martedì 9 settembre 2008

Minacce di morte

Proprio ieri avevo scritto degli esponenti di AN Alemanno e La Russa in chiave di revisionismo e riabilitazione del Fascismo, accennando a come quel regime avesso privato i cittadini delle libertà di pensiero, di opinione politica e di stampa e, dunque, di come quel regime (e i suoi effetti concreti) andasse condannato senza esitazione alcuna.
Oggi, invece, in tempi di democrazia, ho inviato la mia piena e sincera solidarietà a due avversari politici, proprio esponenti di AN, minacciati a causa delle opinioni e attività che, democraticamente, svolgono. Si tratta del direttore de L'Italiano, Gian Luigi Ferretti, e del suo vice, Tullio Zembo, minacciati di morte domenica scorsa da Franco Arena dai microfoni di una radio argentina (“Cuidado a no bajarse del cordon porque podria pizarlo un coche” - Stia attento a non scendere dal marciapiede perché potrebbe investirlo un’auto).
Trovo la cosa intollerabile e invito tutti coloro che credono nella democrazia e nella libertà della Persona a condannare quanto accaduto.

La mia solidarietà al Direttore Ferretti e al suo Vice, Tuttlio Zembo.
Caro Direttore,
invio a Lei e al vice direttore Zembo la mia più sentita solidarietà per le minacce ricevute. Ritengo quanto accadutoLe un fatto inaccettabile non soltanto perché gravemente lesivo della Sua libertà personale, ma anche perché chi La minaccia offende e mortifica la libertà di opinione e di stampa così come sancite dalla nostra Carta costituzionale. Dunque colpisce l'essenza stessa della democrazia. Penso che in momenti come questi, chiunque, vieppiù chi fa politica o informazione, debba sentirsi indignato e colpito in prima persona e reagire con fermezza, senza se e senza ma. Poiché se è sempre legittimo il confronto di idee, principi e valori differenti in una battaglia politica anche aspra, non lo è mai la scelta della violenza e dell'insulto nei confronti dell'avversario.
Cordiali saluti.
Eugenio Marino

lunedì 8 settembre 2008

Dalla Festa di Firenze alla tragedia di Roma...

Ieri ero alla giornata conclusiva della Festa Democratica (devo pensarci un po' prima di dirlo o scriverlo, la mente va ancora a "Festa de l'Unità") dove si è tenuto il tradizionale dibattito sulle politiche che riguardano gli italiani nel mondo, insieme a Maurizio Chiocchetti, Franco Danieli, Gino Bucchino, Laura Garavini, Elio Carozza e Fabio Porta.
Quest'anno sono arrivati a Firenze nostri connazionali dal Lussemburgo, dal Belgio, dalla Francia, dagli USA e dalla Svizzera, dove in contemporanea si teneva la commemorazione delle vittime della tragedia del Lotschberg, del 1908.
Abbiamo dunque ricordato quelle vittime del lavoro italiano all'estero, insieme a quelle di Mattmark - il cui anniversario ricorreva il 30 agosto - di Marcinelle e di Monongah osservando, in contemporanea con la cerimonia in Svizzera, un minuto di silenzio per tutti i morti sul lavoro.

Da parte mia, ho sottolineato come il tema della sicurezza sul lavoro debba essere uno di quelli che determina l'identità del Partito Democratico. Proprio su questo il PD dovrebbe insistere quotidianamente (così come quasi quotidianamente abbiamo un morto sul lavoro) e costruire l'iniziativa politica (o le iniziative) anche sul territorio. Gli altri partiti, infatti, anche se non dovrebbero, possono permettersi di rimuovere questo tema dalla propria agenda politica, ma il PD no. Non può permettersi di sottovalutarlo o di non considerarlo tra le priorità del Paese, pena un altro colpo al deficit di identità e alla battaglia per i diritti della Persona. Insomma: un'altra tragedia politica, come quelle di Marcinelle, Mattmark e Monongah e del Lotschberg.
A proposito di tragedie, all'estero come in Italia, vogliamo parlare di quelle romane di La Russa e Alemanno?
Il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, intervenuto alla cerimonia di commemorazione del 65° anniversario della Difesa di Roma e dell'Armistizio, ci ha ricordato che tra combattenti di Salò e partigiani e angloamericani non vi è differenza.
"Farei un torto alla mia coscienza - ha detto La Russa - se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell'esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d'Italia".

Una sola domanda:
1) se nel 1945, invece dei partigiani e degli anglo-americani, avessero vinto i repubblichini di Salò e i nazisti, cosa sarebbe successo, tanto per dire, in Italia?
Penso che non avremmo avuto un'Assemblea costituente né una Costituzione repubblicana, così come non avremmo avuto un Parlamento democraticamente eletto e cinquant'anni di pace.
Ma non avremmo avuto nemmeno libertà di stampa né avremmo più visto circoloare alcun avversario politico.
Avremmo, invece, continuato a veder partire treni piombati e carichi di oppositori politici ed ebrei verso i campi di concentramento, dato che il Fascismo aveva introdotto da tempo anche le leggi razziali.
Sarà anche per questo che quel comunista di Gianfranco Fini aveva definto il Fascismo come "il male assoluto". Naturalmente prima che il mio sindaco, Gianni Alemanno, rettificasse la cosa, spiegandogli e spiegandoci che il Fascismo "non fu il male assoluto e non mi sento di condannarlo".

Già, perché condannarlo? A pensarci bene nel Ventennio "si poteva lasciare la chiave di casa attaccata alla porta" e "i treni arrivavano in orario", soprattutto quelli per Auschwitz...
Penso che il vizio di fondo della Destra italiana, di non voler mai condannare davvero il Fascismo, non sia affatto sparito, così come penso che le dichiarazioni di La Russa e Alemanno siano il frutto di una visione condivisa e di uno stesso progetto: la revisione storica e la riabilitazione del Fascismo a discapito della Resistenza.
Bene farà Veltroni se, in rottura con le affermazioni dell'attuale sindaco, si dimetterà dal dal Comitato per il museo della Shoah, di cui era stato promotore.