lunedì 21 luglio 2008

Uno studente che studia, che si deve prendere una laura

Devo dire che era diverso tempo che, aprendo i giornali della mattina, non mi capitava di sentirmi allo stesso tempo sconfortato e, mi si passi il termine, divertito. È l’ennesimo insulto di Bossi all’inno nazionale a ispirare il primo sentimento, mentre il sorriso (amaro) lo ha suscitato l’esternazione sui professori terroni che rubano le cattedre agli insegnanti padani e poi bocciano i candidati perché rei di ispirarsi ai grandi del pensiero politico pre unitario.
Il Senatùr dice testualmente:
"Dopo il federalismo bisogna passare anche alla riforma della scuola. Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente che non viene dal Nord. Il problema della scuola è molto sentito perché tocca tutta la famiglia”;
E ancora:
“E’ anche un problema occupazionale, che denuncia lo stato attuale dell'istruzione che permette ad insegnanti del meridione di togliere lavoro agli insegnanti del Nord e consente loro di giudicare negli esami di maturità quei ragazzi che si azzardano ad avere idee del Nord e di presentare tesine su Cattaneo”.

Intanto voglio dire che mi sento parte lesa in quanto insegnante terrone e precario, seppure per una breve stagione della mia vita. Poi vorrei suggerire all’Umberto nazionale di andarsi a rivedere i concorsi a cattedra di ogni ordine e grado degli ultimi venti anni. Vedrà senza difficoltà che i cittadini del Nord non manifestano il minimo interesse per il mestiere dell’insegnante.
Non si iscrivono nelle graduatorie delle domande a supplenza;
non tentano i concorsi;
non scelgono le scuole di specializzazione all’insegnamento.
Le ragioni sono tante e mi scuso se le banalizzo. Lo stipendio è da fame, l’autorevolezza inesistente, riconoscimento e prestigio sociale ridotti a zero, possibilità di carriera nulle… e va a finire che i parenti ti pure sfottono. Avevo un amico di Padova, “plurimasterizzato”, che a ogni festa comandata si doveva sorbire la reprimenda compassionevole dei parenti per aver scelto una strada (l’insegnante di filosofia) che lo metteva nell’impossibilità di fronteggiare dignitosamente il cugino piastrellista, con la terza media, nell’eterno, atavico confronto delle cilindrate.
Per contro, ho un numero imprecisato di conterranei, compaesani, parenti sparsi per il Nord e Centro Italia a fare supplenze o insegnanti di ruolo. Diversi di loro il concorso non lo hanno neppure dovuto vincere. Perché i candidati erano in numero inferiore alle cattedre messe a bando.

Paola Goisis, rappresentante della Lega nella commissione Cultura della Camera, sta studiando la riforma dell'istruzione. Per la Goisis “i ragazzi sanno tutti i nomi dei sette Re di Roma, ma non sanno nemmeno cos'è un doge, che dettava legge in tutto il mondo orientale”…“sono disorientati, non sanno più cosa significa il rispetto delle istituzioni”. C’è da crederci, se dalla bocca di un Ministro della Repubblica esce un tale florilegio.

Si informi meglio il Ministro Bossi (e già che c’è passi pure le carte alla Goisis) e scoprirà un vasto mondo, non solo al Nord, dove cultura, educazione e formazione non sono ‘priorità’. Dove il precoce abbandono scolastico dei giovani e la mancanza di appeal della professione di insegnante sono solo alcuni dei sintomi di un malessere profondo. Di un’etica del “fare” che si è da tempo arresa a un malinteso mito del successo fondato sull’“avere” a ogni costo, sull’accumulo forsennato e senza regole che diventa l’unico metro per valutare l’affermazione individuale.

Ma qui il discorso si fa lungo e rischia di spegnere il mio sorriso. Invece voglio tenerlo bello brillante e mi soccorre nell’intento la vicenda di un giovanotto padano, tale Renzo Bossi, che per il secondo anno consecutivo ha affrontato la temibile (lo è stata per tutti) prova di maturità. Ci immaginiamo quanto debba averlo mortificato la prima bocciatura a Varese, un anno fa. Immaginiamo che dopo un primo momento di sconforto, il giovane epigono di Alberto da Giussano si sia rimboccato le maniche e abbia chiesto come prima cosa a “papi” di cambiargli scuola. “Papi” lo iscrive a Tradate, in un Istituto religioso parificato (hai visto mai lo aiutasse l’esercizio spirituale). Immaginiamo un anno di dedizione assoluta alle sudate carte culminata nella redazione di una prestigiosa tesina dal titolo “La valorizzazione romantica dell’appartenenza e delle identità”.
A nulla però valgono gli sforzi. La perfida Commissione d’esame, strumento del più vasto e pernicioso complotto demo-pluto-giudaico che vampirizza il Nord, incredibilmente, lo boccia ancora. E non provate nemmeno ad adombrare il sospetto che ci sia un qualche nesso tra la vicenda del povero Renzo e le parole severe del Ministro Bossi. Al quale va, tutta intera, la mia solidarietà di padre non sempre fiero delle performance del proprio figlio e un consiglio: ma ricominciare dai sette re di Roma, no?

P.S. Dubbio atroce: se passasse la riforma di Bossi-Goisis che vuole insegnanti padani per i giovani padani, potrebbe ancora insegnare e dirigere la “Scuola bosina” di Varese (Istituto parificato con asilo, scuola elementare e media nelle quali si insegnano “le nostre tradizioni locali e la nostra lingua locale”) la signora Manuela Marrone, siciliana e moglie di Umberto Bossi?