domenica 25 maggio 2008

A Berlino per analisi del voto e Statuto

Oggi sono in Germania, alla Willy Brandt House di Berlino, per un seminario sull'analisi del voto, con particolare riferimento a quello in Europa e in Germania.
Di seguito la mia relazione introduttiva.

Cari amici e compagni,
mi fa davvero molto piacere essere qui oggi, in Germania, dove non venivo ormai da moltissimo tempo, cioè da prima che si avviasse il percorso costituente del Partito Democratico: un’altra era politica dunque.

Tornarci oggi, quindi, fa un certo effetto, poiché ci troviamo con un altro partito, un’altra situazione politica e un altro Governo.
Anche la platea che mi trovo davanti è molto diversa da allora.
L’ultima volta che sono stato in Germania c’erano ancora DS e Margherita, c’era da poco il Governo de L’Unione e la Germania non aveva eletti in Parlamento.
Oggi c’è il Partito Democratico, purtroppo c’è il Governo della Destra, ma almeno avete un eletto della Germania.

Per questa prima parte della giornata è stato chiesto a me di fare una relazione sui risultati del recente voto politico, probabilmente perché negli ultimi mesi, tra Gruppo ristretto per lo Statuto, seminari e campagna elettorale, non ho fatto altro che relazioni.
Il compito, naturalmente, non è dei più semplici, poiché analizzare il voto è sempre cosa ardua.
In Italia, tra l’altro, non è stata ancora fatta una discussione approfondita all'interno del partito su quanto è accaduto.

E questo limita enormemente la mia analisi generale.
Per questo cercherò di dare una lettura di quanto successo più circoscritta possibile, con maggiore attenzione proprio al dato tedesco.
Prima del 14 aprile immaginavamo tutti una probabile sconfitta. Ma nessuno avrebbe immaginato un distacco di nove punti, soprattutto al Senato.
La Destra ha ottenuto il 46% dei consensi degli italiani contro il nostro 37%: ben nove punti in più.

Il solo PDL ha raggiunto il 38% contro il nostro 33%: ben cinque punti in più.
In questo pessimo risultato, però, dobbiamo saper vedere anche il molto che c’è di buono.
A parte la semplificazione di tutta la vita politica e democratica italiana, merito esclusivo del PD, c’è anche il grande risultato di aver raccolto intorno al nostro progetto il consenso di un italiano su tre.

Così come c’è il coraggio che abbiamo avuto nel proporre un modello di discontinuità, la scelta dell’innovazione e del riformismo, insieme a quella di costruire un partito plurale, aperto e radicato nei territori.
Ora bisogna, però, che quelli che fin qui sono stati progetti, premesse e ambizioni, d’ora in avanti divengano realtà, a cominciare dalla sintesi delle diverse culture che formano il Partito Democratico e dal suo radicamento tra i cittadini.
Se non sapremo fare davvero bene tutto ciò, questo nostro grande progetto potrà fallire.
Perché esso non fallisca, dunque, dobbiamo partire dal fare tesoro dall’esperienza di quanto è stato, dalla nostra capacità di dialogo e dall’abitudine all’agire democratico di un partito e dei suoi militanti.

Fino a oggi, invece, troppo spesso, in Italia e in alcuni casi all’estero, abbiamo visto di più la concorrenza tra gruppettini del PD – permettetemi di dirlo – che tra progettualità e visioni diverse dell’identità e strategia politica del partito.
E tutto ciò non è un buon segnale in un partito che del rifiuto delle correnti e nella sintesi delle diverse culture ha fatto un suo punto di forza nell’atto fondativo.
Abbiamo perso – anche se all’estero non è così – quindi ci conviene sviscerare fino in fondo i ragionamenti sul perché e riflettere bene sui risultati, cercando di fare un tutt’uno di strategia, identità e cultura politica.

Lo stesso segretario Veltroni ha insistito qualche settimana fa sull’importanza della lettura del voto dopo una sconfitta.
E la mia lettura del voto, come spero la vostra, non deve essere fatta con lo spirito di chi cerca conferme a ciò che pensava prima del voto, qualsiasi cosa pensasse.
La lettura deve servire a distinguere tra ciò che di positivo è uscito dalle urne e i limiti che esse ci hanno evidenziato e che dobbiamo superare nel futuro.

Noi abbiamo certamente pagato il debito dell’impopolarità della precedente maggioranza politica de L’Unione, che io però distinguo dal Governo, che a mio avviso ha ben operato.
Questa impopolarità ci assegnava una sconfitta certa e pesante, anche se in campagna elettorale abbiamo molto recuperato in termini di consenso.

Forse tutto il possibile, insieme a una parte di voti provenienti da altre forze politiche della Sinistra, spinta dall’esigenza di dare un "voto utile" contro la Destra, e dall’astensionismo critico, quello del ceto medio riflessivo o quello di Sinistra.
Ma questo consenso non è acquisito una volta per sempre. Esso può sparire già alle prossime elezioni europee, alle quali non funzionerà il meccanismo del "voto utile".
Quell’area di elettorato gravitante intorno alla Sinistra radicale, infatti, oggi non più rappresentata in Parlamento, domani tornerà a votare alle europee non più contro Berlusconi, ma per una rappresentanza in cui si riconosce di più di quanto non si riconosca nel Partito Democratico.

E allora tutto ciò che fin qui ho detto esserci stato di positivo, tanto da portarci al 33% dei consensi, domani semplicemente non ci sarà più.
Nel 2009 rischieremmo di ritrovarci sotto la soglia del 30%, ancora meno di quanto ottenemmo alle passate elezioni europee, quando la lista Uniti nell’Ulivo raggiunse poco più del 31% dei consensi.
Che fare, dunque, per evitare che ciò accada.
E soprattutto che fare per evitare che ciò accada all’estero.
Prima di tentare di dare una risposta, penso sia utile provare ad analizzare proprio il risultato estero.

Va innanzitutto detto che, per quello che ci riguarda, il voto nella nostra Circoscrizione è stato ben diverso da quello italiano.
Nel complesso della Circoscrizione estero il Partito Democratico vince le elezioni, ottenendo nove parlamentari su diciotto, contro i sette del PDL e i due indipendenti.
Da solo vince alla Camera con circa un punto in più e perde al Senato con circa un punto in meno in termini percentuali.

Insieme all’IDV vince bene in entrambi i rami del Parlamento.
In questo quadro, però, è da sottolineare che il risultato del Partito Democratico all’estero è in linea con quello in Italia, intorno al 33%.
Quello del PDL, invece, è di quattro punti in meno all’estero rispetto che all’Italia (33% all’estero contro 38% in Italia) e di addirittura sei alla Camera (31% all’estero contro 37% in Italia).
Segno, dunque, che l’appeal generale della Destra fuori dai confini nazionali si riduce di molto.
Se poi guardiamo alla sola Europa, il dato non può che migliorare per noi.
In questa ripartizione, infatti, il Partito Democratico ottiene il 40% dei consensi alla Camera contro il 33% del PDL.

Sette punti in più: quasi il rovescio di ciò che succede in Italia.
Che in termini di voti assoluti significa 204.393 voti del PD contro i 171.658 del PDL.
Circa 33.000 voti in più, pari al totale di quelli che nel 2006 ottenne in più L’Unione in Italia per vincere le elezioni, ma su un numero di elettori di molti milioni in più rispetto a noi.
Analizzando, inoltre, il dettaglio di questi dati, nazione per nazione, vediamo che il Partito Democratico vince molto bene in quasi tutti i Paesi in cui è più consistente la presenza italiana, più forte il comune sentire democratico, e dove vi è almeno una qualche forma di organizzazione e presenza del Partito.
Vediamo che in Belgio, in entrambi i rami del Parlamento, il PD ottiene 15 punti percentuali in più del PDL.

In Francia 16 punti in più alla Camera e 15 al Senato.
In Lussemburgo 28 punti in più alla Camera e 22 al Senato.
In Olanda 16 punti in più in entrambi i rami.
In Svizzera 17 punti in più in entrambi i rami.
In Spagna, dove però la nostra presenza organizzata è minima, un solo punto in più in entrambi i rami.

Unica eccezione negativa, è purtroppo proprio la Germania, dove il Partito Democratico ottiene ben 10 punti in meno rispetto al PDL, e in entrambi i rami del Parlamento.
Un risultato tanto più preoccupante se paragonato alla situazione del 2006 e agli altri paesi europei.
Nel 2006, infatti, nei paesi già citati, L’Unione vinceva bene quasi ovunque, anche se confrontata alla somma di tutti i partiti dell’allora Casa delle libertà.
L’Unione senza IDV e UDEUR, infatti, vinceva nel 2006 con 19.000 voti in più in Belgio rispetto a tutta la CDL; con 27.000 voti in più in Francia; con 41.000 in Svizzera; con 2.000 in Lussemburgo (su un totale di circa 5.000 elettori) e 2.000 in Olanda (su un totale di circa 7.000 elettori).

In questi ultimi due casi parliamo di paesi molto piccoli e con pochi voti, dunque lo scarto, seppur di poche migliaia di voti, è da considerarsi un ottimo risultato.
Le uniche eccezioni erano ancora la Germania, dove L’Unione vinceva di soli 3.000 voti in più (su circa 134.000 elettori) e pur essendo il Paese con il più alto numero di italiani, e la Gran Bretagna, dove L’Unione addirittura perdeva, seppur di soli 1.000 voti (su circa 40.000 elettori).
Oggi, poi, il PD senza Italia dei valori, Sinistra Arcobaleno, Partito Socialista e Sinistra critica, vince quasi dappertutto sul PDL unito senza l’UDC.
E vince con scarti alti, come ho già detto. Tanto che anche se alla CDL si sommasse l’UDC noi vinceremmo lo stesso.

In Germania, invece, il PD perde sul PDL con lo scarto alto già accennato: di 10 punti.
Uno scarto tanto alto che seppure aggiungessimo ai voti del PD quelli di tutta la Sinistra radicale non raggiungeremmo ugualmente il centrodestra.
E tutto il centrosinistra compresa l'IDV è al di sotto di tutto il centrodestra compresa l'UDC.
Il che significa che neanche in una situazione di alleanze simile a quella di due ani fa avremmo vinto e che il centrosinistra tutto è minoritario rispetto al centrodestra ed è in perdita rispetto a due anni fa.

Una perdita di voti che si concentra proprio tra PD e Sinistra della coalizione, poiché l’IDV, rispetto al 2006, guadagna diverse migliaia di voti.
E non si può certo dire che abbia semplicemente guadagnato aritmeticamente quelli liberatisi dall’Udeur, poiché nel 2006 il partito di Mastella aveva solo 1.560 voti in tutta la Germania, meno della metà di quanti ne guadagna l’IDV.
Tutto ciò è molto preoccupante.

Sono voti persi da tutto il centrosinistra, tranne Di Pietro, che avanza in tutta Europa, tranne che in Belgio, dove invece perde voti per quasi mezzo punto.
Caso unico in Europa, dunque, quello tedesco del PD e del centrosinistra nel suo insieme.
Nemmeno in Gran Bretagna, infatti, dove pure perdiamo con uno scarto minimo, si ripete questa situazione.
Se in Gran Bretagna, infatti, ai 14.175 voti del PD sommiamo i 6.966 voti della Sinistra radicale e dell’IDV arriviamo a 21.171 voti: 5.418 voti in più del PDL e addirittura 3.944 voti in più de L’Unione di due anni fa.
In questo caso, dunque, il centrosinistra cresce rispetto a due anni fa ed è maggioritario, come nel resto d’Europa.

Nella sola Germania, dunque, il PD e l’intero centrosinistra, risultano oggi più deboli del 2006 e minoritari.
E tutto il Centrosinistra non raggiunge il centrodestra.
Il Partito Democratico, inoltre, oltre ad essere largamente minoritario in Germania a livello di Paese lo è anche a livello locale.
Fanno eccezione solo poche realtà come Berlino e Amburgo, dove il PD vince bene sul PDL, e Monaco, dove siamo però avanti di un magro 0.6% in più.
Com’è dunque accettabile un tale risultato nel Paese a più alta concentrazione di italiani al mondo?

Com’è dunque possibile un simile risultato in un Paese in cui l’immagine di Berlusconi non è certo un punto di forza?
Dove abbiamo sbagliato?
E che fare? Dicevo poc’anzi.
Probabilmente è rispondendo a queste domande che troveremo la forza e le risorse per cominciare a costruire il cammino che potrà portarci a diventare maggioranza fra cinque anni, ma speriamo anche di meno.

A mio avviso, ma su questo non voglio costruire certezze, bensì stimolare dialogo, in Germania si è verificato questo disastro perché erano già deboli in passato sia i DS che la Margherita: cioè le due forze principali del PD.
E perché manca sia un associazionismo forte, organizzato e radicato come in Svizzera, sia un rapporto sano e proficuo con quello esistente.
Tutto ciò si è verificato perché queste forze, poco radicate davvero sul territorio, avevano anche una grave difficoltà a parlarsi, a stare insieme, a mescolare idee, progetti, risorse, competenze, uomini.

Queste due forze non sono riuscite a fare sintesi e, per usare una metafora genetica, non sono riuscite a mescolare il loro sangue.
E ancora nel passato recente, con la costruzione del PD, non riescono né a radicarsi tra la gente, né a mescolarsi, ad amalgamarsi, a sentirsi parte di un tutto, a trovare una giusta sintesi.
Su quali premesse, dunque, in Germania stiamo fondando la struttura, l’identità e la forza del nuovo Partito?

Ho l’impressione che chi proviene da gruppi e gruppetti pre-esistenti o dalle vecchie identità non riesce a guardare a una evoluzione di esse e a una nuova identità, magari post-ideologica.
Ho l’impressione, spero vivamente sbagliata e viziata dal fatto che negli ultimi tempi sono stato solo osservatore esterno della Germania, che in molti pensano ad una autosufficienza culturale che è dannosa per il PD.
Il mondo che ci circonda, infatti, i fenomeni che vogliamo governare sono estremamente complessi. Le forze che abbiamo di fronte sono ampie e dispongono di molti mezzi.
Da solo, dunque, non può farcela nessuno. Nessuno è in grado di interpretare la società, coglierne i bisogni e trovare le soluzioni.

E la risposta a tutto ciò non è certamente il sommare aritmeticamente le forze all’interno del PD, poiché questo è stato già fatto comunque, anche in Germania, e non è bastato, anzi.
Occorre riprendere una discussione seria sullo stare insieme, sul mescolare le culture, le identità, il sangue, per capire come stiamo insieme e quale profilo e identità culturale diamo al partito e che tipo di alleanza vogliamo, anche nelle prossime consultazioni per i Comites e successivamente per le politiche.

Tutto ciò lo dico, e scusatemi se appaio duro, ma spero sempre di sbagliare, perché ho la terribile sensazioni che noi tutti ci guardiamo con sospetto e come tante piccole componenti distinte e inavvicinabili.
Ho l’impressione di un partito in cui convivono tante piccole signorie, tanti piccoli duchi come nell’Italia di molti secoli fa.

Ho l’impressione che ancora ci si veda in competizione come DS contro Margherita, vecchio contro nuovo, veltroniani contro lettiani e bindiani, dalemiani contro rutelliani, integralisti laici contro integralisti cattolici, CGIL contro UIL e ACLI, bertaliani contro coppiani, beatlesiani contro stoniani e romanisti come laziali.
Un po’ il clima che si respira nell’"Inno nazionale" di Luca Carboni, di ormai parecchi anni fa, eppure sempre attuale.

Non è, né deve essere così: pena la morte di un progetto molto ambizioso che ha già cambiato l’Italia e semplificato la politica, anche se perdendo le elezioni.
Per questo, amici e compagni, non abbiate paura del confronto e del dialogo, anche se duro.
Non abbiate paura delle idee e delle identità diverse.
Non chiudetevi in recinti o signorie né di superiorità culturale, né di egemonia numerica, né di altro tipo.

Create e moltiplicate luoghi di discussione approfondita, nei quali è possibile sviscerare fino in fondo le cose, guardarsi negli occhi e poi provare a mescolare davvero le identità e il sangue politico.
Vedete, amici e compagni, c’è un bel film di qualche decennio fa, il cui titolo è entrato a far parte del lessico italiano e che mi piace ricordare.

In questo film, ambientato proprio in quell’Italia delle signorie e dei cavalierati, gli scalmanati protagonisti si presentano alla corte di un’antica famiglia bizantina per chiedere il riscatto per la liberazione del figlio del signorotto locale.
Entro le chiuse mura del castello, ad accoglierli c’è la corte tutta schierata nei suoi abiti tradizionali, intenta nei suoi seri riti, ottusamente orgogliosa e fiera della sua nobile storia, ma per nulla aperta agli altri, al diverso da se, alla mescolanza.
Eppure, al suo interno, pronta a ogni tipo di nefandezza, tradimento e guerra intestina.

Quando il cavaliere protagonista del film chiede al finto sequestrato chi è quella gente dai volti pallidi, Teofilatto dei Leonzi, figlio illegittimo del signorotto, nato da una relazione "impura" con la serva e quindi rinnegato perché sangue misto, risponde così:
"Sono gli ultimi duchi di Bisanzio, sangue prezioso e malato mischiato a se stesso. Membra febbrili, fiacchi alla spada, ma ratte a pugnare, dedite a ogni amplesso. Gente meglio da perdere che da trovare".

Ecco amici e compagni, fuor di metafora, io spero che all’interno di questo nostro partito, si riesca a superare il periodo delle signorie e dei cavalierati.
Spero che il nostro sangue si mescoli e che la smettiamo di guardarci come DS e Margherita, come veltroniani, lettiani, bindiani, dalemiani, rutelliani, fassiniani e chi più ne ha più ne metta.
Spero che riusciremo a creare l’incontro tra le varie anime e le diverse persone.
A rendere agibile a tutti i luoghi della democrazia interna e a rafforzarla, come ancora non siamo riusciti a fare.

Se lo facciamo e cerchiamo di capire dalla dura analisi del voto come rimediare per il futuro, sono sicuro che riusciremo a radicare davvero il PD sul territorio, facendone un grande partito in grado di tornare a vincere, sia in Italia che in Germania.
Se non lo facciamo, e continuiamo a guardarci con sospetti reciproci, il radicamento reale del partito non ci sarà.
Ci sarà, invece, quell’Armata Brancaleone appena citata, per la quale i cittadini penseranno ciò che nel film recitava Teofilatto dei Leonzi: "gente meglio da perdere che da trovare".
E così avremo fatto fallire un grande progetto e perso numerosi altri consensi.

Grazie a tutti per l'attenzione e buon lavoro.

10 commenti:

dioniso ha detto...

Caro Eugenio,
Ho appena pubblicato sul mio blog delle mie considerazioni sulla campagna pubblicitaria di MediaMarkt.

Mi farebbe piacere sentire un tuo parere.

Saluti!

Anonimo ha detto...

Una relazione molto sincera, mi piace questo approccio e spero che serva a rimediare gli errori per il futuro.
Baci.
Fr

Anonimo ha detto...

mi piace molto l'invito alla sintesi tra diverse culture che hai fatto. e mi piace molto il paragone con l'esilarante scena dell'armata brancaleone. il problema è che in quella scena i bizantini non si fanno convincere e scacciano gasman & compagnia con gli archi in mano. spero che a te sia andata meglio

Anonimo ha detto...

Mi pare che il problema tedesco ricalchi molto quello italiano di tutta la sinistra e del pd. Sempre troppe liti e poca capacità di unirsi. Su questo abbiamo davvero molto da imparare dalla destra. Abbiamo fatto prima l'ulivo e poi il PD. Adesso stiamo uniti davvero.

P.S. E' dai tempi dell'università che ti sento fare e facciamo questi discorsi. Ma non ti sei mosso di una virgole. Si tosto guagliè

Eugenio Marino ha detto...

@alelondon: a me è andata decisamente meglio: in molti hanno riconosciuto che i problemi che sottolineavo sono reali e che ci sono difficoltà grosse a fare sintesi.

@carla: ma come? io pensavo di aver fatto un discorso che va proprio nella direzione opposta a quelli che facevo nelle infinite serate a via dei Mille...

Anonimo ha detto...

Caro Eugenio,

Trovo la tua relazione a Berlino sul voto in Europa giusta ed interessante. Non ti nascondo che, nonostante il successo registrato a Lussemburgo, anche qui si sono vissuti e, aggiungo purtroppo, si stanno ancora vivendo momenti di confronto che non vanno certo nel senso da te auspicato, senso che condivido pienamente.



Le vecchie identità hanno oggettivamente difficoltà a inserirsi veramente nel processo di costruzione del Partito Democratico, ci sono forti spinte a vivere questa integrazione come la semplice somma e, troppo spesso, continua lotta per il predominio interno: esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere il forte messaggio del Partito Democratico, con la conseguenza di allontanare tutti coloro che vogliono avvicinarsi o riavvicinarsi alla politica e scelgono di farlo attraverso il Partito Democratico.



Come tu dici il modo migliore è confrontarsi, anche duramente, ma sulle idee, sulle regole che dobbiamo darci per superare questa fase.



Il lavoro che si sta facendo sullo Statuto del Partito Democratico all'Estero è fondamentale, proprio perché regole attente a questi problemi potranno aiutare, stimolare il successo della creazione del Partito Democratico all'Estero.



Nel convegno di Parigi ho proposto che si trovasse una formula che garantisse a tutti i paesi delle varie ripartizioni che lo desiderano una rappresentanza, in qualche modo in maniera indipendente dal numero d'Italiani che vi risiedono, quindi da bacini elettorali per cosi dire storici, quindi aprendosi anche alle nuove realtà, penso ad esempio all'esperienza dei Democratici.net.



Nella tua analisi del voto, il dato del Lussemburgo e dell'Olanda è messo giustamente in rilievo, e questi sono entrambe paesi relativamente piccoli. Credo che sia giusto assicurare loro una reale rappresentanza al livello del coordinamento Europeo, lo stesso vale per altre realtà medio-piccole delle altre ripartizioni della circoscrizione Estero.



Facendo l'esempio della ripartizione Europa, la mia proposta è che lo statuto preveda un organo collegiale di coordinamento nel quale siano rappresentati tutti i paesi che lo desiderino, attraverso delle primarie per paese, e che a rotazione ogni anno uno dei rappresentanti assuma la carica di portavoce del coordinamento. Questa assunzione può farsi per votazione da parte dei rappresentanti nel coordinamento, con l'ineleggibilità di chi è già stato portavoce nel corso del corrente mandato del coordinamento.



In questo modo tutti i paesi che lo desiderano possono essere direttamente coinvolti nel lavoro di coordinamento, possono partecipare, far sentire la loro voce in maniera democratica, e si evitano rendite di posizione che finiscono per precludere a realtà più piccole e non, ma non meno importanti, di partecipare pienamente al Partito Democratico. Penso alla Spagna, paese grande e con molti residenti italiani, ma con una nostra presenza molto ridotta, che andrebbe stimolata e accresciuta. Penso all'Inghilterra; ti ricordi l'interessantissimo lavoro fatto dai "4gatti" Fedi, Marco, Paolo e Salvatore sulle manovre economiche dei governi Berlusconi e Prodi? Iniziative come quella vanno incoraggiate, vanno stimolate, quel lavoro può essere proseguito, può diventare uno strumento utilissimo per le prossime elezioni. Ma per farlo occorre che i "4 gatti" si sentano parte integrante e non marginale del Partito Democratico.



Probabilmente, abbiamo (purtroppo) cinque lunghi anni davanti a noi prima di potere misuraci di nuovo in una competizione elettorale; le scelte di oggi potranno darci quella spinta in più per vincere, ampliando il consenso, agendo in maniera democratica e lavorando senza perdere tempo per far si che il Partito Democratico sia sentito da tutti noi come una vera forza politica capace di cambiare profondamente l'Italia, che come è sotto gli occhi di tutti; ne ha veramente bisogno.

Maria Teresa Fulci

Anonimo ha detto...

Caro Eugenio,

ho letto con molto interesse il tuo intervento alla conferenza di Berlino sui risultati delle elezioni del PD in Germania e sottoscrivo in pieno le tue impressioni e le tue proposte.
I personalismi e le divisioni non aiutano nessuno. Anzi, ci allontanano dagli elettori.

É dunque molto importante presentarsi con candidati che possano parlare a "quelle giovani generazioni che esprimono un voto d’opinione e alle quali dobbiamo guardare per l’immediato futuro, ma che ancora con difficoltà si iscrivono all’AIRE e partecipano alla vita politica italiana", per dirla con le tue parole, quelli che qui chiameró i "nuovi elettori".

"Presentarsi" é qui secondo me la parola chiave.

Non avendo un elettorato costruito su misura attraverso anni di indottrinamento televisivo come ha Berlusconi, bisogna puntare su candidati che abbiano un certo standing, che ispirino fiducia e alle cui parole possa essere attribuita una certa autorevolezza. E soprattutto competenti.

Per competenti intendo sia a conoscenza dei problemi dell'elettorato che rappresentano, sia in grado di assolvere alle loro funzioni in maniera professionale ed efficace.

Per esempio, sono convinta che un candidato per la circoscrizione estero debba essere qualcuno che ha vive all'estero da tempo e che é a conoscenza dei problemi degli Italiani immigrati non perché ne ha letto sui giornali o perché li vede da un punto di vista particolarmente privilegiato, ma perché li affronta quotidianamente in prima persona.

Allo stesso modo i candidati devono assicurare agli elettori (in particolare ai "nuovi elettori", che votano non sulla base di una ideologia ma sulla base delle opinioni espresse dai candidati) che, una volta eletti, saranno in grado di svolgere le loro funzioni.

Non dico che si debbano candidare solo magistrati, ma i candidati devono necessariamente disporre delle competenze tecnico-giuridiche e sul funzionamento delle istituzioni italiane, europee ed internazionali (od essere pronti ad acquisirle) per svolgere il lavoro cui sono chiamati quando devono lavorare su progetti di legge.
La buona volontá é una bella cosa, ma converrai con me che non sarebbe saggio (né efficace) mettere un barista a fare il medico o un avvocato a fare il tornitore.

In piú, gli elettori hanno bisogno di qualcuno che ispiri loro fiducia. Se si propone loro qualcuno che ha raggiunto dei risultati nel suo campo (sia esso imprenditore, giornalista, rappresentante sindacale, medico, avvocato o altro), essi saranno ragionevolmente portati a pensare che quella persona sará in grado di raggiungere gli obiettivi che propone a chi lo deve votare.

Hai detto molto bene tu, la realtá é complessa, e bisogna avere gli strumenti per interpretarla. E nessuno ce la puó fare da solo, bisogna stare uniti.
Nel caso della circoscrizione estero, credo che molti elettori (nuovi e non) vogliano l'esempio di qualcuno che ce l'ha fatta ad integrarsi, che ha saputo superare le difficoltá con gli strumenti della legalitá e con l'impegno personale.
Dei candidati, per cosí dire, super partes, che parlino agli elettori che nulla sanno né vogliono sapere di correnti e dinamiche interne, agli elettori che non votano su base ideologica, agli elettori ai quali interessano progetti concreti e unitari.

Tu che ne pensi? Ti sembra che questa sia una visione condivisa all'interno del partito?

Un caro saluto,
Simona

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

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