giovedì 8 agosto 2013

Gli italiani all'estero e la lezione di Marcinelle

Ieri l'Unità ha pubblicato questo mio articolo. Buona lettura.
 
Il disastro di Marcinelle, di cui ricorre oggi il 57° anniversario (262 minatori morti, 136 italiani), dovrebbe essere l’occasione per ragionare, senza retorica, sugli italiani all’estero di oggi e sulla politica dell’Italia verso i suoi cittadini nel mondo. Vorrei partire da una doppia ferita che oggi come ieri incide la carne dei nostri migranti: da un lato lo sfruttamento e l’esclusione subiti nei paesi ospiti, dall’altro l’abbandono da parte della Madrepatria. Ferite mai sanate che segnano le vite di tutti i migranti, come dimostra oggi la condizione degli immigrati in Italia. Certo l’emigrazione cambia nei numeri e nella qualità. Ai vecchi emigrati, operai o pensionati delle miniere e dei cantieri, si sono aggiunti i nuovi: ricercatori, ristoratori, tecnici specializzati e persino imprenditori. Questo mondo – circa 4 milioni mezzo di cittadini e 60 milioni di discendenti – aspetta risposte dallo Stato italiano e dalla politica che troppo spesso rivela una totale assenza di strategia quando non un vero e proprio disinteresse nei confronti di questa realtà. La scelta dei tagli lineari, adottata negli ultimi anni, ha fatto in questo come in altri settori danni gravissimi. Un esempio per tutti: le risorse destinate alla diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo sono state incomprensibilmente falcidiate quando questo è un settore strategico quanti altri mai per l’internazionalizzazione dell’Italia e la diffusione dei suoi prodotti sul mercato globale.

In tempi di crisi, poi, come è successo anche in passato, le comunità di emigrati sono un’opportunità economica che l’Italia oggi non sta cogliendo. La lezione di Marcinelle ci parla ancora oggi. Quella immane tragedia diede all’Europa, che muoveva allora i primi passi, una spinta importante verso l’affermazione dei diritti dei lavoratori a partire dalla sicurezza e che portò alla costruzione di uno Stato sociale inclusivo e avanzato. Così oggi, la memoria di quella vicenda dovrebbe promuovere un dibattito serio e consapevole su una nuova idea di cittadinanza europea.

A Marcinelle a rappresentare l’Italia c’è la Presidente della Camera, Laura Boldrini. È un segnale importante, che – ne siamo certi – saprà andare al di là della sola dimensione celebrativa, legando quella partecipazione a un’agenda di impegni parlamentari che assicurino una riflessione e un rilancio della politica verso gli italiani all’estero e gli immigrati in Italia.

Abbiamo bisogno di incardinare politiche e strategie a livello nazionale ed europeo, capaci di assicurare diritti e dignità ai nuovi immigrati in Italia e a tutti i lavoratori italiani all’estero. Ma anche valorizzare, finalmente nei fatti e non solo nelle enunciazioni di principio, il ruolo delle nostre comunità e delle nostre rappresentanze nel rapporto con l’Italia, a cominciare dai Comites, che vivono da anni una condizione intollerabile di sospensione democratica: nel 2009 è scaduta la legislatura senza che si siano indette nuove elezioni. Confidiamo che la Presidente Boldrini vorrà seguire in Parlamento la discussione sulla riorganizzazione della rete consolare, che dovrebbe segnare un’inversione radicale del senso di marcia seguito negli ultimi anni. L’obiettivo dovrebbe essere la semplificazione della rappresentanza diplomatica (soprattutto nell’Europa unita) a favore di un mantenimento e una riforma dei servizi ai cittadini e alle medie e piccole imprese.

Se si discuterà seriamente di italiani all’estero e di lavoro, il sacrificio dell’8 agosto e la cerimonia di Marcinelle saranno serviti a qualcosa, altrimenti si rimarrà nella routine della celebrazione e, paradossalmente, non si renderà omaggio a quei caduti.

mercoledì 31 luglio 2013

Così parlò Bruno

Friedrich Nietzsche, in Così parlò Zarathustra, dice che “molti muoiono troppo tardi, e alcuni troppo presto”. Ieri è morto in Francia Bruno De Santis e, sicuramente, per Zarathustra sarebbe tra quelli che sono morti troppo presto.
Ho conosciuto Bruno tredici anni fa, ci vedevamo e sentivamo poco, ma ogni volta che succedeva era per scambiarci opinioni sul Partito, sui Comites e sulla vita concreta degli italiani all'estero, soprattutto i più fragili e i giovani. O meglio, era Bruno che mi dava il suo punto di vista sincero, i suoi consigli su cosa fare.


Ed io ascoltavo, perché sapevo che era il punto di vista di una persona seria, appassionata, da sempre vicina ai più deboli, perché ci credeva e non perché a caccia di cariche o ruoli.
L’ultima volta che ci siamo sentiti è stato via mail, a ridosso del 25 febbraio scorso. Bruno inviò una lettera a Bersani molto critica su una scelta fatta dal Partito all'estero.
Ma una lettera che, come ci ha tenuto a sottolineare, era e doveva rimanere privata, perché non voleva creare problemi alla nostra campagna elettorale: preoccupazione persino eccessiva. Ma Bruno era questa persona qua.


Uno che diceva chiaramente come la pensava, senza paura di scontrarsi anche con gli amici, ma che teneva al Partito, alla comunità italiana all'estero, al Paese.
E mentre scriveva, dispensava consigli, parlava al telefono, combatteva con la malattia che ieri ce lo ha portato via.
Ha continuato a spiegarmi l’importanza dei Comites, del suo Comites, sottolineando quanti danni producano i continui rinvii del voto su organismi costituiti su base volontaria. Non si è arreso, impegnandosi fino a quando le forze glielo hanno consentito e continuando a parlare della necessità di rinnovare i Comites e coinvolgere i giovani. Sempre Zarathustra dice che “in alcuni è il cuore che invecchia per primo, in altri la mente. E certi sono vecchi da giovani: ma una tarda giovinezza è lunga giovinezza”.


Bruno non è tra quanti siano invecchiati prima con la mente, ma nemmeno col cuore e, anzi, ha mantenuto la freschezza dei suoi ideali fino all’ultimo, dandoci fino all’ultimo esperienza e speranza.
Per questo penso che nel suo morire, almeno in me, sopravvive il suo spirito e la virtù del suo impegno disinteressato. Tocca a noi ora saper raccogliere il testimone di quell’amore verso il Partito, i Comites, le comunità italiane all’estero e l’Italia.
Mi piace pensare che se avessi potuto chiederglielo, Bruno avrebbe condiviso le parole di Nietzsche/Zarathustra sulla morte e sulla voglia di trattenersi ancora un po’ sulla terra: “così voglio morire anche io, affinché voi, amici, amiate la terra ancor più, per amor mio; e voglio tornare a essere terra, per aver pace in colei che mi ha generato. Davvero, una meta aveva Zarathustra, egli ha gettato la sua palla: ora siete voi, amici, a voi getto la palla d'oro. Ciò che più volentieri contemplo, è vedervi gettare la palla d’oro, amici miei! Per questo mi trattengo ancora un po' sulla terra: perdonatemelo! Così parlò Zarathustra”.

mercoledì 15 maggio 2013

Ritrovare identità e senso dello stare insieme

Per chi avesse la voglia e la pazienza di leggerla, questa è la relazione introduttiva che ho tenuto all'Assemblea della Circoscrizione estero del 10 maggio scorso.
 
Carissimi,
grazie a tutti per essere qui nonostante i tempi stretti della convocazione di questa Assemblea.
La preparazione di questa assise nazionale, infatti, arriva in un momento difficile, di grande difficoltà e disorientamento del Partito. E arriva con un carattere di urgenza allarmante.

Quindi ringrazio per lo sforzo organizzativo di cui si è fatto carico, come sempre, il mio Ufficio.
Ringrazio anche Beatrice, Paolo e Monica, che hanno lavorato all’odg e che presiederanno i lavori.

Ci troviamo probabilmente nel momento più difficile della vita del nostro Partito, decisivo per il suo futuro. E questa volta lo dico in termini non solo di tenuta elettorale, ma di sopravvivenza politica.

Un momento storico drammatico, nel quale dalla crisi economica mondiale, istituzionale italiana, identitaria e organizzativa del PD e della Sinistra, possiamo uscire solo dicendoci chiaramente cosa deve essere il PD, a quale base di riferimento vuole guardare, per costruire quale tipo di società, con quale collocazione internazionale e con che struttura organizzativa, con quale idea di partito.

Per questo motivo, domani l’Assemblea nazionale dovrà eleggere il Segretario che traghetterà il Partito fino al prossimo congresso.
Congresso che dovrà svolgersi in tempi brevi: entro ottobre probabilmente.
Si dovranno poi riconvocare la Direzione nazionale e una prossima Assemblea per capire se e come si dovrà modificare lo Statuto.

Questi passaggi chiaramente riguarderanno anche noi e avranno sulla Circoscrizione estero una immediata ricaduta politica e organizzativa.
Anche noi dovremo tenere i congressi in tutti i nostri circoli, dire con chiarezza che tipo di partito vogliamo e a che tipo di società vogliamo guardare. In quale contesto internazionale vogliamo collocarci.

Una discussione di carattere nazionale che dovrà passare attraverso il rinnovo dei gruppi dirigenti nazionali e locali, dai circoli alle segreterie di Paese e attraverso il completamento dei passaggi formali a cui siamo chiamati.

Abbiamo assistito negli ultimi due mesi a collasso della vecchia classe dirigente del Partito. A cui si aggiunge, a mio parere, il palesamento di quella che Pasolini chiamava “mutazione antropologica” di una comunità: quella dei rappresentanti del nostro Partito insieme a quella del nostro elettorato e della società in generale.

In questa mutazione, mi pare ci sia la perdita di quel “sentimento di comunità” del quale spesso ho parlato anche in questa assemblea, nei circoli in giro per il mondo e nel seminario del 5 maggio 2011.
Quel sentimento secondo il quale si sacrifica il punto di vista personale per un’idea collettiva che diventa azione concreta.
Sentimento che allontana e distrugge ogni forma narcisistica in cambio della forza appagante di condividere qualcosa coi compagni di lotta.

Quel sentimento, quindi, che ci fa sentire tutti parte di grande una comunità ideale: prima della comunità italiana, poi della comunità di Sinistra e poi della comunità del PD.
Più volte ci siamo detti che c’era il rischio reale che chi era chiamato a rappresentarci, finisse per anteporre le proprie visioni e le proprie istanze a quelle della comunità più ampia.
Così come i nostri elettori, che pure pretendevano spesso di voler vedere anteposte le proprie istanze di parte rispetto a quelle del Partito e del Paese.

Mi pare che, senza voler giudicare chi ha fatto bene o male, chi avesse ragione o torto, questo sia successo in questi mesi (ma probabilmente anni) nel nostro popolo e nel nostro Partito.
E mi pare che l’esito sia stato il collasso a cui accennavo.

Ne vorrei discutere qui, su diversi piani, ma dopo aver fatto una premessa.
In democrazia non ci sono molti modi per tenere insieme una comunità, una associazione di persone libere o un partito.
E questi modi, questi modelli sono noti:
1)      vi è il modello dei partiti “padronali” (o se volete chiamateli dei leader forti), come il PDL, nel quale vi è solo Berlusconi che “comanda”. E tutto il resto è contorno e consenso al capo;
2)      vi sono i modelli movimentisti e populisti, tipo la Lega di Bossi, l’IDV di Di Pietro e oggi il Movimento 5 stelle di Grillo e per qualche verso il MAIE di Merlo;
3)      e vi sono i modelli popolari e di rappresentanza democratica, tipo il PD.

Nei primi due modelli vi è una persona sola al comando intorno alla quale si costruisce una comunità che segue e che ha scarso potere decisionale e addirittura di discussione o stimolo. Uno va e gli altri seguono, altrimenti “si è fuori”.

Nel terzo modello, il nostro, vi sono molte persone che discutono e decidono, dai circoli al vertice. Lo fanno attraverso luoghi virtuali, altri fisici, consolidati e formali, attraverso metodi democratici e organismi ampi o ristretti, sia in linea orizzontale che verticale.

Ma lo fanno a tutti i livelli attraverso il principio democratico della decisione a maggioranza, che è l’unico che può funzionare, nel nostro ambito culturale e politico, come l’alternativa possibile alla mancanza di sintesi comune e in alternativa al metodo del “seguire l’ordine del il capo”.
Dunque non si tratta solo di un “vincolo regolamentare”, ma di un “principio etico”.
Walter Tocci direbbe un “atto spirituale”.

Questo principio era fondativo del Partito Democratico come della coalizione “Italia. Bene comune”. E questo principio è saltato sia nel Partito che nella coalizione negli ultimi due mesi.
E insieme al principio sono saltati il Partito e la coalizione.

Dunque: attraverso una “mutazione antropologica” del popolo e della dirigenza della Sinistra (ma vale per tutta l’Italia) è venuto meno il senso di appartenenza a una comunità, l’etica politica di chi ha responsabilità di rappresentanza generale e “il” principio democratico per eccellenza.

Dunque è venuta meno la nostra capacità di stare insieme da uomini liberi.
Ecco perché dico che il momento è drammatico.

In questa situazione, la Sinistra e il PD, che pure è il primo partito in Italia con circa 400 parlamentari (una condizione di forza mai registrata nel nostro Paese), si trova paradossalmente nella situazione di massima debolezza culturale nell’influenzare vita, carattere nazionale, politica e assetti sociali.

Quando era minoritaria, accadeva il contrario, poiché aveva una tale capacità culturale che era in grado di influenzare le classi dominati e la cultura nazionale.
Oggi, invece, a causa delle nostre debolezze, quella capacità di influenza ce l’ha la destra berlusconiana, che fa emergere nel Paese, tutto il Paese (anche quello di Sinistra), l’Italia peggiore, favorendo e accentuando quella mutazione antropologica di cui parlavo.

Quindi, oggi serve che il PD torni a un’etica, una cultura e a una visione chiara del Partito e della società. Serve che dica forte e chiaro cosa vuole essere, che modello di società vuole disegnare, con chi vuol farlo a livello internazionale e con quale strumento partito.
Questo era anche l’obiettivo di cui si è discusso nel congresso del 2009.
Ma che non si è riuscito a fare negli anni successivi, sempre travolti da emergenze o scadenze elettorali immediate.

Cosa che ha finito per sancire un patto federativo tra le diverse anime culturali del partito, degenerato anche in patti correntizi.
E questo ha portato a una unità formale fatta di non belligeranza e a una scarsa capacità di attrazione nell’elettorato, che in parte si è rivolto a Grillo per sottolineare la richiesta di cambiamento.

E soprattutto di cambiamenti anche radicali, dei quali spesso il nostro PD ha avuto paura attestandosi su posizioni troppo sbiadite, tanto argomentate da sembrare fuorvianti, convinto che i nostri elettori fossero spaventati da scelte nette e divisive.

Io credo non sia vero. Quindi da qui occorre ripartire per ricostruire il senso di comunità e tornare in sintonia con nostro popolo.
È infatti vero che il popolo, come il nostro partito, è plurale. Ma l’unità del popolo e del partito la si ottiene quando la politica si dà una linea, anche di frattura, ma dalla quale poi parte per ricomporre le differenze sociali e culturali.  

Ma questi sono temi che dovremo trattare, questa volta fino in fondo e con il massimo della chiarezza, al congresso.

E dunque da qui dobbiamo prepararci ai temi e all’organizzazione formale dei congressi nei circoli all’estero.
I delegati, tutti voi delegati, dovete cominciare ad avviare questo lavoro nei vostri territori.
Mentre qui, oggi, penso dovremo discutere sulla necessità di individuare alcune questioni prioritarie da portare nell’agenda politica parlamentare.

A cominciare dai temi istituzionali:
a)      delega governativa per gli italiani nel mondo;
b)      mantenimento e ruolo della Circoscrizione estero nell’ambito della riforma costituzionale;
c)      riforma del sistema di voto.

E temi politici: IMU, servizi verso i connazionali, lingua e cultura.
Dobbiamo farlo sulla base del programma con il quale ci siamo presentati agli elettori a febbraio e, soprattutto, tenendo presente l’anomalo governo che ci troviamo a sostenere e le risorse a disposizione.
Senza sottovalutare anche il cambio degli stessi interlocutori all’interno del PD: domani cambia il Segretario e l’intera Segreteria. E non è cosa irrilevante.

Per cui io propongo di concentrarci su pochissime cose fattibili sia istituzionalmente che politicamente e proporle al voto della nostra assemblea, ragionando sull’opportunità di farle assumere all’assemblea nazionale sulla base della discussione che si farà domani.

Non escluderei, infatti, che in quella assise ci si concentrerà solo sulle questioni attinenti alla vita interna e alle prospettive del partito. Ma vedremo domani.

Vista la peculiarità di questa assise, l’incertezza nel programmare i passaggi futuri, i tempi e il calendario dei lavori nazionali, mi fermo qui, senza relazionare su altre questioni (pure importanti), rispetto alle quali lascio l’Assemblea libera di discuterne riservandomi, eventualmente, di tornarvi nelle conclusioni.

Grazie e buon lavoro.

giovedì 21 marzo 2013

GOVERNO: MARINO "M5S MENTE, E' PD PRIMO PARTITO"

La mia dichiarazione dopo le consultazioni dei grillini al Quirinale.

"Il motivo che induce i grillini a dire di essere il primo partito, pur sapendo che i numeri dicono il contrario, e' semplice e deriva da un dato e una visione politica: non considerano cittadini a pieno titolo i cittadini italiani all'estero". E' quanto afferma in una nota Eugenio Marino, responsabile nazionale Pd all'estero, in merito alle dichiarazioni della delegazione del Movimento 5 stelle al Quirinale.
"I grillini - continua Marino - spieghino chiaramente che, contrariamente a quanto afferma la Costituzione, i cittadini elettori e i cittadini eletti all'estero non vanno conteggiati e, anzi, va tolto loro anche l'elettorato passivo e attivo poiche' sono 'diversi'".
"Se ce lo dicono - prosegue - ne prendiamo atto e ragioniamo insieme, ma fino a quando questa Costituzione sara' valida i cittadini italiani all'estero saranno cittadini come gli altri e voteranno ed eleggeranno loro rappresentanti come gli altri e contribuiranno a determinare chi e' il primo e il secondo partito.
Quindi, il Pd e' il primo partito alla Camera e al Senato e il M5S puo' smetterla di raccontare bugie".
(ITALPRESS).
sat/com 21-Mar-13 13:05 NNNN

venerdì 15 febbraio 2013

Non votare PD significa votare per l’instabilità di Governo

Per chi avesse la pazienza di leggerlo, oggi ho scritto questo articolo che trovate anche su La gente d'Italia. Buona lettura


Caro Direttore,

leggo sempre più spesso dichiarazioni e appelli di diversi candidati a votare i cosiddetti “movimenti indipendenti” degli italiani all’estero, gli “unici”, secondo questi candidati, che non essendo né di Destra né di Sinistra e senza essere sottoposti ai diktat dei grandi partiti, rappresenterebbero davvero tutti gli italiani all’estero e le loro istanze in Parlamento.

E leggo ancora dei commenti di questi candidati nei confronti dei parlamentari eletti all’estero nelle scorse legislature: tutti uguali, a loro modo di vedere, e tutti inutili. Secondo questi aspiranti neo-parlamentari, i parlamentari uscenti non avrebbero fatto nulla per gli italiani all’estero, poiché sottoposti alle direttive dei propri partiti.

Sono dello stesso tenore persino alcuni commenti di bravi giornalisti, che in questo caso penso antepongano i propri problemi personali con alcuni parlamentari eletti all’estero, a una più lucida valutazione dei fatti.

Io non credo che tutti i parlamentari eletti all’estero siano stati inutili, né che tutti i partiti siano uguali e ugualmente disinteressati ai nostri connazionali. Faccio solo un esempio: il Governo Prodi, dopo cinque anni del secondo Governo Berlusconi che aveva dimezzato gli investimenti verso gli italiani all’estero, grazie al lavoro dei parlamentari del centrosinistra eletti all’estero, nonostante finanziarie di risanamento, riportò gli investimenti per gli italiani all’estero a 73 milioni di euro. Dal 2008 al 2012, durante il terzo governo Berlusconi, questi investimenti sono stati riportati a circa 12. E con il Governo Monti la cosa è ulteriormente peggiorata. E non è un fatto solo di risorse, ma un fatto di diversa attenzione e sensibilità tra Destra e Sinistra agli italiani all’estero e diverso rispetto dei governi verso gli eletti all’estero. Un rispetto e una sensibilità che il Centrosinistra ha dimostrato di avere e ha ancora e che il Centrodestra ha dimostrato più volte di non avere. Lo stesso Centrodestra che oggi è lacerato da scissioni, divisioni, diversi programmi e che si ripresenta comunque con una coalizione nella quale Berlusconi è candidato premier e con la Lega Nord che afferma che il premier non sarà Berlusconi (sic!). Con Berlusconi che promette il condono tombale e l’abolizione dell’IMU e la Lega che dice “mai il condono tombale” (Sic! Sic!).

Ma torniamo ai “movimenti indipendenti”. Quelli che si dicono i veri rappresentanti degli italiani all’estero, né di Destra né di Sinistra. Intanto vediamo quanti sono: il MAIE, l’USEI, l’UISA, IPL, il Movimento 5 stelle, Insieme per gli italiani. Quindi ben sei liste indipendenti, apolitiche e apartitiche.

Dunque, caro Direttore, io mi chiedo: se sono tutte indipendenti e tutte che rappresentano davvero gli italiani nel mondo, come mai non hanno fatto una lista unica? La verità è che ognuna di questa rappresenta istanze o aspirazioni diverse. Ma allora non c’è un solo movimento che rappresenti tutti gli italiani all’estero. Oppure sono liste di singoli personaggi  in cerca di un posticino in Parlamento per difendere piccoli interessi privati?

Il problema, poi, è che queste liste, nella migliore delle ipotesi (migliore per i candidati, non certo per gli italiani nel mondo), potrebbero eleggere un paio di deputati o senatori che in Parlamento andrebbero a ingrossare il Gruppo misto e non riuscirebbero a fare, loro si, nulla per i nostri connazionali. Nessuna loro proposta verrebbe mai presa in considerazione in Parlamento né trasformata in legge.

Ricordo, infatti, che in anni berlusconiani nei quali i singoli parlamentari sono stati ridotti a meri ratificatori delle scelte del Governo attraverso gli innumerevoli voti di fiducia, le iniziative dei singoli parlamentari trasformatesi in legge sono state circa dieci su quasi mille parlamentari. Tra queste solo il Partito Democratico ha puntato su proposte di eletti all’estero, trasformando in legge la proposta dell’onorevole Marco Fedi sui diritti di rappresentanza dei contrattisti. E se quella proposta è diventata legge dello Stato è solo perché Fedi poteva contare sul sostegno di centinaia di parlamentari del proprio Partito (il PD), sostegno che nessun parlamentare di liste “indipendenti”, potrà mai avere. Ecco perché votare per liste “indipendenti” degli italiani all’stero significa sprecare il proprio voto.

Inoltre, faccio un’ultima riflessione.

Il Partito Democratico, con l’attuale legge elettorale, certamente otterrà la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei deputati. E nessun Governo potrà essere formarsi né essere stabile senza il sostegno del PD.

Al Senato, qualora si volesse pensare a un governo diverso da quello guidato dal PD, dovrebbe crearsi una coalizione sostenuta dal PDL di Berlusconi, dalla Lega Nord di Maroni, dal Movimento 5 stelle di Grillo, da Rivoluzione civica di Ingroia, dall’UDC di Casini e dalla lista civica di Monti.

Lei capirà, caro Direttore, che un Governo del genere è impossibile e che, comunque, non avrebbe mai la maggioranza alla Camera senza il PD.

Dunque, votare per una qualsiasi lista o partito che non sia il Partito Democratico, soprattutto al Senato, significa votare solo per dare instabilità all’Italia. È questo che vogliamo? È questo che serve al nostro Paese? Secondo me no. Serve stabilità, quella stabilità che può dare solo il PD a guida Bersani: l’unico leader scelto per due volte da 4 milioni di cittadini, prima nel Congresso PD del 2009 e poi nelle primarie di coalizione del 2012.

sabato 2 febbraio 2013

Prospettive culturali dell'Italia all'estero: la Tunisia

Di seguito la mia relazione all'evento "Quali politiche e prospettive culturali dell'Italia all'estero in particolare in Tunisia?", organizzato dal Circolo PD Maurizio Valenzi  e tenutosi a Tunisi sabato 15 dicembre 2012.

C’è la crisi, c’è una situazione economica tra le peggiori di sempre, c’è instabilità. E allora si taglia.
Lo si è fatto in modo indiscriminato per gli anni del governo Berlusconi e si continua a farlo, seppur in modo più oculato, ancora oggi nonostante i proclami di Mario Monti e della sua apertura verso il mondo della cultura.

Soltanto pochi giorni fa, nel corso di della trasmissione dell’Ufficio italiani nel mondo del PD in onda su YouDem TV, il sottosegretario ai Beni Culturali Roberto Cecchi è intervenuto proprio sui temi che stiamo trattando oggi.

Ha parlato di promozione della cultura e della lingua italiana nel mondo e ha ammesso in tutta onestà che le risorse a disposizione per la difesa della nostra cultura non bastano.
Cecchi non ha parlato di numeri e di cifre – del resto non si conoscono esattamente i fondi a disposizione, nascosti selvaggiamente tra le tante voci dei capitoli di spesa della Stato – ma ha dato una percentuale: lo 0,22%.

E’ la fetta delle spese dello Stato che viene destinato al mondo della cultura. Poco, decisamente poco.
Anche rispetto a quanto altri Paesi Europei, come la Francia e la Spagna, spendono per la propria cultura: una percentuale che supera lo 0,35%: molti milioni di euro – forse addirittura miliardi – in più rispetto allo stanziamento italiano.

Nonostante il nesso fra lo sviluppo della cultura e la tutela del patrimonio culturale sancito dall’articolo 9 della Costituzione, insomma, l’Italia manca ancora di una visione organica e di sistema della creatività, della cultura e delle politiche culturali.

La connessione patrimonio e identità culturale – creatività – produzione e industria culturale non ha trovato soluzione né nelle politiche, né nella struttura della legislazione di sostegno e sviluppo per la cultura.
C’è bisogno di intervenire con la massima urgenza nella prossima legislatura.
E il primo intervento – ricollegandoci al discorso degli stanziamenti - va fatto anche sui capitoli di spesa.

Qualsiasi esame del comparto cultura e creatività in Italia e nel mondo non può prescindere dalla questione della spesa pubblica, oltre che privata, nel settore.
Finora ho parlato di spesa e non di investimento perché, al di là delle dichiarazioni di intenti, è questa la categoria nella quale gli stanziamenti per questi due settori sono inseriti: e già questo spiegherebbe le difficoltà in cui si dibattono cultura e creatività in Italia.

Va anche sottolineatoche se questa regola generale è valida per gli stanziamenti pubblici, non altrettanto si può dire per quelli privati e, in particolare, per quelli delle imprese.
Il vero problema, forse, è la misurazione di questa spesa che ha ancora oggi aspetti di superficialità e indeterminatezza.

Ciò avviene per diverse ragioni. Innanzi tutto perché esistono almeno 4 livelli di governo che erogano secondo categorie e criteri del tutto difformi uno dall’altro.
A ciò si aggiunge una certa riluttanza da parte delle regioni e degli enti periferici ad accettare il monitoraggio delle loro spese che, da sempre, sono state oggetto di dosi spesso eccessive di soggettivismo, vero problema del federalismo che ha aumentato la spesa pubblica enormemente e senza raccordi nazionali.

Di norma la misurazione della spesa pubblica culturale in Italia è limitata ed esclude quella delle regioni e dei comuni. Per portare un esempio tra i tanti possibili, la spesa per la cultura della Repubblica Federale Tedesca comprende, tra l’altro, il finanziamento alle Accademie d’arte, di musica e di teatro e al Ghoete Institute.
In Italia, invece, queste spese sono sostenute dal MIUR. Metterle insieme diventa dunque difficile ed è anche per questi motivi che, poco fa, ho detto “nascoste selvaggiamente” in relazione alle spese della cultura. Se poi questo gioco a nascondere i dati sia voluto o meno non sta a me, giudicarlo.
Io valuto status quo ed effetti.

L’altro fattore che determina l’arretratezza del nostro Paese nella promozione culturale in Italia e all’estero, è la scarsa abitudine – da parte di privati ed enti pubblici – a considerare di primaria importanza i posti di lavoro nel mondo della cultura. 
Un Piano del Lavoro nella cultura non è una policy che si aggiunge a quelle esistenti ma comporta una revisione di tutti gli indirizzi consolidati e anzi un'esplicita discontinuità con gli approcci che hanno dominato fin qui il dibattito sulle politiche culturali.

Bisogna liberarsi di molti miti e di tanti errori se si vuole creare lavoro e cogliere l'occasione della cultura come contributo alla crescita civile oltre che economica del Paese, e al raccordo e integrazione all’estero.
Le professioni legate alla cultura e alla creatività, in Italia non sono conosciute e per questo non sono neanche ri-conosciute.
Ad ogni legislatura da alcuni anni si annuncia come imminente l’approvazione di norme per il riconoscimento delle professioni intellettuali e per la professionalizzazione all’estero ma, fino ad oggi, senza un reale esito.
E non va bene.

Le nostre imprese creative e culturali, i nostri enti nel mondo e gli insegnanti del contingente, sono sole di fronte a un mercato globale spesso ben organizzato e sempre molto aggressivo.
Il solo essere prodotto italiano non basta per competere.
Di fronte alla sfida dell’export le imprese hanno bisogno di essere supportate attraverso adeguate strutture di promozione.

La premessa di queste politiche è nel miglioramento della qualità dei prodotti della cultura che può avvenire solo a partire dalla valorizzazione del lavoro, del momento creativo, delle competenze e dei talenti.
Il destino delle imprese e la loro competitività sono legati indissolubilmente all’effettivo valore aggiunto che saranno in grado di realizzare.
Il coinvolgimento del capitale umano in questo particolare settore è il fattore fondante del successo dell’impresa e delle istituzioni culturali.

C’è poi la scuola, che della cultura italiana dovrebbe rappresentare le fondamenta.
Anche qui, però, soltanto lacrime e sangue (letterale, in questo caso, viste anche le teste spaccate degli studenti nelle ultime manifestazioni).
I tagli sono stati tanti e lineari e hanno colpito soprattutto l'insegnamento della lingua e cultura italiana all'estero, sia attraverso la pesante riduzione del contingente degli insegnanti italiani, sia attraverso la mancanza di risorse da destinare agli enti gestori.

Il Partito democratico aveva avanzato delle proposte assumendosi precise responsabilità e senza aumentare la spesa, bensì mantenendo il contingente, tagliando le indennità di sede e diverse agevolazioni sia degli insegnanti che del personale Mae e introducendo quindi i primi elementi di una più ampia riforma da fare nei prossimi mesi.
Ma le proposte non sono state accolte.

Fortunatamente ci sono anche esempi positivi che arrivano proprio dall’Area del Mediterraneo.
Pochi giorni fa le agenzie hanno battuto la notizia della firma di un nuovo Memorandum d’Intesa sul Programma ILLIRIA in Albania.
Un progetto che servirà a promuovere e sviluppare l’insegnamento della lingua italiana, come prima lingua straniera, nel sistema scolastico albanese a partire dalla classe III della scuola primaria fino all’ultima classe di quella secondaria di II grado.

Ad esempi come questo non si può che guardare con positività e pensare di replicare nella sponda Sud del Mare Nostrum, che è e deve essere ancor di più un’area prioritaria della politica estera italiana.

D’altronde questo è il solco storico della nostra politica estera.
Il Mediterraneo rappresenta un’area “calda” del mondo, la più “calda”.da qui l’Italia, anche per i suoi rapporti storici di amicizia, culturali e geografici, deve ripartire per favorire la risoluzione della principale questione mondiale della politica estera: la vicenda israelo-palestinese.
Una vicenda la cui risoluzione favorirebbe la soluzione di molti altri dossier internaizonali.
Per questo, bene hanno fatto Bersani e il PD a insistere su Monti per il voto all’ONU a favore della Palestina.
Un voto coraggioso.

Un voto che disegna un progetto politico e un’idea precisa di Mediterraneo e di Italia.
E questo progetto, chiaramente, per camminare su tutta la sponda Sud ha bisogno di scambi culturali, prima che politici ed economici.

Ha bisogno di far emergere con forza come  ci sia molta più “vicinanza” e affinità culturale tra Italia e Nord Africa, che tra Italia e Olanda (solo per fare un esempio e capirci meglio).

Per ricordarcelo tutti, e scusate la deformazione professionale della citazione, basterebbe fare nel Mediterraneo e nella promozione culturale italiana, dei corsi di lingua e cultura su De Andrè e su quel raffinato album degli anni Ottanta che fu Creuza de ma.

Un album per il quale il cantautore genovese scelse come lingua delle canzoni il dialetto di Genova, che da lingua locale diventa strumento di comunicazione globale, riprendendo in musica i suoni e gli strumenti di tutti i paesi del Mediterraneo, cantando storie e viaggi dei marinai della sua Genova insieme alle distruzioni e morti di innocenti disarmati causate dai carri armati degli eserciti in Medio Oriente.

Tutto per raccontare la nostra storia, quella di questa parte del mondo e quella universale.
Il miglior esempio, quindi, di ciò che significa cultura, Italia, Mediterraneo e contaminazione.
Grazie