sabato 27 febbraio 2010

Per Di Girolamo pagano gli emigrati

Oggi è uscito sul quotidiano Europa questo mio aricolo sul caso Di Girolamo. Buon fine settimana.

Chi come me è cresciuto in Calabria sa bene cos’è la ‘ndrangheta. Conosce la sua grande abilità nel mimetizzarsi tra le persone per bene e nel mondo economico e politico; l’equivoco di farsi considerare come fenomeno minore, se non addirittura come una invenzione letteraria. Allo stesso tempo, quando inevitabilmente si materializza in tutta la sua spietata e crudele sete di soldi, di potere e di sangue sul territorio, riesce a far passare l’idea (anche tra molte persone per bene) che si tratti di accidenti inevitabili, ma intorno ai quali (almeno lei, la ‘ndrangheta) produce lavoro in quelle riserve di disoccupazione ed emigrazione che sono le province calabresi. E proprio attraverso l’emigrazione dei decenni passati e i confini dei capi famiglia nel centro e nord Italia o all’estero, la ‘ndrangheta ha allungato i suoi tentacoli al di fuori della Calabria divenendo l’associazione criminale più potente al mondo e più “affidabile” nel campo della criminalità organizzata. È un fenomeno terribile. È la Piaga (con la P maiuscola) della Calabria.

L’unico vero, grande, ostacolo allo sviluppo di quella regione: gli altri problemi, non pochi, sono conseguenze scaturite da quel male originario e possono sperare in una soluzione solo a partire dall’aggressione totale alla criminalità organizzata. La ‘ndrangheta agisce in ogni settore della vita calabrese: emigrazione compresa. E nella vicenda Di Girolamo è proprio questo mondo di emigrati che viene colpito. Colpito per la seconda volta. Perché chi emigra (o è emigrato in passato) dalla Calabria lo fa quasi sempre per necessità, sempre con quel tanto di sofferenza e dolore che provoca il distacco da quella terra. Si rifà una vita all’estero con nuove speranze: un lavoro, una vita nella legalità, una rappresentanza diretta che gli permetta di tenere il legame con una terra che non riesce e non vuole dimenticare, persino alimentando lontane e illusorie speranze di ritorni trionfali ai luoghi natii. Questo orizzonte di realizzazione viene troppo spesso inquinato e compromesso dai boss, dai loro “servi”, i loro affaristi, i loro killer, i loro legami ambigui con alcuni “rappresentanti istituzionali”. Ecco, anche di questo deve rispondere in tribunale il senatore Di Girolamo. Di aver contribuito, con il suo (per ora presunto) prestarsi a interessi mafiosi, ad aver minato alla base le speranze degli emigrati che per anni si sono spezzati la schiena col lavoro lontano dalla propria terra. Di aver gettato tonnellate di fango sulla Circoscrizione estero e sul voto dei nostri milioni di concittadini onesti.

Di aver insinuato il sospetto, in tanti, che decenni di battaglie delle comunità, delle associazioni, dei sindacati, per l’autoaffermazione e l’integrazione, per i diritti dei migranti e dei lavoratori, culminate con il voto per corrispondenza e con la Circoscrizione estero (che sono solo l’inizio di un nuovo e moderno cammino), oggi siano, in concreto, lo strumento di una o più associazioni mafiose a cui le nostre comunità servono per portare in parlamento i propri uomini. Non è così. Gli italiani all’estero non sono questa cosa. Gli italiani all’estero sono le vittime della ‘ndrangheta e di Di Girolamo esattamente come gli italiani in Calabria. Nel processo che si terrà, gli italiani all’estero sono, anche moralmente, la parte lesa. Sta al parlamento, poi, stringere le maglie larghe del voto all’estero, confermandone importanza e validità, ma intervenendo per renderlo più sicuro e non penetrabile alle mafie, buttando via l’acqua sporca tenendo stretto e con cura il bambino che deve ancora crescere.

mercoledì 24 febbraio 2010

Rilanciare il dialogo

Oggi ho assistito ai lavori del congresso della UIM. Ho ascoltato molti interventi interessanti: dalla relazione di apertura di Alberto Sera a quelli di ospiti come Nino Randazzo, Andrea Amaro, Rino Giuliani, Roberto Volpini, Norberto Lombardi e vari altri. Sulle agenzie immagino se ne troverà traccia.
Io ho detto più o meno queste cose.


Buongiorno a tutti.
E grazie per avermi invitato a questo importante appuntamento congressuale.
Invito che mi dà la possibilità di riprendere e rilanciare un dialogo tra il partito che rappresento e il mondo sindacale tutto, dei patronati e delle associazioni all’estero.

Un dialogo dal quale, a mio avviso, non si può e non si deve prescindere, poiché il mondo delle associazioni, all’estero rappresenta un riferimento indispensabile tanto per le collettività quanto per i rappresentanti istituzionali e politici.
In questo senso, però, sento di poter dire che le scelte politiche del nostro Governo non vanno nella direzione della valorizzazione di questo mondo.
Né in quella di una riforma mirante al rilancio e all’ammodernamento dell’articolato mondo dell’associazionismo.

Nell’ultimo anno, ho avuto modo di seguire i lavori dei giovani italiani all’estero che rappresentano il futuro delle nostre comunità e del rapporto tra esse e l’Italia.

Questi giovani, mai come adesso protagonisti competenti e realmente interessati alla partecipazione politica e al rapporto con l’Italia, hanno fatto un gran lavoro di analisi, di elaborazione e di proposta.
Da questo lavoro è venuto fuori con forza come anche essi considerino l’associazionismo un punto di riferimento prioritario per le comunità italiane all’estero.

Insistono, e io con loro, sulla necessità di riforme di sistema.
Ma chiedono riforme che vadano nella direzione di un rilancio del mondo dell'associazionismo e della rappresentanza, sottolineando come, invece, negli ultimi tempi, si confonda la giusta richiesta di riforme con l’obiettivo di ridurre i costi attraverso il depotenziamento delle strutture e delle funzioni istituzionali esistenti.

Basti pensare alla riforma dei Comites e del CGIE promossa dall’attuale maggioranza e che si traduce nella proposta Tofani: un progetto che riduce le competenze delle istituzioni intermedie.
Che recide il legame tra queste e il mondo associazionistico e sindacale.
Che esclude i rappresentanti di patronato dall’Assemblea del CGIE.

Una proposta alla quale come Partito Democratico ci opponiamo e diciamo chiaramente NO.

È nostra opinione, infatti, come affermava proprio in questa sede l'On. Narducci qualche anno fa, "che il CGIE debba ripartire come laboratorio di idee, ma anche di progetti, e come tale continuare a funzionare.
È infatti impensabile che possano fare tutto i parlamentari".

Il CGIE deve essere luogo di raccordo principale delle diverse rappresentanze, delle istituzioni italiane e dell'associazionismo.

Diciamo NO, dunque, perché siamo convinti che ci sia bisogno di un atteggiamento e una visione diversi – diametralmente diversi – nei confronti delle istituzioni intermedie che mirino a rafforzare il ruolo delle rappresentanze e il legame di esse con un mondo associazionistico rilanciato e vitale.

E in questa direzione serve una spinta forte, che scaturisca anche da un dialogo che occorre riprendere in maniera fluida tra tutte le forze che agiscono in emigrazione.
Voi avete usato per questo congresso alcune parole chiave:
"globalizzazione e identità";
"trasformazioni e certezze".
Sono le parole del nostro tempo.
Sono le parole con le quali il mondo politico deve confrontarsi se vuole guardare avanti.

Parole che mi piace prendere in prestito, col vostro permesso, per dire che è su questo terreno, sul terreno di una rinnovata identità in un mondo sempre più mescolato e interconnesso, che si disegnerà il nuovo profilo delle nostre articolate comunità all’estero.
Solo così riusciremo a fotografare nuove esigenze e interessi emergenti;
a cogliere i bisogni imprescindibili da tradurre in certezze e diritti per chi lavora e produce;
solo così, infine, riusciremo a proporre le riforme adeguate a dare risposte.

E penso qui alle imprescindibili trasformazioni degli attuali strumenti istituzionali e politici.
In tutto questo, naturalmente, in questo scenario così complesso, io penso che il ruolo dei sindacati sia quanto mai attuale e imprescindibile.
I sindacati, infatti, devono non solo stare dalla parte di chi lavora e di chi ha bisogno di assistenza.
Ma devono essere anche un supporto per lo Stato, uno strumento di integrazione e potenziamento della sua azione.

Soprattutto, se si vuole uno Stato sempre più “leggero”, organizzatore di servizi da affidare sempre più ai privati.
Io credo che oggi non si può affidare ai privati, in Italia, la gestione dell’acqua, e non pensare di consentire a chi già svolge attività di assistenza ai cittadini all’estero di allargare il campo delle competenze e degli stessi servizi.
Penso a quanto, soprattutto nel quadro della deleteria riduzione dei consolati predisposta da questo Governo, potrebbero fare i patronati all’estero in termini di servizi ai cittadini.

Penso a come buona parte del lavoro che oggi blocca l'attività dei consolati determinando attese di anni da parte dei cittadini, potrebbe essere affidata ai patronati, per lasciare ai consolati solo la parte finale e puramente istituzionale dei diversi iter burocratici.
Certo con questo non dico nulla di nuovo né di rivoluzionario.
Anzi dico una cosa semplice e per qualcuno forse scontata.

Ma a volte proprio le domande più complicate necessitano di risposte semplici.
E per questo, quindi, occorre tornare a chiedere con forza la firma della convenzione tra MAE e patronati, fermata per remore politiche che hanno come solo effetto quello di creare un danno al servizio a favore dei nostri concittadini all’estero.
Quando, al contrario, sarebbero atti di buon senso e come tali da perseguire.
Si renderebbe un buon servizio all'Italia e agli italiani nel mondo.
Grazie.
E buon lavoro a tutti.