martedì 29 maggio 2007

Tutto grazie a Gasparri

Alla fine il paradosso si è rivelato nella sua interezza. Durante il governo Berlusconi, mentre si parlava di far uscire i partiti dalla Rai, l'ottimo Gasparri si inventava una legge sul riordino del sistema radiotelevisivo che portava a nominare il Cda della Rai più politicizzato di tutti i tempi. Riporto di seguito, infatti, ruoli e partiti di appartenenza del Cda dell'era Berlusconi.

Presidente, Claudio Petruccioli (DS). Consiglieri de L'Unione: Carlo Rognoni (DS), Nino Rizzo Nervo (DL), Sandro Curzi (RC). Consiglieri della Cdl: Marco Staderini (UDC), Giuliano Urbani (FI), Gennaro Malgieri (AN), Giovanna Bianchi Clerici (Lega), Angelo Maria Petroni (indicazione ex Min. Tesoro).

Un Cda, dunque, estremamente politicizzato e a maggiornaza di centrodestra, espressione della maggioranza di Governo in cui nasceva e della legge che lo ha prodotto.
Secondo questo schema tutto politico, dunque, con il cambiare della maggioranza parlamentare, il consigliere Petroni - nominato dall'allora ministro del Tesoro di Centrodestra e sua diretta espressione - avrebbe dovuto dimettersi. Se non altro per coerenza politica con il Ministro e la legge che lo aveva nominato. Il nostro, invece, ha pensato bene di rimanere nel Cda nonostante non godesse della fiducia del nuovo Ministro e della nuova maggioranza, provocando la paralisi decisionale in Rai.
Lo scorso 11 maggio, il Ministro del Tesoro ha revocato la nomina di Petroni facendo presente che si era "interrotto il rapporto di fiducia con il proprio rappresentante".
Il Ministro aveva ribadito anche in commissione di Vigilanza che "la revoca del consigliere spetta al Tesoro" perché, in assenza di una norma specifica (poiché l'ottimo Gasparri si è dimenticato di metterla nella legge), il ministro può revocare la fiducia a un proprio rappresentante, rifacendosi al principio generale del "contrarius actus": così come autonomamente Petroni è stato nominato, altrettanto autonomamente può essere revocato se non esiste una normativa specifica (poiché l'ottimo Gasparri si è dimenticato di metterla nella legge).
Ma la cosa a Petroni non è andata giù e ha fatto ricorso al Tar che, oggi, provvisoriamente e in via l'urgenza, ha sospeso l'allontanamento di Petroni reintegrandolo nel Cda e fissando per il 7 giugno l'udienza definitiva.

Nulla da dire sulla sentenza: le sentenze sono tali e non ho la cattiva abitudine di commentarle. Ma una riflessione sull'operato dell'ex legislatore Gasparri & Co. e quello di Petroni va pur fatta. Gasparri, infatti, aveva firmato (perché qualcuno gliel'ha pur scritta) una legge tutta politica sulla Rai. In linea con questa si voleva una Cda diretta espressione degli equilibri parlamentari e così è stato nella scorsa legislatura.

Petroni avrebbe dovuto dimettersi dopo le elezioni per coerenza politica anche con la legge stessa, lasciando al nuovo Ministro dell'Economia la possibilità di nominare un altro consigliere di sua fiducia (come prevede la legge) e assicurando al Cda una corrispondenza con il nuovo Parlamento.
In questo modo il Cda avrebbe potuto da subito lavorare per il bene della Rai senza finire nella paralisi più totale in cui si trova oggi, con una maggioranza che non corrisponde a quella parlamentare.
Oggi, invece, abbiamo una maggioranza parlamentare, una diversa maggiornaza in Cda espressione della vecchia maggioranza che l'ha prodotta e un consigliere sfiduciato che continua a contribuire alla paralisi della Rai, che agonizza cercando inutilmente di risollevarsi, come il cavallo di viale Mazzini.
Tutto questo grazie a Gasparri.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

E un po' grazie a Padoa Schioppa, come leggo su Articolo 21:

"L’appiglio offerto a Petroni dal Ministro dell’Economia"

di Domenico d’Amati

"Com’era largamente prevedibile, la strada della sfiducia individuale scelta dal ministro Padoa Schioppa per riportare alla normalità la gestione della Rai, ha offerto al consigliere Petroni l’appiglio per un sia pur ardimentoso ricorso al TAR. Indipendentemente dalla tenuta del provvedimento cautelare che gli è stato concesso, una cosa è certa: se il ministro dell’Economia avesse seguito la strada più lineare che aveva davanti a sé, quella dell’azione di responsabilità contro tutti e cinque i consiglieri di centro-destra per il danno causato alla Rai con la sventurata nomina di Meocci a direttore generale, la sua decisione sarebbe stata inoppugnabile, sia sul piano giuridico che su quello politico-istituzionale. Ma Padoa Schioppa ha preferito evitare questa strada perché, come ha detto al Corriere della Sera, non ha voluto turbare la tranquillità degli altri amministratori di aziende pubbliche, stabilendo un precedente di rigore gestionale. Così ha ottenuto due risultati: da un lato ha consentito a Petroni l’azione davanti al TAR, dall’altro ha lanciato agli altri amministratori di aziende pubbliche il segnale che eventuali loro marachelle rimarranno senza personali conseguenze".

Anonimo ha detto...

D'Amati ha probabilmente ragione da un punto di vista giuridico. Ma politicamente serviva un atto forte che stimolasse una discussione seria.
Mi pare infatti pazzesco che per sostituire un singolo consigliere che non gode più della fiducia di chi lo nomina, si debba sfiduciare tutto il consiglio, compresi quelli che la fiducia continuano ad averla.
E' un paradosso causato dalla Gasparri, ed è paradossale proprio perché quella maggioranza che ha prodotto la Gasparri voleva una riforma costituzionale che prevedeva che il Premier potesse sfiduciare e sostituire singoli ministri. Allora perché i Ministri si e i consiglieri Rai no?
E comunque, sempre politicamente, questa operazione dovrebbe aprire una riflessione di carattere generale su ruoli, funzioni e poteri in tutta la pubblica amministrazione.

Anonimo ha detto...

funziona così in tutte le società, lo prevede il codice civile. L'azionista non può ritirare la delega a un consigliere dal quale non si sente più rappresentato. Occorre che si dimettano tutti. Detto questo, nella sostanza hai ragione. L'unica via sarebbe fare una nuova legge, accertandosi prima di avere la maggioranza al Senato. E' lo stesso discorso della riforma elettorale: fa schifo, eppure l'Unione non ha il coraggio di procedere da sola ai cambiamenti che al suo interno condivide (non sono molti, ma quei pochi basterebbero per fare una legge più decente. Per esempio dovremmo restituire agli elettori il diritto di scegliere gli eletti). Il problema è che alcune "porcate" della Cdl fanno comodo anche ad alcuni dei nostri. Temo.

Anonimo ha detto...

Già, L'Unione dovrebbe fare subito alcune leggi che da sola potrebbe fare e ha promesso agli elettori: conflitto di interesse, legge elettorale ecc.