondo l'internazionale signora, se un barbone ha il biglietto dell'autobus, non può salire se supera il livello massimo di cattivo odore (ci saranno anche i rilevatori a segnare quando si supera questo livello o fa da rilevatore il naso dell'autista?).

A quel punto, avrei voluto dire a lei e agli altri che si lamentavano che io sono ateo, non credo in Dio e, tranne il battesimo al quale non ho potuto oppormi, non ho fatto alcun sacramento e non sono nemmeno sposato in chiesa. Avrei voluto spiegare che non vado a messa ma che, da bambino, da mia madre cattolica e da Maria Chiodo che mi portava in chiesa, ho imparato i bellissimi precetti cristiani, i valori della solidarietà e della fratellanza, il dovere e il piacere di aiutare il prossimo, soprattutto se più debole, povero, sofferente, sconfitto, umiliato, offeso, colpito.

E avrei voluto chiedere alla signora se lei fosse cristiana, se avesse fatto con convinzione i sacramenti (battesimo, comunione, confermazione, matrimonio in chiesa ecc.), se qualche volta va in chiesa, se ascolta Francesco (non il dj, il Papa) e che cosa le fosse rimasto (a parte la teatralità degli eventi) di questa sua cristianità.
Insomma, avrei voluto chiedere a lei e agli altri che non potevano sopportare 10 minuti di cattivo odore di un povero Cristo (non è un caso se si dice così): "cos'altro vi serve da queste vite?".

A quell'uomo la vita ha probabilmente tolto ogni bene, ogni possibilità, ogni speranza, ogni dignità. Possibile che non riusciamo almeno a offrirgli, cristianamente se siamo cristiani, 10 minuti del nostro olfatto offeso?

Ecco, in questo io credo che anche un ateo di Sinistra come me possa ritrovarsi nei valori del cristianesimo. Cosa sono, infatti, la Sinistra, il cristianesimo, se non il dovere e il piacere di sacrificare un po' del proprio per aiutare il prossimo? Nel cristianesimo ce lo chiede Cristo, nella Sinistra l'etica.

Chissà se Cristo, oggi, in un autobus di Roma, sentendo "la puzza" di un "povero Cristo", gli chiederebbe di scendere o spostarsi spiegando che "all'estero quelli così non li fanno salire".
Ma certo, lui è Cristo, noi siamo solo cristiani. E peccatori. Quindi basta anche con questa Sinistra buonista, perché chi si lamenta non è razzista!

lunedì 6 luglio 2015

Nella Costituzione le ragioni di una Sinistra non subalterna a Destra e populismo

Premesso che penso che con la Grecia sia stato commesso un errore gravissimo già molto tempo fa, mi pare che questa vicenda sia il classico esempio di un caso in cui due torti non fanno una ragione.

Sono state un errore la rigidità e l’inflessibilità economica che hanno spinto la Grecia nell’angolo in cui si trova oggi; è stato un errore la mancanza di coraggio dei socialisti europei del PSE, troppo concentrati anch’essi sulle questioni nazionali; è stato un errore quello di Tsipras e i suoi di indire un referendum (anche se poi il risultato potrebbe – e me lo auguro davvero – scuotere positivamente l’Europa).

E sbaglia chi oggi parla di “sovranità nazionale”, di “ripristino della democrazia” e di “sovranità del popolo”. Povero popolo, quanto sei strattonato!

È vero, gli stati sono sovrani, come è sovrano il popolo che si esprime democraticamente. Ma attenzione, proprio la sovranità dei singoli stati europei e le decisioni a livello europeo tra singoli stati e in assenza di un governo federale hanno portato alla situazione attuale, nella quale i più forti hanno la meglio.

Alla sovranità degli stati e alle decisioni dei singoli governi nazionali sulla situazione greca ed europea, non credo si dovesse rispondere con la sovranità del popolo greco attraverso un referendum. Perché?

Perché si tratta di materia sovranazionale ed europea, dove vi sono altre sovranità nazionali e altri popoli sovrani. Cosa succederebbe, infatti, se Merkel e Hollande indicessero nei loro paesi lo stesso referendum greco, chiedendo ai loro concittadini se si deve accettare quel compromesso che i greci hanno bocciato e i loro popoli rispondessero con un “si”?

Altri due popoli sovrani, di due stati sovrani dell’Europa, avrebbero detto il contrario (e con egoismo…) di quanto ha detto il popolo greco. Non sarebbe anche quella sovranità popolare e democrazia? Dunque…? In assenza di un unico Governo europeo bisognerebbe andare a una mediazione tra governi europei: esattamente ciò che è stato fatto (bene o male) fino alla vigilia del referendum.
 
E poi, oggi – soprattutto come Sinistra – siamo felici perché è il popolo che si è espresso contro “questa Europa”: “il popolo è sovrano”, “la Grecia ha ripristinato la democrazia” ecc..
Bene, ma teniamo anche conto che altri popoli (quello francese, quello olandese), attraverso i referendum nazionali, qualche anno fa hanno bocciato il Trattato per una Costituzione europea, regalandoci “questa Europa” di stati nazionali in contrapposizione e dove la parte del leone la fanno i più forti.

Dunque, non è con risposte nazionali, con referendum nazionali, che si risolvono i problemi sovranazionali ed europei: non lo è stato qualche anno fa con la Costituzione europea e non lo è oggi col referendum greco. Ma proprio con la cessione della sovranità nazionale e, fino a quando non c’è quella, con la politica e la mediazione al rialzo tra i governi.

Non è un caso, infatti, se la nostra Costituzione, “la più bella del mondo” diciamo sempre e giustamente a Sinistra, nell’art. 75 non ammette il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

I padri costituenti tifavano per la Politica, con la P maiuscola.

Mi preoccupavo quando Francia e Olanda indicevano referendum “emotivi” sulla Costituzione europea (e soprattutto mi preoccupavo quando la Sinistra di Francia e Olanda tifava per il “no” a quella Costituzione) e mi preoccupo oggi. Mi auguro, comunque, che il voto di Atene venga colto per quello che è: non un ‘no’ all’Europa o all’Euro, ma un’occasione per costruire finalmente un’altra Europa, un’Europa politica con un unico governo federale.

Ancora una volta, quindi, preferisco guardare alla nostra Costituzione anche per ritrovare le ragioni di una Sinistra (di un PD di Sinistra) che, nel duello Merkel-Tsipras, non faccia il tifo per la forza di uno Stato nazionale (la Germania) che si impone sugli altri o per la debolezza di un altro Stato nazionale (la Grecia) che come reazione alla forza usa il populismo.

Vorrei una Sinistra non subalterna culturalmente né a Merkel né a Grillo. Da questi due errori, non arrivano soluzioni giuste per la Grecia e si sfascia l’Europa, soprattutto quella che dobbiamo ancora costruire.

La Sinistra, deve essere quella che sa assumersi la responsabilità (e ha la forza per farlo) di una scelta politica che non sia dettata solo da esigenze di bilancio o da interessi nazionali e di parte. Deve essere quella che si fa promotrice di un nuovo ideale europeo.
Così come è stato fatto per l’euro, serve almeno un gruppo di Paesi promotori che sottoscriva accordi di governi sovranazionali prima degli altri, senza rifare l’errore che fecero le sinistre che governarono l’Europa negli anni ’90, da Blayr a Scrhoeder. Ma dov’è, in Europa, questa Sinistra? È in Italia, in Francia, nel PSE? Dove?

venerdì 26 giugno 2015

"Andarsene sognando" per il mondo. Dai numeri all'affetto

Se dico che dò i numeri non significa necessariamente che io sia matto. Allora provo a darli, per me stesso, per chi ha letto o vuole leggere "Andarsene sognando", per chi viaggia, per chi sta fermo, per chi immagina di viaggiare.

Ma soprattutto per dire grazie a ciò che si nasconde dietro i numeri: molte persone in carne e ossa che fanno qualcosa per il solo gusto di farla, per sentirsi parte di un qualcosa di più grande, perché sono una comunità.
Una comunità che vuole stare insieme, parlare, discutere di se stessa e riconoscersi come tale.

Una comunità che non vuole dimenticare e vuole proiettarsi anche nel futuro.

Allora vediamoli questi numeri.



10: sono i giorni di viaggio, dal 4 al 13 giugno 2015 nei quali sono stato in Canada e Stati Uniti per presentare "Andarsene sognando";

9: sono le città visitate. Filadelfia, New York, Boston, Montreal, Ottawa, Toronto, Vancouver, Los Angeles, Charlotte;

9: sono i fusi orari attraversati;

8: sono le presentazioni fatte, una in ciascuna delle città menzionate, tranne Charlotte;

5: sono le persone che mediamente in ogni città hanno fatto da motori dell'organizzazione delle iniziative, ma se si considerano anche quelle che comunque hanno collaborato sono di più. Quindi almeno 40 in tutte e 8 le città;

4: sono le persone che mediamente sono intervenute come relatori. Quindi almeno 32 in tutte e 8 le città, più tutti quelli che hanno fatto domande e interventi dalla platea;

5: sono le categorie di mezzi di trasporto usate per gli spostamenti: aereo, treno, autobus, metropolitana, macchina. Solo la nave è stata evitata, ma c'è mancato poco perché prendessi anche quella...

25.600: sono i km percorsi in 10 giorni.

Questi numeri, dunque, sono il risultato del lavoro volontario e meraviglioso che hanno fatto tante persone, alle quali, insieme a tutte quelle che hanno organizzato altre iniziative in Italia e in Europa, devo dire grazie. Insieme a quelle che ancora stanno organizzando altre presentazioni sempre in Italia, in Europa e il altre parti del mondo.

Non posso nominarle tutte, non tanto perché l'elenco sarebbe lungo, ma perché certamente dimenticherei, colpevolmente, qualcuna nel riportarle qui. Succede sempre, lo so, soprattutto a me. Quindi evito. Però, davvero, voglio ringraziarle tutte. Voglio ringraziarvi tutti.

Anche quelle che si nascondono dietro questi altri numeri:

28: sono le altre presentazioni fatte in Italia, Europa e Tunisia prima del viaggio in USA e Canada e che sono programmate fino al 12 luglio, cioè le prossime due tappe di Parigi e Bruxelles;

140: sono le persone che hanno fatto da motori dell'organizzazione delle iniziative, calcolando una media di 5 organizzatori per ogni presentazione, ma se si considerano anche quelle che comunque hanno collaborato sono molte di più;

112: sono le persone che, più o meno, sono intervenute come relatori in queste presentazioni, calcolando una media di 4 relatori per ogni presentazione. A cui vanno aggiunti tutti quelli che hanno fatto domande e interventi dalla platea.

E poi sono ancora diverse le richieste che stanno arrivando. Come diverse sono alcune date già programmate per dopo l'estate: Vienna, Tel Aviv, Gerusalemme, Stoccarda, Berlino, Lussemburgo e altre ancora. Anche in Italia, e in posti che non avrei mai immaginato.

Dunque, grazie. Grazie a tutte. Grazie a tutti.
Grazie perché questi numeri, per me, sono anche, come mi diceva poco fa un caro amico, Fabio Fazzi, il risultato di un affetto diffuso.

lunedì 25 maggio 2015

"E una risata spezzata, e mille ricordi, e nemmeno un rimpianto"

Ho sempre saputo cosa pensasse perché era sincero. E gli piaceva conoscere il mio giudizio, farsi “spiegare” da me alcune cose. Non perché non le capisse, ma perché aveva vera stima e per vederle da una posizione molto diversa dalla sua. Nei suoi confronti non ha senso dire che se n’è andato troppo presto: per uno come lui anche andarsene a cent’anni sarebbe stato prematuro. Morto lui, muore quella rara e delicata cortesia della piccola comunità, muore una musica mai studiata..., ma da sempre conosciuta, mai imparata ma da sempre vissuta e condivisa.

Ciò che Lee Masters ispirò a De Andrè quanto cantava del suonatore Jones, lui lo trasmetteva a me, senza che mai glielo avessi detto. La mia gioia stava in quel vortice calmo di umanità, di cordialità, di sincerità e intelligenza. Stare con lui era come parlare con la storia quotidiana di un paesino, come ascoltare la musica del tuo popolo.

Piaceva a tutti. Ma non era per tutti, non era per tutte le stagioni. Con lui ho capito cos’era l’arte, la genialità, la passione in un paese, senza che mi spiegasse la musica, senza che parlasse di Leonardo, senza che piangesse per qualcuno.
Le note erano dentro di lui come i numeri dentro Majorana, il mare dentro Colombo, il volo dentro Baracca.

Mah, che dono l’arte, la delicatezza e l’umanità dentro la medesima, umile persona, anche nel viso, come Berlinguer, che gli piaceva tanto.
Ora le sue mani non corrono più su una teoria di bianconeri che trascinava gli amici. Stanno ferme nell’angusto, silenzioso e definitivo spazio buio che lo circonda. Se fosse vero, come dice quell’artista, che siamo poco o che non siamo niente, beh, lui quel poco lo ha fatto diventare tanto, lasciando in una piccola comunità un ricordo più grande della comunità stessa.

Adesso molti dicono che non lo scorderanno. Io invece lo scorderò subito. Perché mi sarebbe troppo difficile ricordare. O almeno vorrei scordarlo subito. Ma forse non ci riuscirò. Anzi, penso che ogni giorno d’estate che passerò seduto nel giardino di casa, ci sarà un motivo per ricordarmi di lui.

Ha fatto più miracoli la sua semplicità, che l’agostana santità del suo patrono.